venerdì 14 dicembre 2012

Stigma

Erving Goffman "Stigma. L'identità negata"
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/d/de/Erving_Goffman.jpg
" Il saggio descrive e analizza le pratiche di inferiorizzazione sociale della diversità isolando tre casi specifici: le deformazioni fisiche, il carattere individuale e la differenza culturale e religiosa. La gestione dello stigma è presente in qualunque società, dovunque entrino in gioco delle regole morali per la definizione delle identità: ma quali sono le modalità concrete che sottopongono alcuni individui a quei giudizi morali che chiamano in causa l'appartenenza a una "categoria inferiore" dell'umanità? E quali sono le strategie di sopravvivenza, di difesa o di adattamento delle persone stigmatizzate? Qual è infine lo scarto tra l'identità sociale e l'identità personale e, in definitiva, tra la "normalità" e la "devianza"?  ".
fonte: http://www.ibs.it

Gli studenti sono invitati a trovare informazioni (recensioni, commenti, articoli e saggi critici ecc.) su questo importante testo e a pubblicarle come reply a questo post.

11 commenti:

  1. La Stampa - Tuttolibri, 8 novembre 2003

    SE NON APPARI COME TUTTI GLI ALTRI SEI MARCHIATO PER SEMPRE: ECCO LA SOCIETÀ DELLO STIGMA

    di MARCO BELPOLITI

    …Stigma, ripubblicato in italiano a trentatré anni dalla sua prima traduzione, è un'opera magistrale, curiosa, inventiva e anche contraddittoria, come accade solo ai libri vitali. Di cosa si occupa questo volume? Dello "stigma", parola che serve a indicare quei segni fisici - scrive in apertura Goffman - "associati agli aspetti insoliti e criticabili della condizione morale di chi li ha". La parola è greca, ma è stata la cultura cristiana a farla circolare con un doppio significato: i segni corporei della Grazia, ma anche i segni corporei del Demonio, che indicano un disordine di tipo morale. E' la società a dividere gli uomini in categorie e a stabilire quali segni possono essere "normali" e quali "anormali". Goffman differenzia tra segni fisici; segni caratteriali che vengono percepiti come mancanze, alterazioni, disonestà, malvagità; e segni o stigmi di origine tribale, religiosa o nazionale, che si trasmettono di generazione in generazione contaminando così i membri di una medesima famiglia. In definitiva, presso tutte le popolazioni esistono stigmi che fanno sì che la persona che li "porta" sia percepita come non completamente umana. Nello schema interpretativo di Goffman l'aspetto visivo è fondamentale, poiché è proprio attraverso la vista che lo stigma diventa palese. Egli parla infatti di "percettibilità" e di codici visivi. Ma naturalmente vi sono anche degli stigma nascosti, o che devono rimanere tali, che si rivelano solo nell'intimità, quali ad esempio la frigidità, l'impotenza o la sterilità. Poiché Goffman ha trascorso diverso tempo nelle istituzioni manicomiali all'inizio della sua carriera di sociologo - verso la fine frequentò invece i casinò -, molti degli esempi sono tratti proprio da questo ambito. Il libro indaga i modi con cui la società e le sue diverse istituzioni costruiscono l'identità delle persone, i micro-sistemi con cui le vagliano e le controllano, ma al tempo stesso mostra le strategie che le diverse persone colpite da qualche stigma utilizzano per difendere tenacemente la propria identità. Goffman distingue tra una identità sociale virtuale, che è la "facciata" che mostriamo agli altri, il tipo di persona che dichiariamo di essere (e che non corrisponde quasi mai all'immagine della nostra persona che vorremmo gli altri avessero di noi) e una identità sociale attuale, che assegniamo agli altri attraverso appunto il contatto visivo, la percettibilità, e i codici sociali che abbiamo introiettato. E' nell'incongruenza tra questi due tipi di identità che si gioca il problema dello stigma, come strumento attraverso cui declassiamo o gettiamo il discredito su un tipo particolare di persona. Noi tutti diamo importanza ad attributi come gli abiti, il portamento, la pulizia, a tutti quei segni di status che definiscono, a prima vista un individuo, e che variano da una società all'altra. Il modo con cui ragiona Goffman non è mai meccanico; si compiace di trovare continue eccezioni alle sue stesse formulazioni e di reperire dettagli singolari non facilmente incasellabili. A un certo punto del libro osserva che sono i vagabondi e non i banchieri a non voler vedere la propria fotografia pubblicata sul giornale, oppure descrive con vivo piacere i diversi sistemi attraverso cui criminali, prostitute e truffatori si costruiscono identità alternative, con nuove biografie, documenti alterati, o cercando comunità dove non esistono tracce della loro precedente vita. Goffman è attirato dai devianti, siano essi infrattori delle regole sociali o invece appartenenti a gruppi etnici, oppure borderline di vario tipo, tanto che spesso, leggendo Stigma, si ha l'impressione che egli stia descrivendo una norma dell'eccezione e non, al contrario, l'eccezione della norma

