Appena reduce dalla visione del film Rip non posso fare a meno di incominciare a scrivere alcune osservazioni al riguardo. Non starò qui a fare un riassunto breve e coinciso della trama perché non vi è una trama di fondo in questo documentario, se non un obbiettivo ben preciso: dimostrare come il copyright abbia passato ogni limite. Personalmente, su questa questione non ci avevo mai riflettuto più di tanto e questo film in soli 50 minuti è riuscito ad aprirmi la mente ad orizzonti che fino adesso non mi erano mai saltati agli occhi..ma c’erano! Tante sono infatti le frasi che mi hanno fatto riflettere; la prima in assoluto è stata quella iniziale: “Questo film parla di una guerra, una guerra sulle idee. Il terreno di questa battaglia è internet. Da una parte ci sono i copyright, mentre nel fronte opposto ci sono i copyleft". Così facendo il regista Gaylor ci invita a riflettere e a dare una nostra definizione di fondo alla parola plagio. Di fatti, a mio parere, è proprio questo il punto: vi siete mai chiesti che cosa significasse questa parola, prima della visione di questo film? Sicuramente si. Se cerchiamo su Wikipedia il suo significato, noteremo che la parola plagio è legata a diversi campi (diritto d’autore, diritto penale, diritto romano), ma l’idea comune che li unisce è quella di reato. Tuttavia, la definizione o, per meglio dire, la visione che Gaylor ci offre sul plagio e sulla questione dei copyright è ben diversa. Attraverso, infatti, tutta una serie di esempi (dal suo artista preferito Girl Talk a una delle più grandi aziende del mondo nel campo dei media, ossia la Walt Disney), Gaylor cerca di abbattere tutti i cliché che fino ad ora ci sono stati imposti. Per la prima volta ho capito cosa significa la parola “pubblico dominio”, tanto sfruttata nel nostro parlare quotidiano, ma che in realtà non mettiamo quasi mai in atto. Non a caso egli intervista Lawrence Lessig, giurista statunitense che appoggia pienamente questa idea di “cultura libera”, affermando che oggigiorno si stanno creando delle leggi che trasformano i nostri stessi figli in criminali. Lessig quindi sottolinea quel paradosso che si è creato nel secolo scorso; infatti, vi è un momento in cui egli afferma che tutte le invenzioni culturali sono state da sempre di dominio pubblico, tranne in un secolo, ossia il XX. Chi infatti almeno una volta nella sua vita non ha scaricato musica, film o fotocopiato libri? Credo nessuno. Eppure questa società ci condanna per questo e ci fa credere che questo sia plagio e che il plagio a sua volta significhi “rubare”. Così “Rip: a remix manifesto” ci da la possibilità di aprire per un momento gli occhi: “Il remix ha il potere di dire le cose diversamente”. Concordo pienamente con questa frase perché non vi è stato uomo al mondo che non abbia scritto o prodotto qualsiasi tipo di opera, se non attraverso il frutto di altre idee. E questo non è plagio, ne violazione dei diritti d’autore; per me è qualcosa di molto di più: è il fondere mondi diversi e crearne altri nuovi. La musica è l’esempio emblematico di quanto detto perché, a mio avviso, è la prima matrice culturale in assoluto di un paese; la musica ci definisce, ma ci permette anche di viaggiare ed andare oltre tutti i confini che le nostre società ci impongono. Ormai sono quasi 5 anni che mi ritrovo a studiare in questo ateneo e per tutti e 5 anni non hanno fatto altro che insegnarci che studiare lingue significa anche confrontarsi. Eppure la realtà è ben diversa; è triste ed amara perché per anni ci insegnano che viviamo in un mondo unico e globalizzato, ma che poi, di fondo, tanto globalizzato non è.
Partendo dal presupposto secondo il quale, a mio parere, le idee non debbano essere considerate proprietà private di qualcuno dal momento in cui questo “qualcuno” ha acconsentito alla loro diffusione (si tratti di idee espresse attraverso le frasi di una canzone, o attraverso quelle di un film), quello che più mi colpisce (forse ingiustamente se diamo un’occhiata alla realtà che ci circonda) è il fatto che la “pretesa dei diritti di copyright” non si basa sulla tutela della creatività personale di colui che ha scritto quella canzone o musica, ma viene fatta solo ed esclusivamente per ottenere un risarcimento economico, la qual cosa ci fa un momento dubitare sull'idea di arte e creatività che fino ad ora pensavamo di aver acquisito. Personalmente, credo che l’arte sia un patrimonio ed in quanto tale debba essere a disposizione di tutti (l’idea di “cultura libera” che l’avvocato Lawrence Lessig espone nel film in opposizione al concetto di "proprietà intellettuale"), e se quella determinata musica o canzone viene ripresa e resa maggiormente fruibile agli ascoltatori, questa non deve essere considerata un’azione illegale o addirittura un furto, ma al contrario deve essere concepita come la volontà di rendere l’arte sempre attuale ed adatta al pubblico che, dalla sua parte, cambia sistematicamente nei gusti e nella mentalità. Lisa Lucchetti
"Credo che la differenza sia perché una generazione è cresciuta in un'era in cui il computer è per forza di cose un'estensione della propria mente. Per loro è normale volere istantaneamente accesso ad ogni pezzo di musica mai registrato, per connetterlo ed innovarlo in maniere sempre nuove. Abbiamo un rapporto diverso con l'informazione rispetto al passato, le generazioni precedenti si chiedono se la pratica del remix sia importante perché effettivamente loro non hanno mai fatto nulla di simile. Per loro interattività è sinonimo di telefono o telecomando e il modello mentale è quello di pensare all'accesso all'informazione come un furto".Mi ha colpito più di tutte questa citazione di Brett che pone attenzione, in merito alla questione del copyright e della cultura remix, su una problematica più ampia, ovvero le differenze generazionali che pongono a confronto due epoche completamente differenti e punti di vista contrastanti. La cultura del "remix" è tra noi, e non tra i nostri avi, siamo noi i navigatori (giovani ma non solo), che scarichiamo normalmente dal web e rielaboriamo a nostro piacimento musica, testi, video, fotografie, dando vita a nuove opere creative, dentro e fuori dalla rete,ad un'arte che magari non è altro che una copia di qualcosa già preesistente, ma pur sempre è arte. Tutto ciò utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia. E allora mi chiedo, perchè è un'arte illegale? Il film fa una panoramica proprio sul problema del copyright, dei diritti d'autore, del sistema di plagio che per me andrebbero superati, in una società dove lo scambio di idee, argomenti, di un banale "file multimediale" dovrebbe essere alla base di tutto. Ma il problema sta proprio li, nell'accettare e nel condividere liberamente il frutto di una propria creatività.. e di non "trarne profitto" solo a proprio piacimento, ma di farne profitto e lasciar che tutti ne possano usufruire. Tesone Luana
