Federman scive:
"Sei nato playgiarizer o non lo sei. E' semplice. Le leggi del playgiarism non sono scritte, è un tabù, come l'incesto, e come tale non può essere legalizzato. I playgiarizers più grande di tutti i tempi, Omero, Shakespeare, Rabelais, Diderot, Rimbaud, Proust, Beckett, e Federman non hanno mai preteso di fare altro che playgiarizing. Scrittori di statura inferiore negano di far ricorso al playgiarism perché confondono il plagio con playgiarism. Non sono la stessa cosa. La differenza è enorme, ma nessuno è mai stato in grado di dire di cosa si tratta. Non può essere misurato in peso o dimensione. Il plagio è triste. Piange, si lamenta. Si scusa sempre. Il playgiarism invece ride tutto il tempo. Si prende gioco di quello che fa mentre lo sta facendo".
Esercizio di playgiarism:
Ogni studente dovrebbe prendere una pagina da qualsiasi luogo (meglio se strappano una pagina da un libro - li mette ancora più a disagio) e creare una poesia coprendo con elementi grafici alcune frasi.
Suggerimenti:
-Evitare il collage da riviste: divieto di procurarsi elementi grafici da riviste.
-Dare alla classe parti del Manifesto futurista e chiedere loro di remixarlo selezionando alcune parole.
[http://it.wikipedia.org/wiki/Manifesto_del_futurismo]
Spunti di discussione:
1. Cosa pensi che Federman intende quando cita i nomi di Omero, Shakespeare, Rabelais, Diderot, Rimbaud, Proust, Beckett, e (se stesso) come i più grandi playgiarizers?
2. Confronta playgiarism e plagio.
3. Federman pensa che sei nato playgiarizer oppure non lo sei. Ora che avete un'idea di ciò che è playgiarism, hai mai creato qualcosa che possiamo considerare playgiarism? Hai mai fatto qualcosa che non fosse playgiarism? Come fai a sapere la differenza?
4. E' possibile essere un playgiarist originale? Come si stabilisce tra due playgiarisms queale è stato più originale?
Lavori studenti:
(click per ingrandire l'img)
Luisa Esposito |
Ornella Barba |
Benedetta Petrosino |
Marianna Iodice |
Daniele Giovannone |
Lisa Lucchetti e Sabrina Brillanti |
Filomena Prisco |
Penso che Federman consideri playgiarizers i suddetti autori perchè erano consapevoli che "la cultura è sempre costruita sul passato".
RispondiEliminaConsidero plagio copia, una simile riproduzione dell'originale; l'autore di un plagio tende a negare l'influenza dell'originale, quindi a nascondere la sua ispirazione.
PLA(Y)GIARISM è spunto, è un prodotto realizzato con materiali noti il cui risultato finale, però, è diverso da quest'ultimi, un prodotto, quindi,che non nasconde i suoi elementi compositivi, ma, li evidenzia e grazie ad essi nasce un'opera nuova; di conseguenza l'autore sottolinea la sua ispirazione, e la sua bravura , secondo me,si fonda, anche, sulla capacità di allontanarsi dagli elementi di base attribuendo ad essi un significato o valore nuovo.
Prisco Filomena
E' evidente che l'intenzione di Federman sia quella di ridicolizzare l'idea del plagio e soprattutto la propensione a far passare il plagio come un'illegalità oltre che un furto. Forse plagio e playgiarism non sono da intendersi quali concetti differenti ma come "faccie della stessa medaglia", ovvero due interpretazioni contrastanti (l'una negativa e l'altra positiva) della volontà di riprendere il passato ed attualizzarlo. Le case discografiche ad esempio, considerano questa attualizzazione dell'arte del passato in maniera negativa e quindi le danno il nome di "PLAGIO"; gli autori, invece, considerano la ripresa e l' attualizzazione dell'arte del passato in maniera positiva e ironica, e le danno il nome di "PLAYGIARISM". Nel primo caso si fa riferimento ad un'azione sbagliata e illegale, mentre nel secondo caso si vuole esprimere il bisogno di rifarsi al passato per acquisire dei punti di riferimento e partire da questi per dimostrare la propria creatività. A tal proposito Federman inserisce nella discussione anche i nomi di grandi autori del passato come Omero, Rimbaud ecc. perche' questi ultimi hanno fatto del playgiarism la base della loro opera. Cio' significa che hanno ripreso la cultura del passato e sono partiti da questa per attualizzarla, arricchendola di valori nuovi e creatività propria.