    Fonte:http://www.ombrecorte.it/rass.asp?id=61

    Marta Mazzarelli

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  2. "[...]Stigma, ripubblicato in italiano a trentatré anni dalla sua prima traduzione, è un'opera magistrale, curiosa, inventiva e anche contraddittoria, come accade solo ai libri vitali. Di cosa si occupa questo volume? Dello "stigma", parola che serve a indicare quei segni fisici - scrive in apertura Goffman - "associati agli aspetti insoliti e criticabili della condizione morale di chi li ha". La parola è greca, ma è stata la cultura cristiana a farla circolare con un doppio significato: i segni corporei della Grazia, ma anche i segni corporei del Demonio, che indicano un disordine di tipo morale. E' la società a dividere gli uomini in categorie e a stabilire quali segni possono essere "normali" e quali "anormali". Goffman differenzia tra segni fisici; segni caratteriali che vengono percepiti come mancanze, alterazioni, disonestà, malvagità; e segni o stigmi di origine tribale, religiosa o nazionale, che si trasmettono di generazione in generazione contaminando così i membri di una medesima famiglia. In definitiva, presso tutte le popolazioni esistono stigmi che fanno sì che la persona che li "porta" sia percepita come non completamente umana. Nello schema interpretativo di Goffman l'aspetto visivo è fondamentale, poiché è proprio attraverso la vista che lo stigma diventa palese. Egli parla infatti di "percettibilità" e di codici visivi. Ma naturalmente vi sono anche degli stigma nascosti, o che devono rimanere tali, che si rivelano solo nell'intimità, quali ad esempio la frigidità, l'impotenza o la sterilità. Poiché Goffman ha trascorso diverso tempo nelle istituzioni manicomiali all'inizio della sua carriera di sociologo - verso la fine frequentò invece i casinò -, molti degli esempi sono tratti proprio da questo ambito. Il libro indaga i modi con cui la società e le sue diverse istituzioni costruiscono l'identità delle persone, i micro-sistemi con cui le vagliano e le controllano, ma al tempo stesso mostra le strategie che le diverse persone colpite da qualche stigma utilizzano per difendere tenacemente la propria identità. Goffman distingue tra una identità sociale virtuale, che è la "facciata" che mostriamo agli altri, il tipo di persona che dichiariamo di essere (e che non corrisponde quasi mai all'immagine della nostra persona che vorremmo gli altri avessero di noi) e una identità sociale attuale, che assegniamo agli altri attraverso appunto il contatto visivo, la percettibilità, e i codici sociali che abbiamo introiettato. E' nell'incongruenza tra questi due tipi di identità che si gioca il problema dello stigma, come strumento attraverso cui declassiamo o gettiamo il discredito su un tipo particolare di persona. Noi tutti diamo importanza ad attributi come gli abiti, il portamento, la pulizia, a tutti quei segni di status che definiscono, a prima vista un individuo, e che variano da una società all'altra. Il modo con cui ragiona Goffman non è mai meccanico; si compiace di trovare continue eccezioni alle sue stesse formulazioni e di reperire dettagli singolari non facilmente incasellabili. A un certo punto del libro osserva che sono i vagabondi e non i banchieri a non voler vedere la propria fotografia pubblicata sul giornale, oppure descrive con vivo piacere i diversi sistemi attraverso cui criminali, prostitute e truffatori si costruiscono identità alternative, con nuove biografie, documenti alterati, o cercando comunità dove non esistono tracce della loro precedente vita. Goffman è attirato dai devianti, siano essi infrattori delle regole sociali o invece appartenenti a gruppi etnici, oppure borderline di vario tipo, tanto che spesso, leggendo Stigma, si ha l'impressione che egli stia descrivendo una norma dell'eccezione e non, al contrario, l'eccezione della norma"