In accordo con il film visionato, o meglio con l’idea che vuole comunicare, la mia idea sulle arti, sulle produzioni dell’animo, è sempre stata legata all’immagine di un albero. Nel mio percorso quotidiano provo a laurearmi in Lettere, ed ho studiato Boccacio, quanto egli abbia uno stretto legame con il Petrarca, quanto entrambi facciano derivare idee e concetti da Dante. Uno solo dei milioni d’esempio che in letteratura è possibile fare. Le arti hanno da sempre radici indissolubili, questo è assodato. Gli elementi costitutivi delle radici appartengono a loro volta a rami, corteccia, foglie. Arrivando al punto voglio dire semplicemente che ritrovare nel nuovo elementi vecchi è quasi un ovvietà. Esiste a mio parere una linea sottile tra il giudicare le pene, e giudicare il senso vero e proprio del “copiare” o del “mixare”. Le questioni sono due: Se sia giusto o meno appropriarsi di un’idea che generalmente può essere pensata da chiunque; e poi il senso di esasperata giustizia (“illegal downloading”) preso in considerazione dal film. Riguardo questa seconda questione la mia idea è semplice. L’esagerazione storpia.. sempre. Solitamente si dibatte su quanto difficile sia provare a combattere un sistema; in questo caso sembra quasi che sia il sistema stesso a battere sulla carta quel “marketing” delle case discografiche. La reazione, dovuta a voler aumentare sempre di più la presa di controllo su un pubblico non ben addomesticato, è troppo violenta, e allo stesso tempo inefficace (come il film dimostra). Fatta eccezione di poveri soggetti persi in causa, il pubblico non viene toccato come voluto dalla questione; il fatto che qualcuno abbia pagato, invece di fingere d’esempio, funge da stimolo al ribellarsi. D’altronde l’insaziabile fame di potere delle case discografiche è paragonabile alla fame di ogni impresa imprenditoriale. C’è da dire comunque che come per chi antichi esisteva il “mecenatismo”, le industrie discografiche sono NECESSARIE e la loro impronta è DECISIVA per la formazione e per la figura dell’artista. Le loro pretese saranno eccessive, ma giudicare questo ci fa cadere nell’equivoco. Il controllo in ogni eccesso è ridicolo, ma in buona misura deve esserci. Con questo pensiero di chiusura a questa questione, introduco la prossima relativa al possesso delle idee. Attingere, come spiegavo inizialmente con l’idea dell’albero, è LECITO. “Mixare” per intendere “cambiar forma producendo a nuova volta una NOVITà” deve essere a mio parere ugualmente lecito. Ma io credo in certi LIMITI. Un nuovo esempio che possa spiegare il mio pensiero. Guardando il film in classe, ogni singola persona si è fatta un’idea. Volendo commentare avrei potuto dire: “Su questa questione non ci avevo mai riflettuto più di tanto e questo film in soli 50 minuti è riuscito ad aprirmi la mente ad orizzonti che fino adesso non mi erano mai saltati agli occhi. Personalmente, credo che l’arte sia un patrimonio ed in quanto tale debba essere a disposizione di tutti. Abbiamo un rapporto diverso con l'informazione rispetto al passato, le generazioni precedenti si chiedono se la pratica del remix sia importante perché effettivamente loro non hanno mai fatto nulla di simile.” Per farla breve.. io ho copiato. Queste righe filano, ma non sono righe mie. Sono pensieri dei miei colleghi che ho accostato l’uno all’altro. Eppure sono tre diverse persone con tre diverse idee. Qualcuno potrebbe farlo con me e creare una fantastica catena! Ma il suo scopo? Io credo che sia possibile fare qualcosa di significativo e d’impronta attingendo, sviluppando, e arricchendo il messaggio precedente. Ma credo anche che in un certo senso un’idea, anche se convenzionalmente ha un potenziale pensabile in ognuno di noi, se fa luce.. rimane tua. Diviene una questione di priorità? Una gara delle idee? Può darsi.. ma non tutte le persone sono destinate ad avere uno stesso percorso nonostante la vita permetta di scegliere, non tutti hanno le stesse possibilità. Il MERITO è da attribuire e preservare nonostante le novità tecnologiche.
Questo film mi ha spinto a riflettere su alcune questione sulle quali non mi ero mai soffermata fino ad ora e soprattutto sulla mia idea di plagio. Come me, penso che un po' tutti abbiano fino ad ora pensato al plagio come qualcosa di negativo. Basti pensare che il termine plagio deriva dal latino "plagium" che significa "furto, rapimento" e che si riferisce all'appropriazione parziale o totale di un'opera dell'ingegno altrui. Ma secondo il regista del film, Brett Gaylor "il remix ha il potere di dire le cose diversamente". Questa frase, mette in evidenza la sua idea principale che a questo punto mi trovo a condividere pienamente e cioè che non si può parlare di plagio in senso negativo quando si crea qualcosa di nuovo soltanto prendendo spunto dal passato. E'proprio questo quello che fa il protagonista del film Girl Talk: taglia, riarrangia, manipola pezzi di altre canzoni per dar vita a suoni del tutto nuovi. Nonostante il prodotto finale sia diverso da quello iniziale, coloro che detengono il copyright credono che questo costituisca un reato. Siamo dunque tutti perseguibili penalmente, tutti criminali in quanto credo che oggi come oggi, in un'epoca in cui domina l'evoluzione, sia davvero difficile, se non impossibile, trovare qualcuno che non abbia mai scaricato una canzone o un film da internet. Ed ecco che emerge uno degli apetti principali del documentario ossia il rapporto conflittuale tra passato e presente, tra public domain e copyright. Personalmente penso che impedirci di utilizzare il passato per creare il nostro presente ci limiti nella nostra creatività in quanto per citare un'altra frase del manifesto : "la cultura è sempre costruita sul passato". Claudia Meoli
Dopo aver preso visione del film,ho riflettuto su alcuni punti che sinceramente non avevo preso in considerazione precedentemente. Il documentario tratta argomenti piuttosto attuali, e come lo stesso Gaylor afferma, esso rigurda una "guerra sulle idee". Il regista da una parte ci parla del copyright, dall'altra del copyleft che rappresenta il pubblico dominio. "Rip:a remix manifesto" offre spunti significativi di riflessione: partiamo dal protagonista Girl Talk, un'artista di mash- up,il quale non fa altro che prendere copie di canzoni ed unirle. Non si tratta di riarrangiare un testo, come molti possono pensare, bensì di crearne uno completamente nuovo. E'questo probabilmente il messaggio più significativo che intende inviare il regista. Se ritorniamo indietro nel tempo,infatti, i più grandi autori,filosofi si sono ispirati alle idee di altri. Dunque possiamo dire che il plagio sia una pratica diffusa fin dall'antichità. Tuttavia, tale termine è sempre associato ad una connotazione negativa. A testimonianza di ciò, se prendiamo un dizionario qualsiasi, la definizione della parola "plagio" è intrinsecamente negativa. Tra le tante cito:"PLAGIO, appropriazione dell'opera o di parte di un'opera artistica, letteraria o scientifica altrui, per spacciarla come propria". E' chiaro che il remix ha radici molto antiche, esso "da il potere di dire le cose diversamente"; dunque il mixato non è assolutamente un reato, dal momento che indica la trasformazione in qualcosa di creativo. A mio avviso, la chiave di lettura del documentario può essere racchiusa in una delle frasi che più mi ha colpito: "la cultura è sempre costruita sul passato". Per concludere ho trovato "Rip" un film davvero interessante, in quanto mette a nudo temi che probabilmente non tutti prendono in considerazione. Ciò che più mi ha colpito negativamente, è aver meglio compreso il fine ultimo del copyright, ovvero anzichè tutelare i diritti degli autori, esso tutela gli editori, le aziende... In questo modo tutti noi diventiamo "criminali"(riprendendo il termine usato da Lessig nel film) soltanto fotocopiando libri, scaricando musica o film... Ma allora mi chiedo, chi di noi non ha commesso "reati" in un mondo dove la tecnologia prende il sopravvento?
