La consultazione per approvare le nuove regole di utilizzo rischia di non raggiungere il quorum del 30%. In questo caso resterebbero in vigore le attuali norme redatte senza il confronto con gli utenti. Privacy International e i blog: "Impossibile far votare 60 milioni di persone in una settimana".
http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/tecnologia/facebook-world/regole-privacy/regole-privacy.html
Il momento delle votazioni è arrivato: la lunga vicenda iniziata con le modifiche unilaterali alle Condizioni d'uso, proseguita nella successiva retromarcia e approdata a una redazione collettiva della nuova Dichiarazione dei Diritti e delle Responsabilità arriva ora alla fase finale.
RispondiEliminaI 200 milioni di "cittadini" di quella che se fosse reale sarebbe la quinta nazione al mondo per popolazione hanno tempo fino alle 11.59 del 23 aprile (secondo il Fuso orario del Pacifico, ossia le 2.59 del mattino secondo l'ora italiana) per esprimere la propria preferenza.
Sono due le possibilità tra le quali gli iscritti a Facebook possono scegliere: adottare la Dichiarazione redatta anche grazie al feedback ricevuto dagli utenti o mantenere le attuali Condizioni d'Uso, stabilite dall'azienda in autonomia.
Perché la votazione sia valida è richiesto un quorum del 30%: vale a dire che devono votare almeno 60 milioni di utenti attivi, ossia di utenti che hanno acceduto al social network negli ultimi trenta giorni.
In Rete c'è chi ritiene troppo poco il tempo concesso e troppo alto il numero delle persone che devono votare perché il referendum sia ritenuto valido; per questo, alcuni pronosticano un fallimento dell'iniziativa a priori.
Considerato che far sentire la propria opinione non richiede una quantità di tempo eccessiva e che può essere fatto in qualunque momento, forse la spiegazione di un eventuale insuccesso sarà da ricercare altrove: più semplicemente, è possibile che la maggior parte degli utenti di Facebook non abbia interesse a partecipare attivamente alla gestione del social network ma preferisca usarlo senza porsi troppe domande.
(da www.zeusnews.com) A 3 giorni dalla fine del referendum per approvare le nuove regole di utilizzo di Facebook, si rischia di non raggiungere il quorum del 30%. Se la votazione dovesse fallire, resterebbero in vigore le attuali norme redatte senza il confronto con gli utenti e duramente criticate per possibili violazioni della privacy.
Sono pessimi i risultati ottenuti finora su Facebook dal referendum sull'approvazione o meno delle nuove regole in materia di privacy che dovrebbero disciplinare il sito di social network. Si teme infatti che al termine della settimana concessa per il voto sui nuovi termini di servizio proposti, non venga raggiunto il quorum minimo dei votanti, ovvero il 30% degli iscritti (circa 60 milioni di persone).
L'idea di far votare gli utenti era stata dello stesso Mark Zuckerberg, ed era stata presa per cercare di placare le polemiche nate inseguito al tentativo orchestrato da Facebook di rendere propri i contenuti degli utenti postati sul network. Il referendum avrebbe dovuto stabilire se utilizzare le attuali regole sulla privacy o adottare le novità che sono state decise attraverso la selezione dei commenti inviati dagli utenti.
Purtroppo sono stati pochissimi gli utenti che, a 3 giorni dalla chiusura delle urne, hanno risposto al sondaggio: solo l'1% (300mila in italia su 9 milioni di iscritti) contro il 30% del quorum richiesto.
C'è già chi pensa, nonostante la scarsa vena degli utenti nel votare, che sia Facebook il responsabile di questo disastroso risultato, in quanto non avrebbe per nulla pubblicizzato la votazione.
Tra chi mette in dubbio la leggittimità della votazione c'è l'associazione Privacy International, che ha definito il voto una "truffa" a causa del quorum richiesto. Il pericolo è che, essendo quasi impossibile che una votazione raggiunga il 30%, l'amministrazione del sito continui a imporre le sue scelte senza ascoltare gli utenti. (da http://facebook-italia.blogspot.com/ )
Social network e privacy: la Ue riparte all'attacco di Facebook & Co.
RispondiEliminadi Gianni Rusconi-Sole 24 Ore
Internet è una risorsa fondamentale per tutti ma non può ledere un diritto fondamentale dei privati cittadini che navigano in Rete: quella della riservatezza dei dati che personalmente li riguardano. L'Unione Europea torna a farsi minacciosa nei confronti di Facebook, MySpace e degli altri siti di aggregazione per proteggere gli utenti del cyberspazio e i minori in particolare ed è il commissario Ue per la Società dell'Informazione Viviane Reding in persona a lanciare l'avvertimento. "La privacy deve essere una priorità per i social network – ha dichiarato infatti la Reding in un video trasmesso dal suo blog – e almeno i profili dei minorenni devono essere nascosti di default e resi inaccessibili per i motori di ricerca". La crociata, che interessa anche gli Stati membri che non si impegnano a tutelare adeguatamene l'identità di tutti gli utenti Web, non è certo nuova ma dopo i primi avvertimenti indirizzati a Facebook & Co., inviati a prendere i provvedimenti del caso, ora da Bruxelles si dicono "pronti a dettare nuove regole ad hoc".
