Blog dedicato al corso di "Teoria e metodo dei mass media" (ABPC 65) prof. Vito Campanelli
venerdì 4 marzo 2016
Vilém Flusser
Gli studenti sono invitati a trovare informazioni (articoli, saggi critici, notizie biografiche, immagini, video ecc.) sul filosofo dei media di origine boema e a pubblicarle come reply a questo post.
Commento del professore Giorgio Cipolletta riguardo la teoria delle immagini tecniche di Flusser con particolare riferimento all'aspetto dialogico che si viene a creare nel nuovo contesto moderno e come in relazione ad esso si va a modificare sia la società che il rapporto dell'uomo nei confronti del mondo fenomenico.
"Le “immagini tecniche” - per Flusser - nascono solo attraverso i computer e la società telematica ribalta l’astrazione in concretizzazione, caratterizzata da un’“esistenza proiettiva” dell’“uniformare” che subentra all’“esistenza soggettiva” dell’“uni-formazione”. “Uni-formare significa quindi quella capacità di ritornare verso il concreto a partire dall’universo” (Flusser, 2009: 45-47). L’uomo viene così assorbito dal collegamento in rete in un’esistenza dell’“uni-formare”, fungendo sempre contemporaneamente da emittente e destinatario. La sede veramente creativa è il collegamento in rete della conversazione. La telematica secondo Flusser è la prima tecnica consapevole dell’intenzione presente in tutte le tecniche che cerca di incrementare la somma delle informazioni disponibili (Flusser, 2009: 127), garantendo così una distanza critica e rinnovando l’attuale piano elettrico discorsivo delle “immagini tecniche” in uno dialogico. Flusser “uni-forma” la comunicazione attraverso le“immagini tecniche” che si rivolgono all’uomo raggiungendolo nel più intimo spazio privato. La rete integra sia la macchina che l’uomo in un sistema simbiotico portando ad una società, la cui unica funzione è quella di combinare in maniera metodologica informazioni vecchie per generarne delle nuove. L’obiettivo di Flusser è quello di contrastare l’entropia (Arnheim, 1974: 23-31) a favore di una “neghentropia”, vale a dire un’entropia negativa. Ed è proprio quest’ultima che produce informazione in un processo intersoggettivo. Questa condizione richiede la partecipazione attiva di chi osserva, perché la “neghentropia”, che rappresenta la teoria dell’informazione, è il risultato di codici, i quali possono essere quantificati. In altre parole, Flusser nota come sia possibile sapere il significato di un specifico codice e la teoria dell’informazione diventa così una scienza dello spirito. Attraverso questo processo biunivoco di connotazione e denotazione si riflette sul carattere dell’universo dei significati dei messaggi i quali vengono “transcodificati”. Per Flusser tutti i testi non sono altro che prodotti “semi-finiti”. Questa produzione di informazione ha il carattere di un gioco, che tuttavia non si fonda sul caso, ma sulla realizzazione del tutto intenzionale delle possibilità date. Ciò contrappone l’uomo alla natura, nella quale è l’evoluzione a produrre nuovi sviluppi. Le informazioni vengono immagazzinate in maniera immateriale e sono così sottratte all’intervento della natura. La comunicazione avverrà ormai, solo attraverso immagini, mentre la scrittura non è più all’altezza della molteplicità delle informazioni da mediare o generare delle nuove categorie. Il punto di vista fisso viene sostituito da molti modi di vedere e il progresso viene misurato sul numero più grande possibile di prospettive integrate."
Giorgio Cipolletta - "Il flusso di Flusser: una prospettiva ubiqua oltre il contemporaneo"
Recensione di Francesca Rigotti. Flusser,Vilém, Immagini. Come la tecnologia ha cambiato la nostra percezione del mondo.