La visione del documentario di B. Gaylor è stata efficace, ha mutato la mia idea sulla difesa della proprietà intellettuale, un' idea fondata su considerazioni del tutto errate; il copyright non difende l'artista e le idee, ma gli interessi ed il profitto, esso di fatto ostacola il processo creativo, il progresso ed il rinnovamento, non tutela ,quindi, l'arte da un utilizzo arbitrario, in quest'ultimo caso sarebbe anche lecita la sua esistenza, ma tutela, invece, posizioni dominanti; una rigida difesa del copyright impedisce lo sviluppo, come è nata la fotografia? come è nato "Alla ricerca del tempo perduto " di Proust? come è nata la cultura? . Il copyright è espressione del nostro secolo fondato sulle privatizzazioni, esso assicura diritti e libertà a coloro i cui redditi e stili di vita non necessitano miglioramenti, lasciando ben poco agli altri.
Credo che la questione sia sostanzialmente complessa. Innanzitutto farei una distinzione tra l’appropriazione e l’utilizzo di un’idea: ritengo che, nel caso di un remix in cui le idee vengono miscelate, rielaborate, riutilizzate, presumere una sorta di risarcimento di questi riutilizzi sia eccessivo e ridicolo, dal momento in cui una canzone è fatta per essere “vissuta” in tutte le sue applicazioni, e che un remix è il risultato di una creatività personale; se invece ci troviamo di fronte ad una copia, o ad una appropriazione di una idea, allora credo che alcune misure per tutelare un artista debbano essere prese. Fondamentalmente un artista vive sulle e grazie alle sue opere, ragion per cui, seppur vi sono artisti che non si fanno problemi a diffondere senza scopo di lucro la propria arte, altri preferiscono raccogliere i frutti delle loro opere, e credo sia ipocrita ridurre questo concetto al fatto che l’arte debba essere di pubblico dominio, dal momento che condanneremmo la maggior parte degli artisti di questo mondo a vivere sotto i ponti. Tuttavia, poiché molti aspetti di questo mercato non vanno a favore dell’artista ma dell’industria, e di conseguenza non parliamo più di una questione etica ma di un questione esclusivamente economica, si tratta di una speculazione economica sull’arte che penso debba essere combattuta, dal momento che per questioni economiche si arriva a scadere nell’assurdo, specialmente se si sforano i limiti della razionalità come nel caso delle multe ricevute da dei bambini di Chernobyl perché cantando delle canzoni senza richiederne l’autorizzazione hanno violato i diritti d’autore: questa non è una violazione, ma è semplicemente ridicolo! Se da un lato penso che in un certo qual modo l’artista debba essere tutelato, dall’altro condanno la monopolizzazione dell’arte, dal momento che, quando ci sono di mezzo i monopoli, si rientra in un campo di sfruttamento che è sempre a favore di pochi e a discapito di molti. Lo stesso vale per i libri, il copyright nasce come diritto specifico dell’editore, su cui l’autore non poteva recriminare né guadagnare, perché la funzione dell’editore era in particolare una funzione di controllo sui libri che potevano diffondersi all’epoca.. tutt’altro che un diritto di autore! Bisognerebbe perciò distinguere il diritto dell’autore dal diritto di questi intermediari, senza rischiare, nel tentativo di sabotare i secondi, di danneggiare anche i primi. Tuttavia, per riprendere un’altra questione che il documentario evidenzia, non si può ignorare il fatto che la tecnologia e l’informatica stanno dominando il mondo della comunicazione, e che quindi bisogna adattarsi a queste evoluzioni, non imponendo legislazioni che vadano contro le stesse e che ci facciano automaticamente cadere nella contraddizione; bisognerebbe raggiungere per cui dei compromessi, non dimenticando di mettere nel piatto anche l’interesse dell’artista. Marianna Iodice
Il film documentario di Brett Taylor illustra molto bene come le grandi case editrici e le grandi case discografiche abbiano sollecitato la politica affinchè promuovesse leggi volte alla protezione dei loro interessi più che a quelli degli artisti. Questi ultimi a volte vengono ostacolati dalle stesse leggi che dovrebbero tutelarli. Inoltre essi sono visti come dei veri e propri strumenti di guadagno, che le case editrici possono sfruttare e mettere sotto pressione per ricavarne profitti. Un caso poco noto delle pressanti condizioni a cui alcuni artisti sono sottoposti è quello dei mangaka, ovvero i disegnatori di manga, costretti a rispettare scadenze estremamente rigide, a confrontarsi all'interno di un mercato spietato dove è difficile emergere, ed acconsentire a condizioni di lavoro che non sempre tengono conto dei diritti dell'individuo. Alcuni di loro sono costretti a lavorare ininterrottamente per portare a termine i loro lavori nei termini stabiliti dagli editori,e questi ultimi hanno anche la possibilità di esprimere pareri, preferenze, giudizi ed apportare modifiche alle opere originarie di questi disegnatori, sulla base dei dati forniti dal mercato per aumentare le vendite e possibilmente esportare il prodotto, pieganod la volontà degli stessi autori alle esigenze commerciali. Non sono rari i casi in cui questi disegnatori soffrono di malattie depressive o legate ad un eccessivo sforzo lavorativo, o in cui viene praticamente negata loro la possibilità di costruire una famiglia, o di prendersene cura, in quanto, essendo considerati strumenti nella mani degli editori, la loro vita deve svolgersi in funzione della produzione e del guadagno della casa editrice. Questo genere di fumetti, infatti, presenta prezzi abbastanza elevati, e sono proprio le case editrici a trarne il maggiore beneficio. Gli artisti solitemente non percepiscono guadagni proporzionati ai prezzi di vendita delle loro opere. Un altro aspetto che emerge dal film di Taylor è la tendenza ad applicare all'arte la stessa struttura capitalistica che vige e regola il mercato globale. In America, infatti, i detentori del mercato discografico e cinematografico sono per lo più i grandi gruppi, che hanno inglobato quelli minori, seguendo le regole della concorrenza su cui si basa il sistema capitalistico e che condurranno al dominio di poche ma potenti aziende. Si possono, però registrare reazioni da parte dei fruitori delle arti di tutto il mondo che vogliono poter usufrire dei prodotti con sempre maggiore libertà, concessa loro dai moderni mezzi di comunicazione. Così molti manga vengono diffusi su internet con delle scans che persone di tutto il mondo traducono in varie lingue e mettono a disposizione di tutti coloro che si interessano a questo genere.