    Se non appari come tutti gli altri sei marchiato per sempre: ecco la società dello stigma.

    Recensione tratta da:http://www.italianseduction.it/forum/t-24290-stigma-lidentita-negata/

    Claudia Camillo

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  3. a Stampa - Tuttolibri, 8 novembre 2003

    SE NON APPARI COME TUTTI GLI ALTRI SEI MARCHIATO PER SEMPRE: ECCO LA SOCIETÀ DELLO STIGMA

    di MARCO BELPOLITI

    Dai tempi di Simmel nessun sociologo aveva conosciuto una fama pari a quella di Goffman.
    Goffman è davvero un sociologo particolare: creativo, dotato di una forte vena satirica. Oggi è un classico, anche se è poco conosciuto fuori dalla sfera degli studiosi; invece meriterebbe di essere letto da tutti. Stigma, ripubblicato in italiano a trentatré anni dalla sua prima traduzione, è un'opera magistrale, curiosa, inventiva e anche contraddittoria, come accade solo ai libri vitali. Di cosa si occupa questo volume? Dello "stigma", parola che serve a indicare quei segni fisici - scrive in apertura Goffman - "associati agli aspetti insoliti e criticabili della condizione morale di chi li ha".
    La parola è greca, ma è stata la cultura cristiana a farla circolare con un doppio significato: i segni corporei della Grazia, ma anche i segni corporei del Demonio, che indicano un disordine di tipo morale. E' la società a dividere gli uomini in categorie e a stabilire quali segni possono essere "normali" e quali "anormali". Goffman differenzia tra segni fisici; segni caratteriali che vengono percepiti come mancanze, alterazioni, disonestà, malvagità; e segni o stigmi di origine tribale, religiosa o nazionale, che si trasmettono di generazione in generazione contaminando così i membri di una medesima famiglia. In definitiva, presso tutte le popolazioni esistono stigmi che fanno sì che la persona che li "porta" sia percepita come non completamente umana. Nello schema interpretativo di Goffman l'aspetto visivo è fondamentale, poiché è proprio attraverso la vista che lo stigma diventa palese. Egli parla infatti di "percettibilità" e di codici visivi. Ma naturalmente vi sono anche degli stigma nascosti, o che devono rimanere tali, che si rivelano solo nell'intimità, quali ad esempio la frigidità, l'impotenza o la sterilità.Il libro indaga i modi con cui la società e le sue diverse istituzioni costruiscono l'identità delle persone, i micro-sistemi con cui le vagliano e le controllano, ma al tempo stesso mostra le strategie che le diverse persone colpite da qualche stigma utilizzano per difendere tenacemente la propria identità. Goffman distingue tra una identità sociale virtuale, che è la "facciata" che mostriamo agli altri, il tipo di persona che dichiariamo di essere (e che non corrisponde quasi mai all'immagine della nostra persona che vorremmo gli altri avessero di noi) e una identità sociale attuale, che assegniamo agli altri attraverso appunto il contatto visivo, la percettibilità, e i codici sociali che abbiamo introiettato.
    E' nell'incongruenza tra questi due tipi di identità che si gioca il problema dello stigma, come strumento attraverso cui declassiamo o gettiamo il discredito su un tipo particolare di persona. Noi tutti diamo importanza ad attributi come gli abiti, il portamento, la pulizia, a tutti quei segni di status che definiscono, a prima vista un individuo, e che variano da una società all'altra. Il modo con cui ragiona Goffman non è mai meccanico; si compiace di trovare continue eccezioni alle sue stesse formulazioni e di reperire dettagli singolari non facilmente incasellabili.Goffman è attirato dai devianti, siano essi infrattori delle regole sociali o invece appartenenti a gruppi etnici, oppure borderline di vario tipo, tanto che spesso, leggendo Stigma, si ha l'impressione che egli stia descrivendo una norma dell'eccezione e non, al contrario, l'eccezione della norma.