"La sua intuizione sulla società del futuro, quella che noi tutti oggi esperiamo ma Flusser aveva soltanto, per dir così, annusato nell'aria, ha dello stupefacente. Qui un passo del libro a dimostrazione di tanta lungimiranza che non fu credo di nessun altro, se non forse, in parte, di Deleuze col suo rizoma reticolare. Ma leggiamo Flusser: «Lo scenario, la favola che ho proposto qui, è questa: gli uomini staranno, ognuno per sé, in celle, giocheranno con i polpastrelli sulle tastiere, guarderanno fissi piccolissimi schermi, riceveranno immagini, le modificheranno e le trasmetteranno. Alle loro spalle i robot porteranno le cose per nutrire i loro corpi atrofizzati e farli crescere. Attraverso i loro polpastrelli gli uomini saranno collegati gli uni agli altri e così costruiranno una rete dialogica, un supercervello cosmico, la cui funzione sarà di rendere in immagini, attraverso calcoli e computazioni, le situazioni inverosimili; di provocare informazioni, catastrofi. Tra gli uomini ci saranno intelligenze artificiali che dialogheranno con gli uomini mediante cavi e funicoli nervosi similari. Diventerà perciò senza senso, da un punto di vista funzionale, voler differenziare tra intelligenze “naturali” e “artificiali”, (tra “cervelli dei primati” e cervelli dei secondi”) », p. 223. Per illustrare questo scenario Flusser si serve di termini già esistenti che vengono però modificati rispetto al significato originario: il più significativo è sicuramente, in questo contesto, Einbildungskraft. Il termine tedesco consacrato dall'uso corrisponde all'italiano «forza dell'immaginazione». Ma a Flusser serve un termine diverso per indicare le nuove immagini (Bilder), quelle che egli chiama tecniche e che noi chiameremmo digitali o televisive, per distinguerle dalle immagini tradizionali delle pitture degli uomini della pietra o del rinascimento. L'immagine tecnica è prodotta dalla capacità (Kraft) di ein-bilden, formare in uno, uni-formare . Con «uni-formazione» traduce dunque il bravo curatore e traduttore Salvatore Patriarca la Ein-bildungflusseriana, definendola nella sua nota «la capacità di ricomporre un'unità dalla dispersione dell'universo quantistico» (p. 238). La traduzione/interpretazione ci pare appropriata anche se ogni volta ci costringe a riflettere sul fatto che uni-formazione non è uniformazione: ma alla riflessione su questo tema è dedicato l'intero scritto di Flusser. Che capitolo dopo capitolo, in un'alternanza di intuizioni sublimi ma anche – bisogna dirlo – di scivoloni nel banale se non nel ridicolo di alcune proposte, illustra il passaggio dal testo lineare, continuo e unidimensionale (il testo della scrittura alfabetica) all'immagine tecnica costruita di punti discreti e interrotti (il testo frantumato in elementi puntuali e privi di dimensione del calcolare e computare). Per quanto questo possa significare, Flusser scrive che «la differenza tra immagini tradizionali e immagini tecniche sarebbe [che] le prime sono visioni di oggetti, le seconde computazioni di concetti. Le prime nascono grazie all'immaginazione (Imagination), le seconde grazie a una specifica capacità di uniformare (Einbildungskraft) a seguito del fatto che la fiducia nelle regole è andata persa» (p. 14). Questa capacità di uniformare, non si stanca di ripetere Flusser, è qualcosa di profondamente diverso rispetto all'immaginazione, qualcosa di nuovo e di cui si deve parlare per comprendere il mondo della «poststoria», Nachgeschiche(altro neologismo), nel quale Flusser profetizzava, a ragione, che ci saremmo trovati a vivere."
-Chi è Vilém Flusser? Vilém Flusser (1920-1991), studioso del linguaggio e della cultura, della teoria e della tecnologia della comunicazione e dell’immagine, è considerato un punto di riferimento imprescindibile per la filosofia dei media e la cultura informatica nei paesi di lingua tedesca. [http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2007-05/flusser.htm]
-Cosa ha fatto? La cultura dei media Dalla carta stampata a Internet, dalla radio alla televisione, dal telefono al telefonino, tutti viviamo ormai nella società della comunicazione. E anzi si può dire che viviamo per comunicare e comunichiamo per vivere. La cultura dei media, titolo di un prezioso volume che raccoglie i saggi di Vilém Flusser (1920-1991), è dunque sempre più una cultura di massa, una cultura quotidiana e popolare, nel senso che appartiene a ciascuno di noi, fa parte integrante della nostra vita.