Il rischio paventato dal Commissario europeo è quello di un World Wide Web in formato giungla, dove i dati personali dei cittadini (e l'accento cade non a caso su quelli di minore età) possono essere utilizzati on line a fini non esattamene formativi ed utili bensì per essere forniti come contenuto prelibato alle concessionarie di pubblicità e agli investitori. "Le regole europee sulla privacy sono cristalline – questo l'ammonimento conclusivo della Reding – e le informazioni su una persona possono essere usate solo con il suo previo consenso: non possiamo rinunciare a questo principio di base e avere tutti i nostri dati registrati in cambio di una promessa di pubblicità più mirata". A Bruxelles, sembra di capire, di viral advertising e affini non ne vogliono sapere e perseverano (giustamente) sul cercare di regolamentare ciò che è effettivamente divenuto un fenomeno di interscambio di informazioni (dati ma anche immagini) senza confini e senza vincoli.
Anche il Regno Unito sotto accusa
E che la Commissione europea faccia sul serio lo dimostra anche il procedimento di infrazione il governo britannico, reo secondo l'accusa di non aver compiuto tutti i passi necessari per proteggere la privacy degli utenti della Rete. L'avvertimento formale spedito a Londra, che ha due mesi di tempo per rispondere ed evitare la causa vera e propria, arriva in seguito alle denunce sporte dai consumatori inglesi per l'uso "illegale" da parte di alcuni provider britannici (fra cui pare anche Bt) della tecnologia di "behavioural advertising" Phorm. Tecnologia in grado di seguire gli utenti durante la navigazione on line e sottoporre loro degli avvisi pubblicitari mirati e che lede chiaramente la norma europea in materia di ePrivacy e tutela dei dati personali. La normativa prevede infatti che gli Stati membri garantiscano la riservatezza delle comunicazioni impedendo che queste siano intercettate e sorvegliate (e quindi utilizzate) senza il consenso dell'utente. Il Regno Unito, secondo la Ue, non ha applicato le norme al caso Phorm.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tecnologia%20e%20Business/2009/04/ue-social-network-facebook-privacy.shtml?uuid=a1c4cb9a-2916-11de-b174-16fa4311fe25&DocRulesView=Libero
Fonte: http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/09_aprile_20/facebook_voti_privacy_utenti_053434b2-2daa-11de-b92c-00144f02aabc.shtml
RispondiEliminaArticolo di Lavinia Hanay Raja
Facebook e la democrazia: lo scoglio
del quorum e la protesta in piazza
Il social network lancia un referendum sulla privacy. Ma per essere valido deve votare il 30% degli utenti.
MILANO - Utilizzare le attuali regole sulla privacy o decidere di optare per le novità che sono state decise attraverso la selezione dei commenti inviati dagli utenti? La decisione spetta agli utenti di Facebook, che entro il 23 aprile potranno esprimere il proprio voto in proposito. Il progetto si chiama Facebook Governance, un sistema che concede agli utenti di consigliare i gestori sulle innovazioni del sito attraverso una sorta di referendum.
LA POLEMICA - La decisione è stata presa tra Febbraio e Marzo, dopo le polemiche
per il restyling del sito che ha costretto i gestori a fare una parziale marcia indietro sulle decisioni prese: migliaia le e-mail di lamentela e impietose le percentuali dei sondaggi lanciati sullo stesso Facebook. In alcuni casi gli scontenti per le novità introdotte superavano addirittura il 90%.
IL QUORUM - I problemi emersi sino ad ora sulle novità del nuovo corso riguardano la validità dei "Voti". Le consultazioni saranno vincolanti solo se parteciperà almeno il 30% degli utenti attivi al momento della divulgazione ufficiale di una votazione. Un utente è considerato attivo se ha effettuato l’accesso negli ultimi 30 giorni. L'idea di creare una soglia del 30% secondo molti scoraggerà la partecipazione, poiché difficilmente sarà raggiungibile.
CANCELLARE I DATI - D'altro canto, in attesa dei risultati di queste votazioni sulla privacy, è comunque possibile attivare la cancellazione completa di tutti i file legati ad un account che l'utente voglia eliminare dai server di Facebook. Secondo le nuove condizioni d'uso, per quanto transitorie, gli utilizzatori sono proprietari delle immagini e delle informazioni inserite su Facebook e quindi possono richiederne la rimozione.
PROTESTA IN PIAZZA - Ma con l'introduzione del nuovo metodo di consultazione il malcontento non si placa e si sposta anche nella vita reale. Così un gruppo di utenti francesi ha organizzato un presidio di protesta all'Arco della Defense di Parigi: «Contre la nouvelle version de Facebook" (contro la nuova versione di Facebook) recita lo striscione di dissenso. Ancora non si conosce l'identità del gruppo promotore della protesta, ma già molti blogger, pur condividendone i motivi, storcono il naso di fronte a uno sconfinamento che giudicano inopportuno.
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=55247&sez=HOME_SCIENZA
RispondiEliminaIl quorum prevede che votino ben 60 milioni di persone
C'è chi parla di "truffa". In gioco i diritti su foto e contenuti
ROMA (20 aprile) - C'è tempo fino al 23 aprile per votare la nuova governance di Facebook. Il social network ha istituito un referendum per far decidere agli utenti quali modficihe apportare alla normativa sulla privacy. Ed è già polemica. Secondo molti si tratta di "finta democrazia" perché il quorum richiesto (il 30% degli iscritti, ossia 60 milioni di persone) difficilmente sarà raggiunto in così poco tempo. Per ora infatti hanno votato solo il 300mila.