    Rosa Bove

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  4. RECENSIONE 1
    In genere non recensisco testi che ho letto per motivi di studio, non essendo stati "scelti" da me per la lettura, ma questo saggio di Goffman, pur risalente a decenni fa, è davvero meritevole. Una delle voci più eminenti della prima sociologia affronta in questo saggio lo Stigma, qualunque segno distintivo che escluda una persona dalla cerchia dei "normali". Praticamente veggente di alcune problematiche della nostra società, realizzato con spiegazioni chiare ed esempi interessanti, il libro possiede il raro pregio di trattare le minorazioni in maniera paritaria, senza il buonismo e l'accondiscendenza ipocrita con cui vengono affrontate nella nostra epoca; forse in quegli anni razzisti e discriminatori, si riusciva a parlare con più sincerità di persone che ricorrono a piccoli espedienti, bugie e reticenze esattamente come i "normali" che li isolano.

    RECENSIONE 2
    Mi aspettavo di più quando l’ho portato a casa. Brutto libro.
    Poco utile, non molto illuminante se letto nel 2010, visto che è stato scritto negli anni 60 con le concezioni dell'epoca...
    Forse per l'epoca l'autore era molto avanti.
    Oggi pare quasi un oscurantista omofobo.

    RECENSIONE 3
    Determinante per me. Attraverso la lettura gli stereotipi, gli schemi, gli stigma improvvisamente appaiono nitidi.

    FONTE http://www.anobii.com/books/Stigma/9788887009453/017559548dcf1db3ac/

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  5. "Definirò normali noi e quelli che non si discostano per qualche caratteristica negativa dai comportamenti che, nel caso specifico, ci aspettiamo da loro[...]Per definizione,crediamo naturalmente che la persona con uno stigma non sia proprio umana.[...]Mettiamo in piedi una teoria dello stigma,una ideologia atta a spiegare la sua inferiorità."

    E.Goffman, 2003, p.15


    "Lo stigma non riguarda tanto un insieme di individui concreti che si possono dividere in due gruppetti,lo stigmatizzato e il normale, quanto piuttosto un processo sociale a due,assai complesso,in cui ciascun individuo partecipa in ambedue i ruoli,almeno per quel che riguarda certe connessioni e durante certi periodi della vita.Il normale e lo stigmatizzato non sono persone,ma piuttosto prospettive".