Studioso del linguaggio, della teoria e delle tecnologie della comunicazione, Flusser è considerato uno dei più originali pensatori del Novecento. Costretto dalla persecuzione nazista ad abbandonare Praga nel ’39, visse a lungo in Brasile e dopo il suo rientro in Europa diventò un punto di riferimento per la cultura informatica di lingua tedesca.
Fondata sulla distinzione fondamentale tra “discorso” e “dialogo”, cioè tra un’informazione a senso unico e un’informazione dinamica o – come si direbbe oggi – interattiva, la sua filosofia della comunicazione è quella di un “profeta della società telematica” che perse la vita in un incidente automobilistico nel ’91, proprio alle soglie della rivoluzione di Internet. Di particolare interesse, soprattutto per un pubblico come quello italiano oppresso dal regime televisivo, il capitolo intitolato “Per una fenomenologia della televisione” e scritto nel 1974.
Già allora Flusser presagiva che l’impiego di questo strumento «non è un abuso funzionale ma un abuso etico», perché induce il destinatario dei suoi messaggi a un comportamento specifico, al consumo di determinati beni materiali e immateriali. E perciò concludeva, con un avvertimento pari a una profezia, che «la televisione può essere altrettanto decisiva per il futuro quanto la bomba atomica e il computer». [http://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/8085/il-mondo-dei-media-una-storia-di-massa/]
Recensione di Daniela Di Dato, del libro "Per una filosofia della fotografia", ho ritenuto opportuno inserire questo articolo perché sottolinea rapporto tra l'artefice e il proprio prodotto descritta da rapporto tra autore e prodotto Vilém Fusser.
Attraverso un viaggio fisico negli ingranaggi dell’universo fotografico, Flusser propone non un saggio filosofico ma un’ipotesi di lavoro nella ricerca della libertà. Due eventi sembrano aver caratterizzato la storia umana: l’invenzione della scrittura lineare nel secondo millennio a.C. e l’elaborazione delle immagini tecniche che attraversa la nostra epoca. Da qui parte l’autore, proponendo ipotesi e concetti per stimolare un dibattito, fare pensiero e spirito filosofico sulla fotografia. Come una macchina da presa congela un evento in singoli scatti rapidissimi la cui sequenza ne restituisce il movimento, così Flusser si sofferma su ciascun elemento della fotografia (apparecchio, fotografo, gesto fotografico, ecc.) per ricostruirne l’universo. [..] L’analisi quindi tocca il rapporto tra autore e prodotto. In passato, il pittore s’inseriva in modo magico ma riconoscibile, tela e pennello erano gli utensili con cui rielaborava in simboli la realtà; così pure l’invenzione della stampa diffondeva testi divulgativi per la gente semplice, testi ermetici per élìte intellettuali, sviluppando l’arte delle immagini, la scienza e la politica a buon mercato. Ora tra immagine e fotografo si pone l’apparecchio fotografico, una black box misteriosa che introduce una magia “poststorica”, inaspettata, che prende forma nell’infinita riproduzione delle immagini tradizionali su poster e cartelloni pubblicitari, o nella magia programmabile e ripetibile dei fotoromanzi surrogati di testi divulgativi e a buon mercato. È l’utensile moderno, di valore, che conferisce agli oggetti una forma nuova, e in ciò li “informa”, producendo beni di consumo. Ma se prima l’uomo lavorava circondandosi di utensili, ora sono le macchine a circondarsi di uomini. E così il fotografo ha tra le mani un utensile, spesso sofisticato, con il quale non vuole trasformare il mondo, non può farlo, ma cerca “informazioni”, per dare al mondo una forma diversa. Il fotografo, emblema dell’uomo moderno, usa lo strumento senza conoscerlo. Non è più homo faber ma homo ludens. L’apparato fotografico (e per analogia quello statale, dirigente, burocratico) è un giocattolo talmente complesso che l’uomo non è in grado di comprenderlo: può solo giocarci combinando in varie forme i simboli contenuti nel programma. Rimane così solo il gesto fotografico: ma anche questo non è un gesto libero. L’apparecchio fotografico può lavorare solo in funzione di categorie spazio-temporali definite: distanza