RispondiEliminaLisa Lucchetti
Riguardo la differenza tra “pla(y)giarism” e plagio.
RispondiEliminaL’elemento che oltre a segnare la differenza centrale tra “plagio giocoso” e plagio, mi sembra stabilisca la natura stessa del plagio giocoso, è il rapporto con “l’originale”, inteso come la fonte da cui trae origine l’operazione di “remix”. Il plagio giocoso non solo non nasconde il suo legame con l’originale, ma in un certo senso lo esalta: quando Girl Talk, nel documentario visto a lezione, utilizza l’assolo di un brano dei Queen come elemento per realizzare uno dei suoi mash-up, non può pensare che l’ascoltatore medio non riconosca uno dei passaggi strumentali più famosi della musica leggera. Lo stesso fanno i 2 many dj’s quando montano la voce di Beyoncè su Dreadlock Holidays dei 10cc (potete ascoltare il risultato qui: http://www.youtube.com/watch?v=AnuESiOt_yQ) , o il rapper Ice-T (oggi fortunato attore di fiction poliziesche) quando per accompagnare le sue rime usa riff di chitarra tratti da brani di Black Sabbath e Led Zeppelin o la celeberrima colonna sonora de “L’esorcista” (http://www.youtube.com/watch?v=rKckKbZ3O9w) . Si può dire che l’elemento “pla(y)giato” svolga un doppio ruolo: da un lato, contribuendo all’impalcatura musicale del brano, svolge il suo compito di “mattoncino” musicale; dall’altro, svelando immediatamente il suo ruolo di elemento impuro, assume apertamente il ruolo di citazione, coinvolgendo l’ascoltatore in una dimensione ludica in cui viene sfidato a cogliere le fonti. Quentin Tarantino, per fare un esempio al di fuori del campo musicale, compie esattamente la stessa operazione quando fa indossare ad Uma Thurman la tuta gialla che già fu di Bruce Lee: da un lato costruisce un’opera indipendente di grande fascino, dall’altro strizza l’occhio a chi condivide la sua passione per il cinema di arti marziali e non può non cogliere il riferimento.
Operazioni di questo tipo sono imparagonabili a quella che compie, per esempio (tornando nel campo della musica pop), Zucchero quando ripropone in modo sostanzialmente pedissequo un brano del pressoché sconosciuto cantautore agropolese Michele Pecora, cambiandone il titolo da “Era lei” a “Blu”, e dando a intendere che si tratti di un’opera della sua penna: non solo non sfrutta l’originale come trampolino per realizzare un’opera differente riproponendolo quasi invariato, ma sfrutta anche una fonte che ne’ il grande pubblico, ne’ una vastissima percentuale di intendori è in grado di riconoscere come tale.
Daniele Giovannone
Ritengo che il pensiero di Federman nel considerare questi grandi autori del passato come dei playgiarizers sia dovuto al fatto che il playgiarism sia inteso come una rielaborazione di elementi di qualunque genere allo scopo di fornire una produzione finale originale e diversa da ciascuno degli elementi utilizzati in principio:per dirne una,”Romeo e Giulietta” di Shakespeare è una rielaborazione di temi e personaggi contenuti in opere letterarie antecedenti allo stesso autore.Mentre il plagio è inteso coma la copia e appropriazione di un’opera altrui,è sterile, povero di creatività e triste,per riprendere il pensiero di Federman, il playgiarism non è una copia,ma è il risultato di una ispirazione che si è basata su diversi elementi con cui l’autore stesso viene a contatto:parliamo di musica,di libri,di opere,di scene di vita,anche del semplice contatto con la natura e con le persone,sono tutti spunti da cui una persona,in tal caso un playgiarizers,trae dei suggerimenti al fine di produrre un’opera che è una fusione di queste ispirazioni con le proprie idee,le proprie inclinazioni artistiche e la propria creatività,ragion per cui è evidente per Federman che in questo campo di artisti rientrino anche questi autori.Credo inoltre che l’opera di un playgiarizer sia tanto più originale quanto maggiormente riveli la capacità di miscelare gli elementi principali da cui attinge,dunque l’originalità è legata alla creatività artistica.