Perché il referendum: La decisione è nata dopo la protesta di massa degli utenti contro le modifiche apportate ai termini d'uso del social network. In pratica il fondatore Mark Zuckerberg decise che contenuti, foto e video caricati sul sito sono di proprietà di Facebook e cessano di esserlo solo dopo aver cancellato il proprio account. Scomparso il paragrafo «puoi rimuovere i tuoi contenuti dal sito in ogni momento, e se decidi di rimuoverli, la licenza scadrà automaticamente». Le polemiche scoppiate hanno fatto fare un passo indietro a Zuckerberg che ha quindi deciso di sottoporre ulteriori modifiche alla volontà del popolo online.
Le nuove regole: Sono state formate grazie all'apporto dei commenti degli utenti. Il referendum è stato annunciato il 16 aprile.
"Finta democrazia". Critiche sono venute dall'associazione Privacy International che ha definito il referendum una truffa.
In Francia la protesta scende in piazza, ma la democrazia del referendum non c'entra. O meglio la protesta di ieri sotto all'Arc de la Defense di Parigi è stata fatta contro la nuova grafica della home page di Facebook.
http://www.noiconsumatori.org/articoli/articolo.asp?ID=2215
Con i suoi 200 milioni di utenti, Facebook sarebbe il quinto paese del mondo per numero di abitanti. Eppure alla popolazione del social network la partecipazione democratica non sembra interessare troppo. Il primo referendum sull'introduzione dei nuovi termini di servizio, che regolano l'uso del sito, sta infatti per risolversi in un nulla di fatto a causa del mancato raggiungimento del quorum. Un fallimento che alimenta però numerosi sospetti.
Le regole. L'idea di coinvolgere gli utenti nelle decisioni degli amministratori del sito, fu lanciata dal fondatore Mark Zuckerberg in seguito alle proteste dello scorso febbraio. Le regole proposte da Facebook prevedevano infatti che i contenuti generati dagli utenti diventassero di esclusiva proprietà del social network, decisione che generò violente proteste da parte delle associazioni di consumatori. Per evitare nuove proteste, lo stesso Zuckerberg annunciò che le nuove condizioni di utilizzo e la redazione dei principi generali del sito sarebbero state realizzate in seguito ad un confronto con gli utenti, che potevano inviare commenti e proposte.
Il referendum. Una volta chiusa la fase dei commenti, i documenti devono essere approvati da tutti i Facebooker, nove milioni solo in Italia, attraverso una votazione. L'annuncio dell'inizio del referendum è stato dato il 16 aprile dallo stesso Zuckenberg che, attraverso il blog ufficiale, ha presentato la nuova sezione del sito dedicata alla governance. Proprio qui è possibile leggere i documenti, anche in lingua italiana, creati dalla collaborazione di pubblico e amministrazione e decidere, con un semplice click, se dare il proprio voto alle nuove regole, più sensibili e chiare nei confronti del problema della privacy, oppure tenere quelle vecchie.
Il quorum. L'iniziativa "democratica" del social network si scontra però contro la necessità di raggiungimento di un quorum. Per rendere valido il voto, gli amministratori hanno stabilito che almeno il 30% degli utenti attivi mensilmente dovesse partecipare alla consultazione. In poche parole una cifra tra i 48 e i 60 milioni di utenti, pari all'intera popolazione italiana. La votazione non ha inoltre goduto di alcuna pubblicità sul sito, motivo per il quale, a pochi giorni dalla chiusura delle "urne" hanno partecipato la miseria di 300mila persone, neppure l'1% dei voti richiesti. Una cifra che con scarsa probabilità potrà crescere sensibilmente, visto che le votazioni si chiuderanno il 23 aprile.
Le critiche. A seggi ancora aperti, stanno già comparendo le prime pesanti critiche al social network. L'associazione Privacy International ha definito il voto una "truffa" a causa del quorum richiesto e non mancano i blog di settore che appoggiano questo punto di vista. Il pericolo paventato è che, essendo quasi impossibile che una votazione raggiunga il quorum, l'amministrazione del sito dimentichi le buone intenzioni manifestate pochi mesi fa e continui a imporre le sue scelte senza ascoltare l'opinione degli utenti.
“You will have two options on the ballot, as shown below: 1) the new Facebook Principles and Statement of Rights and Responsibilities (SRR), which incorporate feedback from users and experts received during the 30-day comment period, or 2) the current Terms of Use, which were developed by Facebook and did not go through an outside comment period.”
RispondiEliminaSono pessimi i risultati ottenuti finora su Facebook dal referendum sull'approvazione o meno delle nuove regole in materia di privacy che dovrebbero disciplinare il sito di social network. Si teme infatti che al termine della settimana concessa per il voto sui nuovi termini di servizio proposti, non venga raggiunto il quorum minimo dei votanti, ovvero il 30% degli iscritti (circa 60 milioni di persone).
L'idea di far votare gli utenti era stata dello stesso Mark Zuckerberg, ed era stata presa per cercare di placare le polemiche nate inseguito al tentativo orchestrato da Facebook di rendere propri i contenuti degli utenti postati sul network. Il referendum avrebbe dovuto stabilire se utilizzare le attuali regole sulla privacy o adottare le novità che sono state decise attraverso la selezione dei commenti inviati dagli utenti.
Purtroppo sono stati pochissimi gli utenti che, a 3 giorni dalla chiusura delle urne, hanno risposto al sondaggio: solo l'1% (300mila in italia su 9 milioni di iscritti) contro il 30% del quorum richiesto.
C'è già chi pensa, nonostante la scarsa vena degli utenti nel votare, che sia Facebook il responsabile di questo disastroso risultato, in quanto non avrebbe per nulla pubblicizzato la votazione.