dall’oggetto e rapidità dell’azione che si vuole catturare. Il fotografo può impostare svariate combinazioni spazio-temporali, privilegiando un primo piano piuttosto che un campo totale, ma la scelta è limitata alle combinazioni possibili delle categorie possedute dall’apparecchio: quella del fotografo è una libertà programmata in quanto egli può volere liberamente solo ciò che l’apparecchio è in grado di realizzare. Secondo Flusser, l’inganno continua nella scelta dell’oggetto da fotografare: in realtà si possono fotografare solo “stati di cose” a cui applicare, di volta in volta, criteri estetici, o prospettici o concetti artistici: in sostanza, ogni foto può essere solo l’immagine dei concetti contenuti nel programma dell’apparecchio fotografico. Il mondo è solo uno spunto. Realismo e idealismo si sfumano perchè non è reale né il mondo là fuori né i programmi della macchina: è la fotografia l’unico elemento reale. [..]
Gia la corrente filosofica del 900 , aveva analizzato le necessità ontologiche e il senso dell’essere da cui Vilem Flusser ha preso ispirazione per le sue basi teoriche. Egli ci pone davanti la questione di come il linguaggio fotografico, alla base dell’attuale civiltà delle immagini, assuma importanza a livello di informazione. L’ambiente che l’uomo crea diventa il suo mezzo per definire se stesso ( Marshall McLuhan) , e oggi c’è un coinvolgimento sociale più grande.
Allego un estratto che spiega la teoria di Flusser sul gesto del fotografo, correlato da semplici immagini molto efficaci ed esplicative.
Inoltre, ho trovato un articolo di D'ARS magazine che mette in luce un aspetto importante del definire se stessi attraverso i social, in cui l’ossessione per l’identità digitale fa si che molte delle immagini prodotte, come i selfie appunto, costituiscano una sorta di racconto, costantemente aggiornato… (Inevitabili i rimandi sociologici..)
“[…]le immagini tecniche si differenziano nettamente dalle immagini tradizionali secondo quello che afferma Vilém Flusser in Per una filosofia della fotografia. Esse sono immagini prodotte da apparecchi a loro volta prodotti sulla base di concetti. Il loro carattere, apparentemente non simbolico, dà l’impressione all’osservatore che esse siano una finestra sul mondo, ma questa oggettività è del tutto illusoria.Le fotografie “informano” il mondo, cioè tendono a dargli una forma concettuale che va nella direzione delle caratteristiche proprie della macchina. Flusser definisce i fotografi, nel nostro caso gli utenti, funzionari che controllano un gioco sul quale non possono avere competenza. Questo però non ci dice ancora abbastanza sul perché fotografare se stessi…”
L’intero articolo: http://www.darsmagazine.it/selfie-dire-se-stessi/#.VuVDb-LhCUk Loretta Borrelli D’ARS year 54/nr 217/spring 2014
La distinzione fra immagini e testo secondo Vilém Flusser
"La maggior parte dei messaggi che ci informano a proposito del mondo o sulla nostra situazione sono attualmente irradiate dalle superfici che ci circondano. E' la superficie e non più le linee testuali che codificano per prime il nostro mondo. Nel passato il mondo codificato era dominato da codici lineari di testo e attualmente è dominato da un codice bidimensionale delle superfici.Fotografie, schermi della tv,cinema, vetrine dei negozi sono diventati i portatori di informazioni che ci programmano. I media dominanti adesso sono le immagini e non più i testi. Una potente contro-rivoluzione delle immagini contro il testo è in corso. Comunque è necessario discernere che in questa contro-rivoluzione, si tratta di un caso completamente diverso tipo di immagine che non è mai esistito prima. Le immagini che ci programmano sono post-alfabetiche e non pre-alfabetiche, come erano le immagini del passato. La scrittura lineare (come per esempio l'alfabeto latino o le cifre arabe) è emersa come una rivoluzione contro le immagini. E' possibile osservare questa rivoluzione in particolare in Mesopotamia con le ceramiche. Rappresentavano un'immagine di una scena, per esempio un re vittorioso. L'immagine è composta di pittogrammi che rappresentano il re e i suoi nemici in ginocchio. Vicino alle immagini i