RispondiEliminaMarianna Iodice
Nel momento in cui fa riferimento a nomi importanti quali Omero,Shakespeare o Beckett, penso che Federman voglia sottolineare il fatto che, coloro che oggi sono considerati grandi ed unici autori del passato,possano essere lecitamente definiti "playgiarizers", senza che questo termine metta minimamente in discussione la loro genialità. Omero,in primis,è l'esempio lampante di tutto ciò. Basti pensare all'ancora insoluta "Questione Omerica": dopo anni e anni di studi,risulta ancora complicato attribuire ad una sola persona la paternità dell' Iliade e dell' Odissea, proprio perchè sono il risultato di un lavoro di "cucitura" di racconti in forma orale tramandati di padre in figlio,poi unificati nell'epos omerico. O ancora, pensiamo per un attimo a Shakespeare: oltre alla celeberrima tragedia "Romeo e Giulietta",per la cui tematica prese ispirazione da racconti già esistenti, basti pensare ai drammi d'argomento classico o storico :"Antonio e Cleopatra", "Coriolano", "Enrico VIII": tutti capolavori che, però,non sono frutto dell'invenzione del poeta, ma narrano fatti accaduti in passato. Alla luce di queste considerazioni, devono essere,questi autori, biasimati e considerati privi di originalità? Assolutamente no! Come afferma Federman, essi non commettono un "plagio",essi sono sono "playgiarizers",riescono,cioè, a rielaborare con ingegno e creatività gli argomenti,partendo da una base preesistente, ma personalizzandola a tal punto da allontanarla del tutto dalla "forma originale",senza mai scadere nella banalità e nella sterilità. Questa è la differenza tra playgiarism e plagio! Quanto al concetto di originalità, sì, penso che come, ogni artista,anche il playgiarizer può essere più o meno originale di un altro e credo che questo dipenda dalla creatività personale e dall'abilità nel mixare e fondere gli elementi originari con quelli nuovi.
RispondiEliminaPer quanto riguarda le esperienze personali, non avevo mai compiuto un atto di playgiarism prima dell'esercizio assegnato durante il laboratorio. Ora,in seguito all'"esperimento" credo di aver capito in cosa consista questa tipologia di arte.
Benedetta Petrosino
Federman cita grandi nomi per dimostrare che il palygiarism non solo non è sbagliato, ma a volte anche “necessario”. Guardare al passato e attingere da idee che sono patrimonio di una comunità per concretizzarle e, in alcuni casi “renderle immortali”: cosa sarebbe stato delle leggende cantate dagli aedi se Omero non le avesse “plagiate” e dato loro una forma scritta? Ovviamente non si tratta di copiare pedissequamente del materiale preesistente, si tratterebbe di plagio, che nulla aggiunge e nulla toglie all’idea di qualcun altro; il playgiarism è qualcosa di altamente creativo, che arricchisce e personalizza a seconda di quelle che siano il gusto e la sensibilità del playgiarizer. Prendiamo in esame “Moulin Rouge!” di Baz Luhrmann: qualche purista potrebbe definirlo un plagio sotto tutti i punti di vista: la trama ripresa da “La traviata” e “La signora delle Camelie”, la colonna sonora non è originale ma si tratta di hit e successi internazionali e perfino il look della protagonista è ispirato a quello di un’altra diva, Rita Hayworth; eppure, Baz Luhrmann ha lasciato la sua “impronta” modificando ambientazioni e personaggi e riarraggiando (chiaramente non in prima persona) le canzoni, trasformando il successo pop “Roxanne” in un tango e “The show must go on” quasi in un brano lirico. Paradossalmente quindi, un playgiarizer può essere più originale di un autore ex novo e il suo lavoro sarà tanto più innovativo quanto più distante dall’idea che ne è alla base e quanto più sarà identificabile lo stile del suo creatore. Si tratta in senso lato di un’alta forma di tributo, che vuole elogiare e non sfruttare un’idea altrui, non danneggiandola ma, a contrario, attualizzandola e garantendone la sopravvivenza (si pensi ancora una volta a Baz Luhrmann e a come abbia avvicinato i giovani ai classici con la sua versione moderna di “Romeo e Giulietta” con Di Caprio). Nell’era di google il playgiarism ha completato la sua diffusione : pensiamo ai video tribute postati su you tube ma anche a quando ciascuno di noi da piccolo parodiava le hit per canzonare qualche compagno; in definitiva, si può affermare che chiunque sia dotato di un minimo di creatività è un potenziale playgiarizer.