Come molti hanno già osservato, B. Gaylor “ci illumina” su una realtà a cui non avevamo pensato: gli interessi che si nascondono dietro al copyright, i limiti che si cerca di imporre alla libera divulgazione della cultura. Neanche io ci avevo pensato! Ma facciamo un passo indietro: supponiamo di non sapere che esistono interessi economici, giochi di potere, ecc.. Insomma, dimentichiamo per un attimo che il diritto d’autore ha un’origine giuridica, un valore legale e economico. Consideriamo piuttosto quest’espressione, semplicemente, come il diritto dell’autore di salvaguardare la sua opera, il proprio merito. Cosa può spingere un artista a difendere il proprio diritto d’autore? Forse una sorta di “gelosia” (giustificabile, o almeno, comprensibile) verso la sua opera? Il timore che venga alterata, manipolata, corrotta? Anche a quest’ipotesi ci sarebbe una risposta: l’opera artistica è anche, se non innanzitutto, un atto di generosità. Lo scopo di un prodotto artistico (letterario, musicale..) non può essere soltanto l’autoaffermazione e il successo individuale, ma c’è sempre, speriamo, un desiderio di comunicazione, l’esigenza di condivisione, di trasferire agli altri un pensiero, un’emozione, un sapere. E nel momento in cui si decide di far questo, si decide di farlo SENZA RISERVE, NE’ CONDIZIONI. E’ questo che distingue l’opera artistica da qualsiasi altro tipo di prodotto e l’artista da qualsiasi altro tipo di lavoro. Comprendo, lo ribadisco, l’esigenza di “tutelarsi”, un’esigenza certamente concreta in molti casi. Tuttavia, è un aspetto di questo lavoro che dovrebbe essere del tutto secondario. Il vero artista, forse, dovrebbe considerarlo così marginale da disinteressarsene.
Come molti di noi hanno già osservato, B. Gaylor “ci illumina” su una realtà a cui non avevamo pensato: gli interessi che si nascondono dietro al copyright, i limiti che si cerca di imporre alla libera divulgazione della cultura. Neanche io ci avevo pensato! Ma facciamo un passo indietro: supponiamo di non sapere che esistono interessi economici, giochi di potere, ecc.. Insomma, dimentichiamo per un attimo che il diritto d’autore ha un’origine giuridica, un valore legale e economico. Consideriamo piuttosto quest’espressione , semplicemente, come il diritto dell’autore di salvaguardare la sua opera, il proprio merito. Cosa può spingere un artista a difendere il proprio diritto d’autore? Forse una sorta di “gelosia” (giustificabile, o almeno, comprensibile) verso la sua opera? Il timore che venga alterata, manipolata, corrotta? Anche a quest’ipotesi ci sarebbe una risposta: l’opera artistica è anche, se non innanzitutto, un atto di generosità. Lo scopo di un prodotto artistico (letterario, musicale..) non può essere soltanto l’autoaffermazione e il successo individuale, ma c’è sempre, speriamo, un desiderio di comunicazione, l’esigenza di condivisione, di trasferire agli altri un pensiero, un’emozione, un sapere. E nel momento in cui si decide di far questo, si decide di farlo SENZA RISERVE, NE’ CONDIZIONI, senza temerne le conseguenze. E’ questo che distingue l’opera artistica da qualsiasi altro tipo di prodotto e l’artista da qualsiasi altro tipo di lavoro. Comprendo, lo ribadisco, l’esigenza di “tutelarsi”, un’esigenza certamente concreta in molti casi. Tuttavia, è un aspetto di questo lavoro che dovrebbe essere del tutto secondario. Il vero artista, forse, dovrebbe considerarlo così marginale da disinteressarsene.
La visione del film Rip,che non conoscevo,mi è piaciuta davvero molto. A volte non ci rendiamo conto del fatto che il "playgiarism" che è ben lungi dall'essere un plagio in senso negativo è ovunque intorno a noi. Se si volesse vietare il playgiarism,allora si dovrebbe negare tutta la nostra cultura. Credo che fin dall'antichità classica si sia tentato di negare la "copia" seppur rielaborata,di altri autori.Pensiamo a Plauto e Terenzio,nella cui epoca copiare anche solo un rigo da un altro testo era perseguibile con pene molto severe. E pensiamo da quel momento quante altre volte il riuso,seppur originale,di materiale preesistente,ha destato scalpore e addirittura problemi giudiziari. Solo quando accetteremo che l'originalità pura non è creare dal nulla,ma deriva dal bagaglio culturale e dagli stimoli di ogni singolo oggetto o prodotto della società,allora si potrà arrivare ad una nuova concezione,nonchè forse la più giusta sia di originalità e di plagyarism. Sabrina Brillante
Appena reduce dalla visione del film Rip non posso fare a meno di incominciare a scrivere alcune osservazioni al riguardo.