pittogrammi stessi sono stati impressi sulla ceramica ancora una volta, ma questa volta essi formano delle linee. Queste linee sono dei testi che spiegano l'immagine accanto ad essa. I pittogrammi nel testo non significano più "Re" ma "Re nell'immagine". Il testo dissolve la bidimensionalità dell'immagine in un'unica dimensionalità e così modifica il significato del messaggio. Esso inizia a spiegare l'immagine. Il testo descrive come l'immagine allinea i simboli contenuti nell'immagine. Esso ordina i simboli come se fossero sassolini (calcoli), e li ordina in una serie come se fossero collane (abaco). I testi sono calcoli, enumerazioni del messaggio dell'immagine. Sono 'conti' e 'racconti'. Le immagini devono essere espresse e parlate, perchè come ogni mediazione fra l'uomo e il mondo, sono soggette ad una dialettica interna. Rappresentano il mondo all'uomo ma nello stesso tempo si interpongono fra l'uomo e il mondo. Fino a che rappresentano il mondo, sono come mappe; strumenti per l'orientamento del mondo. Fino a che si interpongono tra l'uomo e il mondo sono come schermi, come delle coperture del mondo. La scrittura è stata inventata quando la funzione di nascondere e di alienare delle immagini minacciava di oscurare la funzione di orientamento. O quando le immagini minacciavano di trasformare gli uomini in suoi strumenti invece di servire come strumenti per gli uomini."
La distinzione fra immagine e testo secondo Vilém Flusser
"La maggior parte dei messaggi che ci informano a proposito del mondo o sulla nostra situazione sono attualmente irradiate dalle superfici che ci circondano. E' la superficie e non più le linee testuali che codificano per prime il nostro mondo. Nel passato il mondo codificato era dominato da codici lineari di testo e attualmente è dominato da un codice bidimensionale delle superfici.Fotografie, schermi della tv,cinema, vetrine dei negozi sono diventati i portatori di informazioni che ci programmano. I media dominanti adesso sono le immagini e non più i testi. Una potente contro-rivoluzione delle immagini contro il testo è in corso. Comunque è necessario discernere che in questa contro-rivoluzione, si tratta di un caso completamente diverso tipo di immagine che non è mai esistito prima. Le immagini che ci programmano sono post-alfabetiche e non pre-alfabetiche, come erano le immagini del passato. La scrittura lineare (come per esempio l'alfabeto latino o le cifre arabe) è emersa come una rivoluzione contro le immagini. E' possibile osservare questa rivoluzione in particolare in Mesopotamia con le ceramiche. Rappresentavano un'immagine di una scena, per esempio un re vittorioso. L'immagine è composta di pittogrammi che rappresentano il re e i suoi nemici in ginocchio. Vicino alle immagini i pittogrammi stessi sono stati impressi sulla ceramica ancora una volta, ma questa volta essi formano delle linee. Queste linee sono dei testi che spiegano l'immagine accanto ad essa. I pittogrammi nel testo non significano più "Re" ma "Re nell'immagine". Il testo dissolve la bidimensionalità dell'immagine in un'unica dimensionalità e così modifica il significato del messaggio. Esso inizia a spiegare l'immagine. Il testo descrive come l'immagine allinea i simboli contenuti nell'immagine. Esso ordina i simboli come se fossero sassolini (calcoli), e li ordina in una serie come se fossero collane (abaco). I testi sono calcoli, enumerazioni del messaggio dell'immagine. Sono 'conti' e 'racconti'. Le immagini devono essere espresse e parlate, perchè come ogni mediazione fra l'uomo e il mondo, sono soggette ad una dialettica interna. Rappresentano il mondo all'uomo ma nello stesso tempo si interpongono fra l'uomo e il mondo. Fino a che rappresentano il mondo, sono come mappe; strumenti per l'orientamento del mondo. Fino a che si interpongono tra l'uomo e il mondo sono come schermi, come delle coperture del mondo. La scrittura è stata inventata quando la funzione di nascondere e di alienare delle immagini minacciava di oscurare la funzione di orientamento. O quando le immagini minacciavano di trasformare gli uomini in suoi strumenti invece di servire come strumenti per gli uomini."