Tra chi mette in dubbio la leggittimità della votazione c'è l'associazione Privacy International, che ha definito il voto una "truffa" a causa del quorum richiesto. Il pericolo è che, essendo quasi impossibile che una votazione raggiunga il 30%, l'amministrazione del sito continui a imporre le sue scelte senza ascoltare gli utenti.
Dalla sua nascita Facebook ha fatto passi da gigante. Agli esordi era utilizzato soprattutto da un pubblico di adolescenti e studenti, poi i suoi creatori cambiano gli obiettivi:
“Facebook is a social utility that connects people with friends and others who work, study and live around them. People use Facebook to keep up with friends, upload an unlimited number of photos, share links and videos, and learn more about the people they meet.”
Facebook inizia a distinguersi dagli altri social networking non solamente dalla tipologia di utenti e dal design ma soprattutto dalle caratteristiche, grazie alle sue API che vengono rilasciate a sviluppatori esterni, dando la possibilità di avere molte funzionalità in più.
Proprio grazie alle nuove funzioni cresce il suo successo.
Gli utenti non sono più gli adolescenti e il numero di registrazioni si moltiplicano.
Ora Facebook ha il layout e la navigazione più pulita e lineare, permette di realizzare network con i propri amici, fare aggiornamenti al proprio status (sia attraverso servizi proprietari che attraverso Twitter) che verranno immediatamente comunicati a propri contatti, telefonare tramite Skype, intrattenersi in live chat, costruire album fotografici e slideshow, importare e condividere video..ECC..
Recentemente si è giocato anche sull’ironia per “rispondere” a Facebook.
Da poche settimane la rete ha visto la nascita di Hatebook.
Il sito si apre con:
“Hatebook is an anti-social utility that disconnects you from the things YOU HATE.“
L’interfaccia grafica si ispira a Facebook ma al “contrario”. Il rosso dello sfondo al posto dell’azzurro.
L’obiettivo è il “nemico” comune, facendo community intorno ad esso.
La filosofia non è il buonismo, la condivisione tipica del social networking e l’apertura verso il prossimo, ma il mettere in mostra le “bugie di qualcuno”, il pubblicare i “segreti degli altri”, lo “spettegolare”, l’inserire dei video “odiosi” e il formare dei “gruppi” che condividono l’odio verso qualcuno o qualcosa.
Una forte dose di ironia che si spera vada compresa, perché la rete è anche questo.
Sono una piccola ragnetta in questa vasta rete ma siccome ne faccio parte .e come ME siamo in tanti, VOTATEEEE …siamo in democrazia ..poi vedremo se saranno LORO a prendere in considerazione NOI....
MARIA GRIMALDI
http://blog.panorama.it/italia/2009/03/05/dal-web-al-bancomat-a-un-italiano-su-quattro-hanno-rubato-lidentita/
RispondiEliminaDal web al bancomat: a un italiano su quattro hanno rubato l’identità
I “ladri di identità” vivono, prosperano e lottano contro di noi.
Colpiscono nascondendosi negli angoli telematici più oscuri della Rete, clonando carte di credito e bancomat, promettendo false vincite e regali via sms, spacciandosi nelle e-mail come banche o istituti di credito (il cosiddetto phishing), perfino rovistando tra i rifiuti alla ricerca di dati sensibili contenuti in buste gettate vie, bollette o altri documenti utili: ad un italiano su 4 è già capitato di finire vittima della nuova frontiera delle frodi. Ma nonostante ciò non siamo un popolo di sprovveduti: solo il 15,5% è caduto nella trappola del phishing, le email provenienti da false finanziarie e banche che chiedono l’aggiornamento dei dati sensibili.
Dall’analisi dei numeri contenuti nella ricerca realizzata dall’Adiconsum, presentata oggi a Roma, emergono alcune certezze e diverse novità; ma, soprattutto, si conferma che nell’era di internet il fenomeno interessa tutto l’occidente e che c’è un gap normativo da colmare per porre un freno alla sua crescita costante.
Lo studio è stato svolto su un campione di 1.325 persone rappresentative di tutta la popolazione. “La necessità di una ricerca simile” sottolinea l’Adiconsum “nasce dal fatto che si tratta di un fenomeno in notevole crescita in Europa e negli Usa, e che i dati relativi al nostro paese sono estremamente frammentati. Elemento, questo, che non consente una fotografia sufficientemente nitida del fenomeno”.
Un’analisi reale visto che a disposizione ci sono soltanto stime del 2006, quando in Italia sono stati ipotizzati oltre 17mila tentativi di frode creditizia, il 55% in più rispetto al 2005, per circa 80 milioni (erano 46,5 nel 2005). Numeri tutto sommato ancora bassi se paragonati con quelli degli altri paesi: da un sondaggio effettuato negli Usa è emerso che un americano su 5 ha subito il furto dei dati bancari e uno su 7 quello dei propri documenti. Nel 2007, inoltre, sono stati 8,4 milioni gli americani truffati.
Ma chi sono le vittime preferite dei ladri d’identità? La ricerca individua nei lavoratori dipendenti, nei commercianti e nei liberi professionisti del centro Italia le categorie più a rischio. Anche se sono proprio queste persone, che usano il pc abitualmente per effettuare acquisti, ad essere quelle che pongono maggior attenzione a non cadere nella trappola.