    E.Goffman, 2003, p.170

    Fonte:http://www.2001agsoc.it/materiale/identita.pdf


    Claudia Donato

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  6. La riflessione di Goffman ha origine attorno al concetto di "stigma". Come egli stesso ricorda, sono i Greci i primi a servirsi di questa parola per designare una serie di segni fisici che vengono associati ad aspetti riprovevoli, tipici della condizione morale dei soggetti che li posseggono.
    Ogni società stabilisce quali siano le caratteristiche che devono essere dimostrate da ciascun membro, per poter essere considerato appartenente ad essa. Ciò consente, in altre parole, di stimare la sua "identità sociale". In questo senso, secondo Goffman, assegnamo a certe persone, una sorta di identità sociale virtuale, che contiene attribuzioni puramente speculative, per nulla confrontabili coi fatti. Si tratta di proiezioni di stereotipi spesso mediate anche da sentimenti di paura e di inferiorità, che vengono riversati sulle persone estranee in modo acritico. Così, l’immigrato, può essere oggetto di numerose attribuzioni di connotati negativi e deformati. Può essere visto come un probabile criminale, sicuramente un destabilizzatore dell’ordine pubblico, il fruitore indebito di una parte di assistenza sanitaria e il beneficiario di attenzioni sociali del tutto immeritatamente. Continuando nel nostro esempio, è possibile che l’immigrato possegga attributi che lo rendono diverso dagli altri, dai membri della categoria alla quale appartiene. Attributi tuttavia meno desiderabili. Possiamo così giudicarlo come una persona cattiva, o pericolosa, o psicologicamente più debole.
    "Nella nostra mente, viene così declassato da persona completa e a cui siamo comunemente abituati, a persona segnata, screditata". (Stigma. L’identità negata, p. 3)Una persona che possiede uno stigma non viene considerata come completamente umana.
    Scrive Goffman: "Dunque, uno stigma è in realtà un genere particolare di rapporto tra l’attributo e lo stereotipo, ma io non ritengo che si debba continuare a definirlo sempre così, in parte perché ci sono attributi importanti che, quasi a tutti i livelli della nostra società, sono fonte di discredito.
    Il termine stigma ed i suoi sinonimi contengono in sé una doppia prospettiva. L’individuo stigmatizzato presuppone che la propria diversità sia già conosciuta, oppure presuppone che non sia conosciuta dai presenti né immediatamente percepibile? Nel primo caso si ha a che fare con la sorte dello screditato e nel secondo con quella dello screditabile. Questa è un’importante differenza anche se è probabile che l’individuo stigmatizzato debba subire ambedue le situazioni." (Stigma, p. 4)
    Anche sul piano dei comportamenti stigmatizzato e stigmatizzabile prevedono canovacci differenti d’azione.
    La prerogativa dello stigmatizzabile è quella di preservare l’area del segreto alla quale è collegato il suo possibile screditamento. Utilizzando una terminologia cara a Goffman, possiamo dire che egli tenti di costruire una faccia che gli consenta di entrare in contatto con gli altri senza manifestare i segni del suo stigma.
    Coprire la sua vera identità può consentirgli di non mostrare lo stigma e quindi di evitare il conseguente screditamento. Le cose cambiamo nel momento in cui la dissimulazione viene scoperta e lo screditamento diviene un fatto reale.
    Come osserva A. Salvini "all’interno della prospettiva drammaturgica, Goffman considera l’individuo nella duplice veste di attore e di personaggio. Come personaggio, l’individuo produce, o meglio realizza, un’immagine le sue qualità positive, ideali e stereotipiche, devono essere evocate dalla rappresentazione. Come attore, il suo scopo è di perpetuare una particolare definizione della situazione ed una versione della realtà" (1983).
    FONTE http://mentesmigrantes.blogspot.it/2008/12/identit-sociale-identit-personale-e.html