Riflessioni su "Filosofia del design" di Vilem Flusser. [fonte: http://presstletter.com/2011/09/vilem-flusser-filosofia-del-design/]
Ventidue piccoli saggi, brevi, antiaccademici ed appassionati, per sostenere la tesi secondo la quale il design è l’intenzione che l’uomo manifesta attraverso la materia, con molteplici vantaggi da cogliere e qualche pericolo da cui guardarsi. Flusser è stato un brillante filosofo, ma è stato soprattutto un eclettico studioso di mass media e di linguaggio. All’inizio degli anni ’80 ha teorizzato la fine dell’era della scrittura a favore del ritorno del predominio dell’immagine; ma di un’immagine computazionale, come la definisce, e per questo capace, al contrario di quella preistorica e soprattutto della scrittura lineare, di afferrare l’inedita complessità del mondo contemporaneo. Qualcosa di molto simile a ciò che Mitchell chiamerà più tardi il pictorial turn. Occuparsi di design per Flusser è quindi inevitabile, perché significa affrontare nell’intimo questa nuova consistenza pulviscolare che ha assunto la realtà. Ed è anche per questo approccio radicale, oltre che per la sua straordinaria erudizione, che nel libro le tematiche trattate sono le più eterogenee e bizzarre: si passa dal rapporto tra gli sciamani e l’industria a quello tra la cibernetica e gli ombrelli, dalle somiglianze tra il mestiere del vasaio e quello del programmatore fino ai sorprendenti legami tra design e teologia. Ma sotto questi spunti insoliti e spiazzanti si cela sempre il vero fuoco della sua attenzione: il concetto di forma. Ad esso dedica un fondamentale e prezioso saggio, il secondo, che ha lo scopo dichiarato di precisare meglio il concetto di immaterialità, ripulendolo dei molti usi impropri che gli si sono incrostati nel tempo. Se è sufficiente la fisica di Einstein a spiegare che tutto è energia, sia la materia sia i campi elettromagnetici comunemente definiti immateriali, per chiarire invece che è errato definire immateriale la forma, Flusser propone una considerazione di questo tipo: la forma non è altro che l’apparenza stessa della materia, o meglio "la forma è il come della materia, e la materia è il che cosa della forma". Da ciò consegue che le forme devono essere riempite di materia per manifestarsi, e però "non sono né scoperte né invenzioni, ma contenitori per i fenomeni, cioè modelli"; quindi in un mondo altamente formalizzato come quello attuale sembra inutile distinguere tra informazioni vere e false, tra scienza e arte, bisogna piuttosto chiedersi quanto le informazioni siano utili e quanto le forme possano essere concretizzate. […]Filosofia del design è un libro che, pur parlando al futuro, credo abbia la rara qualità di invecchiare lentamente. Le sue pagine saranno a lungo capaci di rilasciare dettagli che in prima lettura ci erano apparsi marginali o che troveranno un senso solo alla luce di nuove informazioni di cui disporremo in futuro. [...] a differenza dei tanti futurologi che si esercitano a descriverci nei minimi dettagli sublimi scenari che puntualmente non si verificano, Flusser ci fornirà soprattutto di strumenti: bussole, leve, compassi e occhiali da lavoro per afferrare meglio la realtà che ci aspetta. Oltre ad una misurata eredità di ottimismo nei confronti della tecnologia, merce rara per una società come quella contemporanea che teme il futuro ed alimenta rigurgiti luddisti persino nelle nuove generazioni.