Allargando l’indagine all’Europa, una ricerca in 5 paesi (Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Belgio e Olanda) ha quantificato in 6,5 milioni i cittadini vittime delle frodi. Del 26% degli intervistati che hanno dichiarato di aver vissuto almeno una volta un furto d’identità, il 53% lo ha subito dopo il furto o lo smarrimento di documenti, estratti conto, carte di credito.
Un 25% dice invece di aver avuto la carta di credito clonata, il 18% di aver sottoscritto contratti online senza saperlo, il 28% di aver acquistato beni o servizi mai recapitati, mentre il 29% si è visto addebitare somme per acquisti non richiesti. Il 57% del campione ha ammesso di aver scoperto la truffa solo leggendo l’estratto conto, mentre il 20% dalle forze dell’ordine e il 29,5% dalla propria banca.
Proprio la mancanza di informazione dettagliate su come proteggersi è uno dei problemi più sentiti dal 55% degli intervistati, mentre uno su due dice addirittura di non aver mai sentito parlare del problema. E se è vero che il 33% non prende alcuna precauzione per ridurre i rischi su internet, una buona metà fa acquisti in rete (il 51%), custodisce documenti e pin in luoghi sicuri (69%), controlla che i siti dove acquista siano protetti da sistemi informatici (58%), utilizza firewall, antivirus e anti spaywere per proteggere il proprio computer (56%). Quanto alle cifre sottratte, il 47% ha dichiarato somme che non superano i 500 euro e soltanto il 10% degli intervistati ha detto di essersi visto sottrarre più di mille euro.
Da Repubblica.it sezione Tecnologie:
RispondiEliminaSOCIAL NETWORK
Google lancia il nuovo Profiles
E fa concorrenza a Facebook
Un nuovo servizio per condividere profili con foto e informazioni personali: il numero uno dei motori di ricerca entra nel settore in maggiore espansione del web
di VALERIO MACCARI
Google lancia un servizio per condividere profili con foto e informazioni personali sul web. E il motore di ricerca si trasforma in un enorme social network
Sono più popolari dei siti porno, e il numero dei loro utenti cresce a un ritmo due volte superiore a quello della popolazione umana. Sono i servizi web di social network, come Facebook, Twitter e MySpace, e sono stati il settore trainante della crescita della rete negli ultimi 5 anni. Un mercato ricchissimo, dal quale - fino ad ora - è curiosamente rimasto fuori Google, il cui social network, Orkut, è popolare solo in Brasile.
Ma il motore di ricerca ha deciso di correre ai ripari, e ha appena lanciato Profiles, un servizio che promette di essere un pericoloso antagonista di Facebook.
Profiles permette infatti agli utenti di costruire un profilo personalizzato molto simile a quello del famosissimo social network. Per crearlo, basta segnarsi all'indirizzo www. google. com/profiles, e inserire le proprie informazioni: non solo nome e cognome, ma anche dati personali, foto, mappe personalizzate e link preferiti. Inoltre, è possibile - proprio come accade in Facebook - scegliere a quale dei propri contatti mostrare il contenuto inserito. Il profilo verrà poi indicizzato dal motore, e basterà digitare nome e cognome su Google per vedere il profilo ai primi posti nella lista dei risultati.
"Un profilo su Google - annuncia nel comunicato di presentazione il motore di ricerca - è semplicemente il modo in cui si rappresenta se stessi sula rete. Grazie al nuovo Profiles, gi utenti possono far sapere a chiunque usi Google chi sono e cosa fanno. E hanno il controllo sulla quantità di informazioni che vogliono condividere".
In realtà il servizio era stato lanciato, in forma ridotta, circa un anno fa. Ma era legato all'utilizzo di alcune delle applicazioni on line messe a disposizione dal colosso di Mountain View, come Blogger. Adesso, invece, è stato riprogettato per essere più simile ai profili standard offerti dai social network.
Secondo Danny Sullivan, editor di Search Engine Land, il "remake" di Profiles è una chiara indicazione dell'intenzione di Google di mettersi in diretta competizione con siti come Facebook.
"I siti di social network - spiega Sullivan - sono utilizzati principalmente per rintracciare vecchi amici e fare nuove conoscenze. Con Profiles, adesso basterà digitare un nome su Google per ottenere lo stesso risultato". E grazie all'integrazione di Profiles con le altre applicazioni web del motore di ricerca, sarà possibile anche scambiarsi posta, album fotografici e documenti. Tutte le funzioni, insomma, disponibili sui social network. "In pratica - aggiunge Sullivan - la strategia di Google è quella di estendere le capacità del motore alla ricerca di persone".
Ma il servizio - oltre a mettere i bastoni fra le ruote a Facebook - presenta altre caratteristiche. "Molte persone usano Google per cercare se stessi - dichiara Joe Kraus, direttore del poduct management di Mountain View - tanto per vedere quante e quali informazioni che li riguardano sono accessibili online, e sono di solito scontenti dei risultati. Infatti, la maggior parte degli utenti ha poco controllo su quello che appare su Google, e a volte i risultati della ricerca sono dominati da persone che hanno una grande presenza sul web. Utilizzando Profiles, mettiamo tutti allo stesso livello, e offriamo a tutti la possibilità di scegliere le informazioni che vogliono mostrare".
Inoltre, il servizio potrebbe attirare verso il portfolio di servizi online di Google un maggior numero di utenti.
"Una volta segnati a Profiles - spiega Greg Sterling, analista della Sterling Market Intelligence - gli utenti saranno più inclini a farsi trascinare nel mondo delle applicazioni web di Google. E probabilmente inizieranno a fare acquisti attraverso Google Checkout, a postare foto negli album web di Picasa e a costruire blog con Blogger. Tutti servizi in cui Google, attraverso AdSense, è il principale o addirittura l'unico concessionario della pubblicità".