RispondiEliminaNon starò qui a fare un riassunto breve e coinciso della trama perché non vi è una trama di fondo in questo documentario, se non un obbiettivo ben preciso: dimostrare come il copyright abbia passato ogni limite. Personalmente, su questa questione non ci avevo mai riflettuto più di tanto e questo film in soli 50 minuti è riuscito ad aprirmi la mente ad orizzonti che fino adesso non mi erano mai saltati agli occhi..ma c’erano! Tante sono infatti le frasi che mi hanno fatto riflettere; la prima in assoluto è stata quella iniziale: “Questo film parla di una guerra, una guerra sulle idee. Il terreno di questa battaglia è internet. Da una parte ci sono i copyright, mentre nel fronte opposto ci sono i copyleft". Così facendo il regista Gaylor ci invita a riflettere e a dare una nostra definizione di fondo alla parola plagio. Di fatti, a mio parere, è proprio questo il punto: vi siete mai chiesti che cosa significasse questa parola, prima della visione di questo film? Sicuramente si. Se cerchiamo su Wikipedia il suo significato, noteremo che la parola plagio è legata a diversi campi (diritto d’autore, diritto penale, diritto romano), ma l’idea comune che li unisce è quella di reato. Tuttavia, la definizione o, per meglio dire, la visione che Gaylor ci offre sul plagio e sulla questione dei copyright è ben diversa. Attraverso, infatti, tutta una serie di esempi (dal suo artista preferito Girl Talk a una delle più grandi aziende del mondo nel campo dei media, ossia la Walt Disney), Gaylor cerca di abbattere tutti i cliché che fino ad ora ci sono stati imposti. Per la prima volta ho capito cosa significa la parola “pubblico dominio”, tanto sfruttata nel nostro parlare quotidiano, ma che in realtà non mettiamo quasi mai in atto. Non a caso egli intervista Lawrence Lessig, giurista statunitense che appoggia pienamente questa idea di “cultura libera”, affermando che oggigiorno si stanno creando delle leggi che trasformano i nostri stessi figli in criminali. Lessig quindi sottolinea quel paradosso che si è creato nel secolo scorso; infatti, vi è un momento in cui egli afferma che tutte le invenzioni culturali sono state da sempre di dominio pubblico, tranne in un secolo, ossia il XX. Chi infatti almeno una volta nella sua vita non ha scaricato musica, film o fotocopiato libri? Credo nessuno. Eppure questa società ci condanna per questo e ci fa credere che questo sia plagio e che il plagio a sua volta significhi “rubare”. Così “Rip: a remix manifesto” ci da la possibilità di aprire per un momento gli occhi: “Il remix ha il potere di dire le cose diversamente”. Concordo pienamente con questa frase perché non vi è stato uomo al mondo che non abbia scritto o prodotto qualsiasi tipo di opera, se non attraverso il frutto di altre idee. E questo non è plagio, ne violazione dei diritti d’autore; per me è qualcosa di molto di più: è il fondere mondi diversi e crearne altri nuovi. La musica è l’esempio emblematico di quanto detto perché, a mio avviso, è la prima matrice culturale in assoluto di un paese; la musica ci definisce, ma ci permette anche di viaggiare ed andare oltre tutti i confini che le nostre società ci impongono. Ormai sono quasi 5 anni che mi ritrovo a studiare in questo ateneo e per tutti e 5 anni non hanno fatto altro che insegnarci che studiare lingue significa anche confrontarsi. Eppure la realtà è ben diversa; è triste ed amara perché per anni ci insegnano che viviamo in un mondo unico e globalizzato, ma che poi, di fondo, tanto globalizzato non è.
Anna Barbieri
Partendo dal presupposto secondo il quale, a mio parere, le idee non debbano essere considerate proprietà private di qualcuno dal momento in cui questo “qualcuno” ha acconsentito alla loro diffusione (si tratti di idee espresse attraverso le frasi di una canzone, o attraverso quelle di un film), quello che più mi colpisce (forse ingiustamente se diamo un’occhiata alla realtà che ci circonda) è il fatto che la “pretesa dei diritti di copyright” non si basa sulla tutela della creatività personale di colui che ha scritto quella canzone o musica, ma viene fatta solo ed esclusivamente per ottenere un risarcimento economico, la qual cosa ci fa un momento dubitare sull'idea di arte e creatività che fino ad ora pensavamo di aver acquisito. Personalmente, credo che l’arte sia un patrimonio ed in quanto tale debba essere a disposizione di tutti (l’idea di “cultura libera” che l’avvocato Lawrence Lessig espone nel film in opposizione al concetto di "proprietà intellettuale"), e se quella determinata musica o canzone viene ripresa e resa maggiormente fruibile agli ascoltatori, questa non deve essere considerata un’azione illegale o addirittura un furto, ma al contrario deve essere concepita come la volontà di rendere l’arte sempre attuale ed adatta al pubblico che, dalla sua parte, cambia sistematicamente nei gusti e nella mentalità.
RispondiEliminaLisa Lucchetti
"Credo che la differenza sia perché una generazione è cresciuta in un'era in cui il computer è per forza di cose un'estensione della propria mente. Per loro è normale volere istantaneamente accesso ad ogni pezzo di musica mai registrato, per connetterlo ed innovarlo in maniere sempre nuove. Abbiamo un rapporto diverso con l'informazione rispetto al passato, le generazioni precedenti si chiedono se la pratica del remix sia importante perché effettivamente loro non hanno mai fatto nulla di simile. Per loro interattività è sinonimo di telefono o telecomando e il modello mentale è quello di pensare all'accesso all'informazione come un furto".Mi ha colpito più di tutte questa citazione di Brett che pone attenzione, in merito alla questione del copyright e della cultura remix, su una problematica più ampia, ovvero le differenze generazionali che pongono a confronto due epoche completamente differenti e punti di vista contrastanti. La cultura del "remix" è tra noi, e non tra i nostri avi, siamo noi i navigatori (giovani ma non solo), che scarichiamo normalmente dal web e rielaboriamo a nostro piacimento musica, testi, video, fotografie, dando vita a nuove opere creative, dentro e fuori dalla rete,ad un'arte che magari non è altro che una copia di qualcosa già preesistente, ma pur sempre è arte. Tutto ciò utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia. E allora mi chiedo, perchè è un'arte illegale? Il film fa una panoramica proprio sul problema del copyright, dei diritti d'autore, del sistema di plagio che per me andrebbero superati, in una società dove lo scambio di idee, argomenti, di un banale "file multimediale" dovrebbe essere alla base di tutto. Ma il problema sta proprio li, nell'accettare e nel condividere liberamente il frutto di una propria creatività.. e di non "trarne profitto" solo a proprio piacimento, ma di farne profitto e lasciar che tutti ne possano usufruire.