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  7. "3.2. Un rispecchiamento di immagini senza identità: la rappresentazione adeguata del sé. In una prospettiva differente da quelle finora considerate, lo studio della relazione speculare tra due individui posti l’uno di fronte all’altro può osservare dinamiche di rispecchiamento anche al solo
    livello delle immagini proiettate dai soggetti, senza alcun riferimento a un’identità ultima. Questo diverso punto di osservazione coincide con una visione dell’interazione secondo il modello
    drammaturgico proposto da Goffman: la relazione tra l’Io e l’Altro si svolge all’interno di un ordine sociale (rituale, morale e cognitivo) pre-esistente, ereditato dagli individui; ciascuno di essi interpreta, di situazione in situazione, il personaggio adatto alla scena, proponendo di sé l’immagine che ritiene opportuna e desiderabile nello specifico contesto situazionale. I meccanismi di rispecchiamento sono una parte essenziale del gioco relazionale perché il soggetto si definisce, o meglio presenta la propria immagine di facciata, sulla base delle informazioni che vede riflesse nell’interlocutore e nella cornice in cui si trova, interpretando e negoziando con l’Altro
    la definizione dei rispettivi sé e della situazione stessa. L’individuo è dunque attore che rappresenta una delle possibili immagini di se stesso, scegliendo la maschera che ritiene più appropriata al momento e agendo attraverso un’identità sociale suggerita dalle norme, dalle regole e dalle aspettative relative alla circostanza; in tal senso egli appare, come accennato sopra (v. par. 2.4), un riflesso della società. Goffman riserva al soggetto un margine di autonomia relativo alla possibilità di scelta e di
    cambiamento tra i vari personaggi; ma ciò non implica l’esistenza di un Io unitario fondamentale. L’interazione con l’Altro si svolge sul piano delle apparenze attraverso un rinvio reciproco di immagini, in una società che fissa i propri modelli, e dunque le condizioni per il riconoscimento da
    parte dell’Altro. È possibile, inoltre, osservare l’ordinario adattamento, e dunque la prevalente scelta di conformità agli schemi sociali, proprio attraverso l’immagine al negativo proiettata dai soggetti che manifestano comportamenti devianti, e che per la loro difformità vengono stigmatizzati e destinati
    all’emarginazione. Anche le sole immagini, sganciate da un’identità unitaria e profonda, possono quindi essere “incorniciate” nei frames sociali che l’individuo riconosce e impara a gestire nel corso della propria
    esperienza."

    Fonte:http://www.metabasis.it/articoli/14/14_Leone.pdf

    Monica Barba

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  8. Goffman denomina stigma il marchio d'infamia posto su quanti non sono considerati all'altezza dei modelli condivisi; su coloro la cui identità virtuale (ciò che dovrebbero essere) non coincide con l'identità attualizzata (ciò che sono). La diversità può riguardare manchevolezze fisiche, aspetti criticabili del carattere, l'appartenenza a gruppi discriminati. Vengono quindi stigmatizzate le persone che appaiano fisicamente inadeguate (ciechi, sordi, zoppi, ad esempio), coloro i cui ruoli o le cui condizioni lascino supporre "vizi del carattere" (omosessuali, alcolizzati, malati di mente e simili), e quanti facciano parte di gruppi disprezzati (minoranze razziali o subculture devianti).
    Nel processo di stigmatizzazione, l'apposizione del marchio d'infamia comporta degradazioni ed esclusioni che vengono giustificate con teorie create ad hoc. Goffman scrive: "Per definizione, crediamo naturalmente che la persona con uno stigma non sia proprio umana. Partendo da questa premessa, pratichiamo diverse specie di discriminazioni, grazie alle quali gli riduciamo, con molta efficacia anche se spesso inconsciamente, le possibilità di vita. Mettiamo in piedi una teoria dello stigma, una ideologia atta a spiegare la sua inferiorità e ci preoccupiamo di definire il pericolo che quella persona rappresenta".
    Più che per i limiti derivanti dal suo stato, lo stigmatizzato soffre per il marchio connesso alla sua diversità. Lo stigmatizzato apprende di essere tale guardandosi attraverso gli occhi di coloro con cui interagisce. Con il loro rifiuto, le loro paure, la derisione, la curiosità, gli altri possono aggredire e distruggere l'immagine che l'individuo ha di se stesso. I contatti misti sono difficili anche quando i "normali" si propongano di offrire supporto. Gli stigmatizzati, in genere, apprezzano l'aiuto ma rifiutano gli atteggiamenti di "pietà": vogliono essere considerati persone come tutte le altre. Accettare l'aiuto, per loro, può significare anche dover accettare l'immagine negativa di persona bisognosa, di "handicappato", di "incapace", di "inferiore" […]. Lo stigma esiste negli occhi di chi guarda. Si dovrebbe quindi mantenere sani gli occhi dei più giovani, e cercare di correggere, per quanto possibile, l'ottica degli adulti. E, aspetto di fondamentale importanza, si dovrebbe rendere più acuto e capace di critica lo sguardo delle nuove generazioni, utilizzando tecniche educative che si oppongano all'autoritarismo e favoriscano la formazione di menti flessibili.