Niente privacy, benvenuti su facebook!
RispondiEliminaRoma - Do you want the internet to turn into a jungle? This could happen, you know, if we can't control the use of our personal information online. Si apre con queste parole il videomessaggio che Viviane Reding, Commissario UE alla società dell'informazione ed ai Media, il 14 aprile, ha indirizzato ai netcitizen europei ed alle istituzioni.
La tentazione di chiunque creda nella capacità della Rete di autoregolamentarsi è quella di bollare il grido di allarme ed il richiamo all'ordine di Reding come l'ennesimo sintomo di quella dilagante tecnofobia legislativa o, piuttosto, come il preludio di un nuovo pesante intervento - questa volta da parte delle istituzioni europee - nell'attività di sovra-regolamentazione della Rete cui negli ultimi mesi abbiamo assistito impotenti.
Io stesso, all'indomani della raccomandazione del 17 ottobre 2008 con la quale i Garanti per la privacy di mezzo mondo, riuniti a Strasburgo, hanno indirizzato raccomandazioni e suggerimenti agli utenti delle piattaforme di social network ed ai loro gestori, spingendosi a caldeggiare l'utilizzo di pseudonimi nell'ambito di tali realtà ed a imporre/proporre la non indicizzazione da parte dei motori di ricerca dei profili degli utenti creati ed ospitati su tali piattaforme, ho avanzato dubbi e perplessità sull'opportunità ed utilità di un approccio regolamentare tanto invadente e "dirigista" rispetto ad una nuova dimensione della socialità. Ero, infatti, convinto - e lo sono tuttora - che l'approccio con il quale nel secolo della Rete e nell'era del web 2.0 occorrerebbe guardare alla privacy degli utenti dovrebbe essere orientato più che alla fissazione di regole e principi, a far sì che ogni utente riceva un'informativa effettivamente puntuale e trasparente circa i termini e le modalità di trattamento dei dati personali che lo riguardano e possa conseguentemente determinare, in ogni momento ed in assoluta autonomia, l'ambito di diffusione di tali dati nello spazio telematico. Il diritto ad autodeterminare tali profili relativi alla propria identità personale, infatti, costituisce un principio irrinunciabile quale che sia la nozione di privacy cui si intende accedere, risultato dell'evoluzione dei costumi, della società e del mercato, di riferimento nel passato, nel presente e nel futuro.
[...]
Nei giorni scorsi Cristina D'Arienzo, una giovane programmatrice, mi ha segnalato una duplice preoccupante curiosità nel trattamento dei dati personali da parte del colosso del social network in relazione all'archiviazione, la conservazione e la cancellazione delle immagini caricate dagli utenti.
Le immagini, infatti, all'atto dell'upload vengono caricate su un server diverso da quelli sui quali gira la piattaforma e, ad esse, viene assegnato un autonomo IP che le rende raggiungibili senza l'esigenza di passare per la piattaforma stessa. Con una prima, importante, conseguenza: chiunque conosca la "codifica" dell'URL assegnato ad ogni immagine all'atto dell'upload - si tratta, peraltro, di una codifica che risponde ad un preciso schema matematico e, dunque, agevolmente decodificabile come mostrano su Trackback - è in condizione, quali che siano le scelte in materia di privacy del titolare delle immagini - di accedervi, visualizzarle ed appropriarsene per qualsiasi genere di uso.
Piuttosto grave, se si considera che le condizioni generali sul trattamento dei dati personali dell'utente pubblicate su Facebook inducono quest'ultimo a ritenere - in conformità peraltro alla disciplina vigente - di essere in grado di autodeterminare l'ambito di "pubblicità" dei dati e delle informazioni immesse nella piattaforma.
Il 24 marzo 2009 abbiamo proceduto a richiedere la cancellazione del profilo su Facebook di un amico (Cristina, questa volta, non se l'è sentita di fare a meno della sua social identity!) seguendo le istruzioni rese disponibili online. Ci è stato, quindi, comunicato che la rimozione del profilo era prevista per il successivo 7 aprile. Il 7 aprile qualcosa è realmente accaduto nel senso che il profilo "sacrificale" del nostro amico non era più raggiungibile nella piattaforma ma, sfortunatamente, le sue immagini caricate nel periodo di utilizzo del profilo oggi sono ancora al loro posto e, quindi, raggiungibili da chiunque.
È grave, gravissimo promettere ad un utente la cancellazione di un dato e continuarlo, invece, ad utilizzare.
Si tratta - prima che di una violazione di legge - di una manifestazione di scarso rispetto che rischia di compromettere ogni possibilità di dialettica e confronto tra i protagonisti della Rete e le istituzioni ed è un peccato che per gli errori di pochi debbano pagare in molti, assistendo impotenti al proliferare di una politica legislativa di repressione rispetto ad una tecnologia che, se usata con rispetto, equilibrio e buon senso, può essere il più fedele alleato dei cittadini del XXI secolo e non già il loro nemico giurato come troppo spesso viene rappresentata.
Sarebbe, per questo, auspicabile un immediato intervento del Garante - almeno nei limiti in cui al trattamento di dati personali posti in essere da Facebook risulti applicabile la disciplina italiana - al fine rimettere in riga il gigante del social network e scongiurare il rischio che ci si debba, tra qualche mese, ritrovare costretti a convenire con il Commissario Reding sul rischio che la Rete si trasformi in una giungla.