RispondiEliminaANNA VERRILLO
Credo che Federman consideri playgiarizers coloro che rimodellano un qualcosa di già essenzialmente creato, vede il playgiarism come un’idea di un prodotto non completamente copiato, ma il cui impianto narrativo sia nettamente riconoscibile in opere precedenti, pur cambiando contenuti, intenzioni, conclusioni. Il plagio, in termini di diritto commerciale in relazione alle opere di ingegno equivale alla contraffazione nel campo dei prodotti industriali. In pratica, se scrivessi un romanzo che parla di un trentacinquenne che compie un viaggio tra inferno, purgatorio e paradiso, commetterei un plagio, che è un reato. Il playgiarism è un rimescolamento, un ispirazione preso da un'opera per realizzarne un'altra fondendo gli elementi copiati e non.
RispondiEliminaAnnalisa Del Vecchio
Usare il termine playgiarizer non è per nulla offensivo, Federman nel coniarlo ha voluto dimostrare che prima di ogni altra cosa conti la creatività di una persona che partendo da fatti accaduti, racconti o materiali già esistenti produce un'opera propria completamente diversa dalla precedente, che in essa raccoglie e fonde le proprie idee e la propria creatività artistica e genialità.Questo secondo me il motivo per il quale i più grandi autori vengono citati come i più grandi playgiarizes.
RispondiEliminaIl plagio, invece altro non è che la copia dall'originale per cui la creatività non va affatto messa in pratica.Consiste quindi nell'appropriazione tramite una copia totale, della paternità di un'opera dell'ingegno altrui.
E' doveroso però aggiungere che "COPIARE NON è SBAGLIATO, MA NECESSARIO" non a caso nelle arti,il copiare è considerato una pratica fondamentale del processo creativo.
FABIANA RENZI
A mio avviso, il playgiarism di cui parla Federman è avvalorato da una realtà inconfutabile: nessuna idea è mai solamente nostra, ma è sempre il risultato di mille influenze, più o meno consapevoli. Nulla di ciò che pensiamo o facciamo è dovuto solo a noi stessi, al nostro ingegno, neanche ciò che sembra appartenerci più intimamente. Questo concetto non riguarda soltanto un’opera d’arte degna di attenzione, ma anche i gesti semplici e quotidiani: le nostre azioni, idee, opinioni, le nostre scelte, anche quelle che diamo per scontato e su cui non ci fermiamo a riflettere, sono il frutto di tante influenze. Ognuno di noi non è solo se stesso, ma è anche ciò che lo circonda: siamo i libri che leggiamo, i film che guardiamo, la musica che ascoltiamo, siamo i nostri amici, i nostri idoli, siamo i nostri genitori, anche quelli da cui ci sentiamo più diversi e distanti. Siamo tutti loro e tutto questo. Siamo permeabili al contesto intorno a noi, lo assorbiamo, inevitabilmente. Quand’è, dunque, che si può affermare “questa idea è mia”? E’ mia fino al momento in cui la tengo solo per me. A partire dall’istante in cui la esprimo e la condivido, possederla è impossibile. La mia idea si aggiungerà al flusso delle “influenze” che circolano liberamente. Il discorso dei grandi autori e della grandi opere è solo un’estensione di questo concetto. In altre parole, se una piccola idea non è mai solamente mia, neanche una grande idea può esserlo.
RispondiEliminaDire questo non significa certo negare il talento individuale. A questo punto potremmo affermare che il talento di un’artista risiede (il che non vuole affatto essere riduttivo) nella capacità di utilizzare tutte queste influenze in maniera interessante, appassionante, attraente per il pubblico. Mettere insieme le influenze, le idee. Questa è la sua idea.
Il playgiarizer è un’artista disposto a riconoscere questo meccanismo, a dichiararlo, forse perché, semplicemente, ne è più consapevole. Non ha bisogno di giustificarsi o discolparsi perché è il valore della sua opera a “difenderlo”, a parlare per lui. Colui che compie un plagio, al contrario, deve difendersi non soltanto da eventuali accuse, ma dalla sua stessa “arte”, il cui scarso valore lo smaschera, lo tradisce.
Rossana Silvestre