    Fonte: http://www.medeacom.it/Pagina/It/Eventi_Events/0/76/abstract/898_.aspx

    Regina Fontanella

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  9. La parola stigma viene usata come sinonimo di marchio, segno distintivo in riferimento alla disapprovazione sociale di alcune caratteristiche personali. In sociologia si usa per caratterizzare un handicap fisico o mentale o una devianza.
    Sono i greci che si servono per primi di questa parola per denominare una serie di segni fisici che possono essere associati ad aspetti riprovevoli, considerati legati alla "condizione morale" dei soggetti che ne sono afflitti.
    Lo stigma denota appunto una particolare connotazione fisica (dovuta a handicap) o può essere altresì riferito a particolari categorie sociali che in qualche modo vengono discriminate da quelle che Erving Goffman, nel suo saggio "Stigma, l'identità negata", definisce persone "normali". Lo stigma porta alla discriminazione e alla conseguenza di stereotipi, che si ripercuotono nella società. La "diversità" porta a far emergere caratteristiche particolari e quindi all'emarginazione, solo per il fatto che queste caratteristiche sono diverse.
    Lo stigma è innanzitutto nell'occhio di chi guarda. Molte volte le persone portatrici di handicap fisici, mentali, o categorie sociali di persone "deviate", non si inquadrano nell'ottica di stigmatizzati, ma sono le persone "normali" a definirli diversi, attribuendovi così un marchio distintivo. Questa distinzione sociale tende a creare categorie ben definite di persone stigmatizzate, che si inquadrano in una "cornice" diversa, a seconda del loro stigma (portatori di handicap, malati di mente, deviati).
    Lo stigma porta all'alienazione di particolari categorie di individui, alla discriminazione appunto. È proprio l'alienazione di queste persone a creare uno stigma e non un loro particolare problema fisico o mentale. Essendo allontanati dalla società, questi individui si sentiranno isolati e soli, potranno contare solo sul supporto di persone simili a loro, che si trovano nella stessa condizione.
    Lo stigma può essere applicato anche ad altri tipi di categorie di individui, distinguendoli in modo definito da altri. Parole come "è il/la più bravo/a della classe" oppure "è stata eletta la più bella della città" sono marchi che vengono inflitti a persone che in seguito a questa categorizzazione (per quanto possa sembrare lusinghiera) sono costretti a tenere sempre la stessa condotta, per cui chi è il più bravo o la più brava della classe sarà costretto/a ad ottenere buoni voti tenendo la media sempre alta; chi è stata eletta la più bella, non potrà permettersi di ingrassare o trascurare il suo fisico; se dovesse capitare che una di queste persone stigmatizzate non tenga la stessa condotta, si può instaurare in loro per primi, la delusione di aver deluso le aspettative collettive; altri magari, che speravano in un loro fallimento, saranno felici, e coscienti del fatto che anche queste persone possono sbagliare.

    Fonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Stigma_(sociologia)

    Assunta Sticchi

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  10. Goffman's theory
    In Erving Goffman's theory of social stigma, a stigma is an attribute, behavior, or reputation which is socially discrediting in a particular way: it causes an individual to be mentally classified by others in an undesirable, rejected stereotype rather than in an accepted, normal one. Goffman, a noted sociologist, defined stigma as a special kind of gap between virtual social identity and actual social identity:
    Society establishes the means of categorizing persons and the complement of attributes felt to be ordinary and natural for members of each of these categories. [...] When a stranger comes into our presence, then, first appearances are likely to enable us to anticipate his category and attributes, his "social identity" [...] We lean on these anticipations that we have, transforming them into normative expectations, into righteously presented demands. [...] It is [when an active question arises as to whether these demands will be filled] that we are likely to realize that all along we had been making certain assumptions as to what the individual before us ought to be. [These assumed demands and the character we impute to the individual will be called] virtual social identity. The category and attributes he could in fact be proved to possess will be called his actual social identity. (Goffman 1963:2). While a stranger is present before us, evidence can arise of his possessing an attribute that makes him different from others in the category of persons available for him to be, and of a less desirable kind--in the extreme, a person who is quite thoroughly bad, or dangerous, or weak. He is thus reduced in our minds from a whole and usual person to a tainted, discounted one. Such an attribute is a stigma, especially when its discrediting effect is very extensive [...] It constitutes a special discrepancy between virtual and actual social identity. Note that there are other types of [such] discrepancy [...] for example the kind that causes us to reclassify an individual from one socially anticipated category to a different but equally well-anticipated one, and the kind that causes us to alter our estimation of the individual upward. (Goffman 1963:3).
    [edit]The stigmatized, the normal, and the wise
    Goffman divides the individual's relation to a stigma into three categories:
    the stigmatized are those who bear the stigma;
    the normals are those who do not bear the stigma; and
    the wise are those among the normals who are accepted by the stigmatized as "wise" to their condition (borrowing the term from the homosexual community).
    The wise normals are not merely those who are in some sense accepting of the stigma; they are, rather, "those whose special situation has made them intimately privy to the secret life of the stigmatized individual and sympathetic with it, and who find themselves accorded a measure of acceptance, a measure of courtesy membership in the clan." That is, they are accepted by the stigmatized as "honorary members" of the stigmatized group. "Wise persons are the marginal men before whom the individual with a fault need feel no shame nor exert self-control, knowing that in spite of his failing he will be seen as an ordinary other." Goffman notes that the wise may in certain social situations also bear the stigma with respect to other normals: that is, they may also be stigmatized for being wise. An example is a parent of a homosexual; another is a white woman who is seen socializing with a black man. (Limiting ourselves, of course, to social milieus in which homosexuals and blacks are stigmatized).

    Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/Social_stigma

    Mario Walter Bonfiglio

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  11. Consigliato anche come lettura di piacere, stigma si presenta comunque come un libro di testo per corsi di psicologia o comunicazione. L’autore non segue un discorso ordinato e strutturato ma raccoglie piuttosto una serie di saggi su quello che lui chiama stigma. Ma cosa intende per stigma? Qualsiasi caratteristica o situazione in cui un individuo si trova ad essere considerato insolito o criticabile, e la sua identità viene messa in discussione o viene screditata. Goffman ha individuato tre tipi di stigma: le deformazioni fisiche; quelli che lui chiama "aspetti criticabili del carattere", e in questa categoria fa rientrare ex-detenuti, ex-pazienti di ospedali psichiatrici, per certi versi i divorziati (il libro è degli anni 80, e in alcune società l’essere divorziati è tuttora uno stigma), gli omosessuali (idem); infine, ci sono gli stigmi legati alla razza, nazione e religione. Alcuni stigmi sono nascondibili, altri no. Alcuni individui convivono pacificamente col loro stigma e talvolta ne fanno anche un punto d’orgoglio, altri no. Il concetto da tenere ben presente, sottolineato più volte da Goffman, è che tutti siamo potenzialmente degli stigmatizzati, tutti lo siamo stati almeno una volta o almeno in una situazione. Un approccio accademico a un concetto sociale che tutti conosciamo bene e che abbiamo vissuto in prima persona o come testimoni.

    Fonte: http://www.unilibro.it/libro/goffman-erving/stigma-l-identita-negata/9788887009453

    Valeria Pezzella

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