RispondiEliminaTesone Luana
In accordo con il film visionato, o meglio con l’idea che vuole comunicare, la mia idea sulle arti, sulle produzioni dell’animo, è sempre stata legata all’immagine di un albero. Nel mio percorso quotidiano provo a laurearmi in Lettere, ed ho studiato Boccacio, quanto egli abbia uno stretto legame con il Petrarca, quanto entrambi facciano derivare idee e concetti da Dante. Uno solo dei milioni d’esempio che in letteratura è possibile fare. Le arti hanno da sempre radici indissolubili, questo è assodato. Gli elementi costitutivi delle radici appartengono a loro volta a rami, corteccia, foglie. Arrivando al punto voglio dire semplicemente che ritrovare nel nuovo elementi vecchi è quasi un ovvietà. Esiste a mio parere una linea sottile tra il giudicare le pene, e giudicare il senso vero e proprio del “copiare” o del “mixare”. Le questioni sono due: Se sia giusto o meno appropriarsi di un’idea che generalmente può essere pensata da chiunque; e poi il senso di esasperata giustizia (“illegal downloading”) preso in considerazione dal film.
RispondiEliminaRiguardo questa seconda questione la mia idea è semplice. L’esagerazione storpia.. sempre. Solitamente si dibatte su quanto difficile sia provare a combattere un sistema; in questo caso sembra quasi che sia il sistema stesso a battere sulla carta quel “marketing” delle case discografiche. La reazione, dovuta a voler aumentare sempre di più la presa di controllo su un pubblico non ben addomesticato, è troppo violenta, e allo stesso tempo inefficace (come il film dimostra). Fatta eccezione di poveri soggetti persi in causa, il pubblico non viene toccato come voluto dalla questione; il fatto che qualcuno abbia pagato, invece di fingere d’esempio, funge da stimolo al ribellarsi. D’altronde l’insaziabile fame di potere delle case discografiche è paragonabile alla fame di ogni impresa imprenditoriale. C’è da dire comunque che come per chi antichi esisteva il “mecenatismo”, le industrie discografiche sono NECESSARIE e la loro impronta è DECISIVA per la formazione e per la figura dell’artista. Le loro pretese saranno eccessive, ma giudicare questo ci fa cadere nell’equivoco. Il controllo in ogni eccesso è ridicolo, ma in buona misura deve esserci. Con questo pensiero di chiusura a questa questione, introduco la prossima relativa al possesso delle idee. Attingere, come spiegavo inizialmente con l’idea dell’albero, è LECITO. “Mixare” per intendere “cambiar forma producendo a nuova volta una NOVITà” deve essere a mio parere ugualmente lecito. Ma io credo in certi LIMITI.
Un nuovo esempio che possa spiegare il mio pensiero. Guardando il film in classe, ogni singola persona si è fatta un’idea. Volendo commentare avrei potuto dire: “Su questa questione non ci avevo mai riflettuto più di tanto e questo film in soli 50 minuti è riuscito ad aprirmi la mente ad orizzonti che fino adesso non mi erano mai saltati agli occhi. Personalmente, credo che l’arte sia un patrimonio ed in quanto tale debba essere a disposizione di tutti. Abbiamo un rapporto diverso con l'informazione rispetto al passato, le generazioni precedenti si chiedono se la pratica del remix sia importante perché effettivamente loro non hanno mai fatto nulla di simile.”
Per farla breve.. io ho copiato. Queste righe filano, ma non sono righe mie. Sono pensieri dei miei colleghi che ho accostato l’uno all’altro. Eppure sono tre diverse persone con tre diverse idee. Qualcuno potrebbe farlo con me e creare una fantastica catena! Ma il suo scopo? Io credo che sia possibile fare qualcosa di significativo e d’impronta attingendo, sviluppando, e arricchendo il messaggio precedente. Ma credo anche che in un certo senso un’idea, anche se convenzionalmente ha un potenziale pensabile in ognuno di noi, se fa luce.. rimane tua. Diviene una questione di priorità? Una gara delle idee? Può darsi.. ma non tutte le persone sono destinate ad avere uno stesso percorso nonostante la vita permetta di scegliere, non tutti hanno le stesse possibilità. Il MERITO è da attribuire e preservare nonostante le novità tecnologiche.
Roberta Bonetti
Questo film mi ha spinto a riflettere su alcune questione sulle quali non mi ero mai soffermata fino ad ora e soprattutto sulla mia idea di plagio. Come me, penso che un po' tutti abbiano fino ad ora pensato al plagio come qualcosa di negativo. Basti pensare che il termine plagio deriva dal latino "plagium" che significa "furto, rapimento" e che si riferisce all'appropriazione parziale o totale di un'opera dell'ingegno altrui. Ma secondo il regista del film, Brett Gaylor "il remix ha il potere di dire le cose diversamente". Questa frase, mette in evidenza la sua idea principale che a questo punto mi trovo a condividere pienamente e cioè che non si può parlare di plagio in senso negativo quando si crea qualcosa di nuovo soltanto prendendo spunto dal passato. E'proprio questo quello che fa il protagonista del film Girl Talk: taglia, riarrangia, manipola pezzi di altre canzoni per dar vita a suoni del tutto nuovi. Nonostante il prodotto finale sia diverso da quello iniziale, coloro che detengono il copyright credono che questo costituisca un reato. Siamo dunque tutti perseguibili penalmente, tutti criminali in quanto credo che oggi come oggi, in un'epoca in cui domina l'evoluzione, sia davvero difficile, se non impossibile, trovare qualcuno che non abbia mai scaricato una canzone o un film da internet. Ed ecco che emerge uno degli apetti principali del documentario ossia il rapporto conflittuale tra passato e presente, tra public domain e copyright. Personalmente penso che impedirci di utilizzare il passato per creare il nostro presente ci limiti nella nostra creatività in quanto per citare un'altra frase del manifesto : "la cultura è sempre costruita sul passato".
RispondiEliminaClaudia Meoli
Dopo aver preso visione del film,ho riflettuto su alcuni punti che sinceramente non avevo preso in considerazione precedentemente.
RispondiEliminaIl documentario tratta argomenti piuttosto attuali, e come lo stesso Gaylor afferma, esso rigurda una "guerra sulle idee". Il regista da una parte ci parla del copyright, dall'altra del copyleft che rappresenta il pubblico dominio.