Estratto dell'intervista di Miklós Peternák a Vilém Flusser .
MP: È possibile definire un’immagine? VF: Sì, penso di sì. Un’immagine è una superficie con dei significati. Quando parlo di significati, intendo dire che l’immagine è una superficie che contiene dei simboli che sono organizzati in forma di codice. Quando dico superficie, invece, mi riferisco al fatto un’immagine contiene delle informazioni disposte, appunto, in superficie. È sincronico e io che la decifro, rendo diacronica questa sincronicità. Il movimento dell’occhio che decifra la superficie può essere definito scansione. L’occhio segue percorsi specifici e alcuni di questi sono voluti dallo stesso fautore dell’immagine. Ma l’occhio ha una certa autonomia e potrebbe seguire un proprio percorso. […] Un’immagine può essere interpretata da ogni fruitore in modo diverso. La nota positiva, ovviamente, è che il messaggio si riempie di significato, ma quella negativa è che il messaggio non è mai chiaro e distinto. Ora, il percorso che segue l’occhio sulla superficie è falso. L’occhio può tornare su ogni elemento dell’immagine in qualsiasi momento. Pertanto, la diacronizzazione della sincronicità dell’immagine diventa un processo circolare. Non c’è una spiegazione lineare di un’immagine, non può essere spiegata tramite la causa/effetto. […] Se si considera la loro struttura, le immagini possono essere divise in due tipi. Una è la superficie solida. […] infatti le immagini tradizionali sono considerate superfici solide. Sono visioni, visioni bidimensionali del mondo a quattro dimensioni in cui viviamo. Quindi l’immaginazione può essere riferita alla capacità di astrarre il mondo esistente in due dimensioni. Un’immagine è un’astrazione, ma adesso ci sono nuovi tipi di immagini. L’immagine fotografica è la prima di questi: non è più una superficie solida, è un mosaico di elementi più piccoli. Nel caso della fotografia, appunto, si tratta di un mosaico di molecole di argento. Perciò non si può più dire che la superficie è un’astrazione, ma piuttosto una concrezione composta da elementi puntiformi. Credo che questo nuovo tipo di immagine si sia sviluppata come segue […]: dalla fotografia si va al film, che ne ha la stessa struttura ontologica. Con il video si fa un salto indietro, c’è un cambio di paradigma, perché non ci sono più molecole a comporre l’immagine, ma fotoni ed elettroni. Si abbandona il livello chimico per andare verso quello della fisica nucleare. Si attiva, quindi, un tipo di immaginazione completamente diverso. In poche parole, le immagini di primo tipo sono oggetti, quelle di secondo tipo sono concetti. Il loro significato è opposto, o meglio il vettore di significanza è ruotato di 180°. Ecco perché se si guardano le nuove immagini e ci poniamo delle domande riferite alle vecchie, queste saranno sbagliate. Se guardiamo un programma televisivo, non dovremmo chiederci “Che cosa significa?”, ma piuttosto dovremmo domandarci l’intenzione di chi l’ha creato. […] Se ci si pongono quesiti sbagliati, riguardo la televisione per esempio, si diventa vittime manipolate dall’immagine. Al contrario, se ci si pongono le giuste domande, si avrà un potente strumento di critica. Uno dei miei obiettivi è quello di istruire le persone a porsi le giuste domande per non diventare vittime dell’immagine, ma per usarla come strumento di analisi critica.
Tra il minuto 5 e il minuto 7 Vilém Flusser afferma che il livello intellettuale estetico ed etico del genere umano si sta abbassando. Questo perché esistono sistemi che possono essere semplici o complessi dal punto di vista sia funzionale sia strutturale. Ad esempio un televisore è strutturalmente complesso, ma funzionalmente semplice, al contrario il gioco degli scacchi è strutturalmente semplice, ma funzionalmente complesso. Secondo Flusser i sistemi usati nell'epoca contemporanea sono sempre più complessi dal punto di visa strutturale, ma al momento troppo semplici dal punto di vista funzionale; la colpa non sarebbe dunque del sistema, ma dell'utente.