Guido Scorza
punto-informatico.it/2602790/PI/Commenti/niente-privacy-benvenuti-facebook
Il pensiero di Scorza mi è piaciuto molto; credo riassuma tutta la verità!
Importante è sapere a cosa va incontro l'utente quando decide di iscriversi; quale sarà il trattamento riservato ai suoi dati. Se l'utente si iscrive non sapendo che dopo la sua eventuale cancellazione i dati personali non verrano eliminati è veramente grave. E' come quando si firma un documento, bisogna sempre specificare a cosa l'interessato sta dando consenso!
Nulla contro Facebook quindi, purchè sia chiaro con i suoi utenti. E poi in conclusione io credo fermamente che il discorso sulla privacy sia relativo: innanzitutto perchè se decido di iscrivermi lo faccio con la consapevolezza che tutti potranno sapere e vedere le mie cose (quindi già di privacy si può parlare poco); poi ovviamente molto dipende da quello che io vado a mettere e a dichiarare sul social network. Se credo che le mie foto o i miei pensieri possano essere in qualche modo "compromettenti", non vado ad esporli pubblicamente. Tutto dipende dall'uso che ogni utente ancor prima "sceglie" di fare dei suoi dati personali!!!
Google Profiles, i profili personalizzati sfidano Facebook
RispondiEliminaGoogle crea Profiles, nuovo servizio che consente agli utenti di creare profili personalizzati inserendo dati, foto, mappe e link preferiti. La funzione è destinata a fare concorrenza a Facebook e agli altri social network.
Google entra nel settore dei social network creando Profiles, una nuova funzione che permette agli utenti di condividere il proprio profilo sul web.
Gli internauti che lo desiderano potranno iscriversi alla sezione dedicata e gestire la propria identità elettronica inserendo dati personali, foto, mappe personalizzate e link preferiti.
Il profilo comparirà sempre tra i primi risultati della ricerca per nome e cognome sul motore, donando ampia visibilità a chi lo desidera (freelance o liberi professionisti, per esempio).
Esiste inoltre la possibilità di associare alle informazioni un "vanity URL", ovvero un indirizzo personalizzato con il proprio nome anziché un'anonima stringa numerica, e di restringere l'accesso ai propri dati ad una lista di contatti predefinita. Lo sviluppo di Profiles potrebbe mettere in difficoltà Facebook e agli altri social network: solo il tempo potrà confermare o smentire tali attese.
Facebook vince il referendum, ma senza quorum
RispondiEliminaGli utenti, che hanno partecipato all'esperimento di democrazia 2.0, hanno approvato i termini d'uso. Ma scoppia la polemica sul quorum: il referendum è stato un flop, perchè hanno votato solo in 600mila, contro gli attesi 60 milioni
VNUnet.it 27-04-2009
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Sono state approvate le nuove policy di Facebook. Gli utenti hanno detto sì al referendum sulla privacy che avrebbe dovuto decidere le modifiche ai termini di servizio. Facebook aveva messo al voto due documenti "Facebook Principles" e "Statement of Rights and Responsibilities": Facebook aveva promesso che non avrebbero avuto effetto finchè non avessero ricevuto feedback e fossero stati modificati. I principi includono la visione dell'informazione sul sito, che non sarà eternamente disponibile ma può essere cancellata dall'utente, le nuove regole dovranno avere input dagli utenti e le norme d'uso dovranno essere chiare ed esplicite.
Ma l'interessante esperimento di Democrazia diretta 2.0, per dimostrare di avere a cuore l'opinione degli utenti, è caduta sul quorum: il nuovo Bill of Rights per la "nazione" di Facebook (uno stato di 200 milioni utenti) è stato approvato, ma senza raggiungere il quorum.
Peccato che Facebook avesse imposto il raggiungimento del quorum. Contraddizione in termini con la democrazia Web 2.0? Infatti dovevano partecipare almeno in 60 milioni, invece, hanno votato solo 600 mila. Decisamente un flop. Forse il primo vero flop di Facebook.
http://www.vnunet.it/it/vnunet/news/2009/04/27/facebook_vince_il_referendum__ma_senza_quorum
si diventa amici di sconosciuti per i quali si rimane sconosciuti
RispondiEliminaOmegle, gli estranei a portata di clic
Presentato come «l'anti-Facebook», consente di mettersi in contatto anonimamente con persone di tutto il mondo
MILANO- «Omegle, talk to strangers»: ovvero «Omegle parla agli sconosciuti», senza bisogno di presentazioni o iscrizioni, senza necessità di rendere note le proprie generalità prima di iniziare una chiacchierata, senza bisogno di premettere i propri hobby, il proprio vissuto. Omegle è il servizio fatto per chi ha voglia di parlare, punto e basta. Magari fingendo un’identità immaginaria o magari, proprio perché sconosciuti, lasciandosi andare alle confidenze più estreme e alle domande più sincere. Ti connetti, schiacci un pulsante e ti trovi a chiacchierare (per fare un esempio reale) con un argentino sui 35 anni (sempre che sia vero) che, a conferma del fatto che l’anonimato aiuta a sfrondare i convenevoli, chiede come prima cosa: «maschio o femmina?».