"Rip:a remix manifesto" offre spunti significativi di riflessione: partiamo dal protagonista Girl Talk, un'artista di mash- up,il quale non fa altro che prendere copie di canzoni ed unirle. Non si tratta di riarrangiare un testo, come molti possono pensare, bensì di crearne uno completamente nuovo. E'questo probabilmente il messaggio più significativo che intende inviare il regista. Se ritorniamo indietro nel tempo,infatti, i più grandi autori,filosofi si sono ispirati alle idee di altri. Dunque possiamo dire che il plagio sia una pratica diffusa fin dall'antichità. Tuttavia, tale termine è sempre associato ad una connotazione negativa. A testimonianza di ciò, se prendiamo un dizionario qualsiasi, la definizione della parola "plagio" è intrinsecamente negativa. Tra le tante cito:"PLAGIO, appropriazione dell'opera o di parte di un'opera artistica, letteraria o scientifica altrui, per spacciarla come propria".
E' chiaro che il remix ha radici molto antiche, esso "da il potere di dire le cose diversamente"; dunque il mixato non è assolutamente un reato, dal momento che indica la trasformazione in qualcosa di creativo.
A mio avviso, la chiave di lettura del documentario può essere racchiusa in una delle frasi che più mi ha colpito: "la cultura è sempre costruita sul passato".
Per concludere ho trovato "Rip" un film davvero interessante, in quanto mette a nudo temi che probabilmente non tutti prendono in considerazione. Ciò che più mi ha colpito negativamente, è aver meglio compreso il fine ultimo del copyright, ovvero anzichè tutelare i diritti degli autori, esso tutela gli editori, le aziende...
In questo modo tutti noi diventiamo "criminali"(riprendendo il termine usato da Lessig nel film) soltanto fotocopiando libri, scaricando musica o film...
Ma allora mi chiedo, chi di noi non ha commesso "reati" in un mondo dove la tecnologia prende il sopravvento?
Barba Ornella
La visione del documentario di B. Gaylor è stata efficace, ha mutato la mia idea sulla difesa della proprietà intellettuale, un' idea fondata su considerazioni del tutto errate; il copyright non difende l'artista e le idee, ma gli interessi ed il profitto, esso di fatto ostacola il processo creativo, il progresso ed il rinnovamento, non tutela ,quindi, l'arte da un utilizzo arbitrario, in quest'ultimo caso sarebbe anche lecita la sua esistenza, ma tutela, invece, posizioni dominanti; una rigida difesa del copyright impedisce lo sviluppo, come è nata la fotografia? come è nato "Alla ricerca del tempo perduto " di Proust? come è nata la cultura? . Il copyright è espressione del nostro secolo fondato sulle privatizzazioni, esso assicura diritti e libertà a coloro i cui redditi e stili di vita non necessitano miglioramenti, lasciando ben poco agli altri.
RispondiEliminaCredo che la questione sia sostanzialmente complessa. Innanzitutto farei una distinzione tra l’appropriazione e l’utilizzo di un’idea: ritengo che, nel caso di un remix in cui le idee vengono miscelate, rielaborate, riutilizzate, presumere una sorta di risarcimento di questi riutilizzi sia eccessivo e ridicolo, dal momento in cui una canzone è fatta per essere “vissuta” in tutte le sue applicazioni, e che un remix è il risultato di una creatività personale; se invece ci troviamo di fronte ad una copia, o ad una appropriazione di una idea, allora credo che alcune misure per tutelare un artista debbano essere prese. Fondamentalmente un artista vive sulle e grazie alle sue opere, ragion per cui, seppur vi sono artisti che non si fanno problemi a diffondere senza scopo di lucro la propria arte, altri preferiscono raccogliere i frutti delle loro opere, e credo sia ipocrita ridurre questo concetto al fatto che l’arte debba essere di pubblico dominio, dal momento che condanneremmo la maggior parte degli artisti di questo mondo a vivere sotto i ponti. Tuttavia, poiché molti aspetti di questo mercato non vanno a favore dell’artista ma dell’industria, e di conseguenza non parliamo più di una questione etica ma di un questione esclusivamente economica, si tratta di una speculazione economica sull’arte che penso debba essere combattuta, dal momento che per questioni economiche si arriva a scadere nell’assurdo, specialmente se si sforano i limiti della razionalità come nel caso delle multe ricevute da dei bambini di Chernobyl perché cantando delle canzoni senza richiederne l’autorizzazione hanno violato i diritti d’autore: questa non è una violazione, ma è semplicemente ridicolo! Se da un lato penso che in un certo qual modo l’artista debba essere tutelato, dall’altro condanno la monopolizzazione dell’arte, dal momento che, quando ci sono di mezzo i monopoli, si rientra in un campo di sfruttamento che è sempre a favore di pochi e a discapito di molti. Lo stesso vale per i libri, il copyright nasce come diritto specifico dell’editore, su cui l’autore non poteva recriminare né guadagnare, perché la funzione dell’editore era in particolare una funzione di controllo sui libri che potevano diffondersi all’epoca.. tutt’altro che un diritto di autore! Bisognerebbe perciò distinguere il diritto dell’autore dal diritto di questi intermediari, senza rischiare, nel tentativo di sabotare i secondi, di danneggiare anche i primi. Tuttavia, per riprendere un’altra questione che il documentario evidenzia, non si può ignorare il fatto che la tecnologia e l’informatica stanno dominando il mondo della comunicazione, e che quindi bisogna adattarsi a queste evoluzioni, non imponendo legislazioni che vadano contro le stesse e che ci facciano automaticamente cadere nella contraddizione; bisognerebbe raggiungere per cui dei compromessi, non dimenticando di mettere nel piatto anche l’interesse dell’artista.
RispondiEliminaMarianna Iodice
Il film documentario di Brett Taylor illustra molto bene come le grandi case editrici e le grandi case discografiche abbiano sollecitato la politica affinchè promuovesse leggi volte alla protezione dei loro interessi più che a quelli degli artisti.
RispondiEliminaQuesti ultimi a volte vengono ostacolati dalle stesse leggi che dovrebbero tutelarli.
Inoltre essi sono visti come dei veri e propri strumenti di guadagno, che le case editrici possono sfruttare e mettere sotto pressione per ricavarne profitti.
Un caso poco noto delle pressanti condizioni a cui alcuni artisti sono sottoposti è quello dei mangaka, ovvero i disegnatori di manga, costretti a rispettare scadenze estremamente rigide, a confrontarsi all'interno di un mercato spietato dove è difficile emergere, ed acconsentire a condizioni di lavoro che non sempre tengono conto dei diritti dell'individuo.
Alcuni di loro sono costretti a lavorare ininterrottamente per portare a termine i loro lavori nei termini stabiliti dagli editori,e questi ultimi hanno anche la possibilità di esprimere pareri, preferenze, giudizi ed apportare modifiche alle opere originarie di questi disegnatori, sulla base dei dati forniti dal mercato per aumentare le vendite e possibilmente esportare il prodotto, pieganod la volontà degli stessi autori alle esigenze commerciali.
Non sono rari i casi in cui questi disegnatori soffrono di malattie depressive o legate ad un eccessivo sforzo lavorativo, o in cui viene praticamente negata loro la possibilità di costruire una famiglia, o di prendersene cura, in quanto, essendo considerati strumenti nella mani degli editori, la loro vita deve svolgersi in funzione della produzione e del guadagno della casa editrice.
Questo genere di fumetti, infatti, presenta prezzi abbastanza elevati, e sono proprio le case editrici a trarne il maggiore beneficio.
Gli artisti solitemente non percepiscono guadagni proporzionati ai prezzi di vendita delle loro opere.
Un altro aspetto che emerge dal film di Taylor è la tendenza ad applicare all'arte la stessa struttura capitalistica che vige e regola il mercato globale.
In America, infatti, i detentori del mercato discografico e cinematografico sono per lo più i grandi gruppi, che hanno inglobato quelli minori, seguendo le regole della concorrenza su cui si basa il sistema capitalistico e che condurranno al dominio di poche ma potenti aziende.
Si possono, però registrare reazioni da parte dei fruitori delle arti di tutto il mondo che vogliono poter usufrire dei prodotti con sempre maggiore libertà, concessa loro dai moderni mezzi di comunicazione.
Così molti manga vengono diffusi su internet con delle scans che persone di tutto il mondo traducono in varie lingue e mettono a disposizione di tutti coloro che si interessano a questo genere.
Come molti hanno già osservato, B. Gaylor “ci illumina” su una realtà a cui non avevamo pensato: gli interessi che si nascondono dietro al copyright, i limiti che si cerca di imporre alla libera divulgazione della cultura. Neanche io ci avevo pensato!
RispondiEliminaMa facciamo un passo indietro: supponiamo di non sapere che esistono interessi economici, giochi di potere, ecc.. Insomma, dimentichiamo per un attimo che il diritto d’autore ha un’origine giuridica, un valore legale e economico. Consideriamo piuttosto quest’espressione, semplicemente, come il diritto dell’autore di salvaguardare la sua opera, il proprio merito. Cosa può spingere un artista a difendere il proprio diritto d’autore? Forse una sorta di “gelosia” (giustificabile, o almeno, comprensibile) verso la sua opera? Il timore che venga alterata, manipolata, corrotta? Anche a quest’ipotesi ci sarebbe una risposta: l’opera artistica è anche, se non innanzitutto, un atto di generosità. Lo scopo di un prodotto artistico (letterario, musicale..) non può essere soltanto l’autoaffermazione e il successo individuale, ma c’è sempre, speriamo, un desiderio di comunicazione, l’esigenza di condivisione, di trasferire agli altri un pensiero, un’emozione, un sapere. E nel momento in cui si decide di far questo, si decide di farlo SENZA RISERVE, NE’ CONDIZIONI. E’ questo che distingue l’opera artistica da qualsiasi altro tipo di prodotto e l’artista da qualsiasi altro tipo di lavoro.
Comprendo, lo ribadisco, l’esigenza di “tutelarsi”, un’esigenza certamente concreta in molti casi. Tuttavia, è un aspetto di questo lavoro che dovrebbe essere del tutto secondario. Il vero artista, forse, dovrebbe considerarlo così marginale da disinteressarsene.
Rossana Silvestre
Come molti di noi hanno già osservato, B. Gaylor “ci illumina” su una realtà a cui non avevamo pensato: gli interessi che si nascondono dietro al copyright, i limiti che si cerca di imporre alla libera divulgazione della cultura. Neanche io ci avevo pensato!
RispondiEliminaMa facciamo un passo indietro: supponiamo di non sapere che esistono interessi economici, giochi di potere, ecc.. Insomma, dimentichiamo per un attimo che il diritto d’autore ha un’origine giuridica, un valore legale e economico. Consideriamo piuttosto quest’espressione , semplicemente, come il diritto dell’autore di salvaguardare la sua opera, il proprio merito. Cosa può spingere un artista a difendere il proprio diritto d’autore? Forse una sorta di “gelosia” (giustificabile, o almeno, comprensibile) verso la sua opera? Il timore che venga alterata, manipolata, corrotta? Anche a quest’ipotesi ci sarebbe una risposta: l’opera artistica è anche, se non innanzitutto, un atto di generosità. Lo scopo di un prodotto artistico (letterario, musicale..) non può essere soltanto l’autoaffermazione e il successo individuale, ma c’è sempre, speriamo, un desiderio di comunicazione, l’esigenza di condivisione, di trasferire agli altri un pensiero, un’emozione, un sapere. E nel momento in cui si decide di far questo, si decide di farlo SENZA RISERVE, NE’ CONDIZIONI, senza temerne le conseguenze. E’ questo che distingue l’opera artistica da qualsiasi altro tipo di prodotto e l’artista da qualsiasi altro tipo di lavoro.
Comprendo, lo ribadisco, l’esigenza di “tutelarsi”, un’esigenza certamente concreta in molti casi. Tuttavia, è un aspetto di questo lavoro che dovrebbe essere del tutto secondario. Il vero artista, forse, dovrebbe considerarlo così marginale da disinteressarsene.
La visione del film Rip,che non conoscevo,mi è piaciuta davvero molto. A volte non ci rendiamo conto del fatto che il "playgiarism" che è ben lungi dall'essere un plagio in senso negativo è ovunque intorno a noi. Se si volesse vietare il playgiarism,allora si dovrebbe negare tutta la nostra cultura. Credo che fin dall'antichità classica si sia tentato di negare la "copia" seppur rielaborata,di altri autori.Pensiamo a Plauto e Terenzio,nella cui epoca copiare anche solo un rigo da un altro testo era perseguibile con pene molto severe. E pensiamo da quel momento quante altre volte il riuso,seppur originale,di materiale preesistente,ha destato scalpore e addirittura problemi giudiziari. Solo quando accetteremo che l'originalità pura non è creare dal nulla,ma deriva dal bagaglio culturale e dagli stimoli di ogni singolo oggetto o prodotto della società,allora si potrà arrivare ad una nuova concezione,nonchè forse la più giusta sia di originalità e di plagyarism.
RispondiEliminaSabrina Brillante