ANONIMATO… BEI TEMPI - «Il bello di Internet è che nessuno sa che sono un cane»: questo era il testo di una celebre vignetta che circolava agli inizi di Internet, in cui era raffigurato un cagnolino seduto al computer e intento a chattare liberamente con gli esseri umani, senza dover svelare la sua vera natura. Erano bei tempi, quando l’anonimato in rete era ancora possibile. Poi le cose iniziarono a cambiare e alla fine venne Facebook, dove chiunque può mettersi sulle tracce di chiunque abbia conosciuto nella propria vita, che a sua volta, accettata l’eventuale amicizia, vedrà scorrere sulla propria pagina altri nomi noti, amici di nomi noti, in quanto «persone che si potrebbero conoscere», senza alcun rispetto per la riservatezza e un leggero senso di invadenza.
L’ANTI FACEBOOK - Insomma, chi è stanco di comunicare sempre e solo con le solite vecchie conoscenze che affollano le pagine di Facebook&co, oppure di parlare solamente con gente che condivide i suoi stessi interessi, può passare a Omegle, un social network creato da Leif K-Brooks, un programmatore diciottenne del Vermont, secondo il quale l'interazione online sta diventando stagnante. Omegle in un certo senso è l’anti-Facebook e mette in contatto gli estranei in modo anonimo, consentendo di chattare in tempo reale e in modo casuale. Un social network per «allargare i propri orizzonti», che avvicina le persone più differenti, bypassando insegne, età, differenze di genere e di nazionalità, e che in meno di un mese di attività vanta 150 mila pagine visitate al giorno. Il passaparola è ciò che gli consente di crescere, nient’altro. Non occorrono registrazioni, né nickname. Basta andare sul sito di Omegle e, semplicemente cliccando sul bottone Start Chat, si può iniziare a comunicare con dei perfetti estranei provenienti da tutte le parti del mondo. In totale libertà. E se la conversazione annoia o prende una piega non gradita basta schiacciare Disconnect. A dirla tutta sembra una chat dei vecchi tempi. Solo che le chat non vanno più di moda e allora Omegle viene presentato da alcuni come social network.
Emanuela Di Pasqua
Fonte: corriere.it
Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook, chiede scusa agli utenti in un suo post , dopo settimane di polemiche da parte dei frequentatori del social network. Sotto accusa è l’ormai noto Beacon, sistema di advertising mirato presente nel social network, che ora può essere disattivato . Molte compagnie, come Google, Microsoft, Yahoo (per citarne alcune) raccolgono dati personali e tengono traccia delle nostre azioni sul web con lo scopo di inviarci materiale pubblicitario su misura. Facebook si è spinto un po’ oltre: in collaborazione con alcune compagnie (e quindi siti) partner raccoglie infomrazioni su pagine visitate o su prodotti acquistati dagli utenti di Facebook, queste informazioni non solo vengono utilizzate per pubblicità mirata all’utente stesso, ma anche per far conoscere le nostre azioni ai nostri amici, che (secondo la logica degli ideatori del sistema) possono essere coinvolti nei nostri interessi o essere interessati ad acquistare i prodotti che piacciono a noi.
RispondiEliminaOvviamente c’è scappato il finimondo tra gli utilizzatori, e non capisco come i vertici di Facebook potessero aver sperato il contrario, costringendo ad una lenta ma inesorabile serie di ripensamenti.
Dal principio il servizio era completamente “trasparente” per l’utente. Ovvero Beacon lavorava secondo le sue regole, senza nessuna possibilità di intervento da parte dell’utente. Circa una settimana fa la prima marcia indietro. Nell’area di amministrazione degli utenti è comparsa una pagina che elenca i siti web partner di Beacon frequentati dall’utente, permettendo di inibire per ogni singolo sito web l’utilizzo del servizio, così ad esempio io avrei potuto scegliere di non far sapere ai miei amici cosa leggo sul New York Times. Il problema è che i siti partner del sistema, per apparire nell’elenco, devono aver violato la privacy dell’utente almeno una volta.
Questo non è bastato al popolo di Facebook che ha continuato la protesta, portando ad una nuova mossa da parte della compagnia: la possibilità di interrompere in qualsiasi momento e definitivamente il servizio, con scuse a seguire.
Nel chiedere scusa, Mark Zuckerberg ammette palesemente di aver sbagliato su tutta la linea affermando che con Beacon è stato “semplicemente fatto un pessimo lavoro”, e il fulcro del problema è che non si è trovato da subito il “giusto equilibro” tra le informazioni diffuse e il desiderio di privacy degli utenti.
Personalmente, anche da utilizzatore del servizio, non sono molto soddisfatto da queste lettera aperta, poiché l’impressione avuta è stata quella di un vero e proprio esperimento per testare quanto gli utenti siano attaccati alla propria privacy e misurare il limite di sopportazione. I test vanno fatti in beta-testing, non sulla pelle dei propri utenti. I passi indietro fatti, lentamente e uno alla volta, dimostrano la ricerca del suddetto limite, fortunatamente gli utilizzatori del servizio hanno saputo rispondere “a muso duro”.
Ora Facebook deve dimostrare di aver imparato la lezione e che ci tiene a non incrinare il rapporto tra la compagnia e gli utilizzatori. Il successo di un’azienda, specialmente sul web, ritengo che spesso sia aiutato, e non poco, dallo stile con cui opera. Lavorare sul web e con il web significa fare i conti con i blogger e con un opinione pubblica forte e informata, che spesso aiuta le sorti di una compagnia o ne spinge la discesa. E chi meglio del creatore di un social network può capirlo? Speriamo che lo scotto sia servito.
http://www.appuntidigitali.it/461/il-fondatore-di-facebook-chede-scusa-e-ammette-privacy-violata-con-beacon/
bruna la sala