Flusser è stato un brillante filosofo, ma è stato soprattutto un eclettico studioso di mass media e di linguaggio. All'inizio degli anni 80 ha teorizzato la fine dell'era della scrittura a favore del ritorno del predominio dell'immagine; ma di un'immagine computazionale - come la definisce - e per questo capace, al contrario di quella preistorica e soprattutto della scrittura lineare, di afferrare l'inedita complessità del mondo contemporaneo. [di Roberto Sommantino]
Flusser parla delle immagini tecnologiche del sistema culturale, politico e sociale dell’epoca delle immagini tecnologiche, dell’epoca della computazione e degli algoritmi che re-inventano il mondo. E lo fa tracciando una storia delle immagini e del pensiero. Una storia di come l’uomo si è posto di fronte al reale e di come lo ha maneggiato, se ne è appropriato, lo ha nominato.. insomma della maniera, delle maniere, di fare cultura a partire dall’essere di fronte al reale. E le immagini giocano da sempre un ruolo fondamentale e ora queste immagini definiscono una nuova era, un nuovo uomo. [di Simone Arcagni]
Una storia del soggetto tecnologico in cui ogni momento dello suo sviluppo ha già in sé impliciti, anticipati, i passaggi successivi. C’è di mezzo la svolta moderna tra illuminismo e romanticismo: attraverso la sua capacità di rendere trasparenti le cose, la modernizzazione illumina gli oggetti (sino a scoprire che dietro di loro non c’è “nulla”: nessun ordine della natura o della società o dell’identità umana). Sempre l’idea del nulla – va detto – anticipa o segue una predisposizione verso il pensiero teologico. Una religione che sopravvive al proprio disincanto. Attraverso una serie di passaggi capaci in larga misura di legare insieme mediologia e teorie del disincanto, Flusser è in grado di sintetizzare il progresso umano (tutt’uno, per quanto s’è detto, con il progresso tecnologico) in una continua lotta tra ordine e disordine (o meglio, e la differenza non è da poco, tra ordine e “l’altro dell’ordine”) e conclude: “la fede che si possa sempre ‘fare meglio’ si chiama umanesimo”. La bontà dell’uomo contro la malvagità del mondo. [di Alberto Abruzzese]
Flusser si auspica una teoria che intersechi trasversalmente le materie scientifiche e quelle umanistiche, ricongiungendole. Tale teoria avrebbe un carattere strumentale cosciente e si impegnerebbe a cambiare l’umanità e, inoltre, avrebbe anche un carattere anti-accademico e anti-ideologico. Flusser immagina una teoria futuristica, del ‘nuovo essere umano’, che, grazie alla sua interdisciplinarità, al suo anti-accademismo e anti-ideologismo, starebbe alla base di tutte le teorie, diventando una specie di ‘azienda’ che va oltre l’attuale crisi della scienza. Insomma, una specie di sovrastruttura, di meta-teoria, che dovrebbe contenere l’essenza di tutte le discipline e il cui valore sarebbe la libertà: una disciplina di un futuro post-storico. Una teoria rivoluzionaria, quindi, che ci porterebbe a riorientarci e a creare nuovi tipi di teorie che ci permettano di approcciarci in maniera più pratica ai fenomeni. In questa prospettiva, il gesto, come fenomeno concreto del nostro attivo ‘essere al mondo’, si presta bene quale strumento per la nuova teoria, poiché si tratta della nostra libertà. [di Daniela Marcantonio]
Estratto da: (http://monoskop.org/Vil%C3%A9m_Flusser) Intervista a: (https://www.youtube.com/watch?v=lyfOcAAcoH8)
Vilém Flusser (1920-91) fu uno scrittore e filosofo dei media nato a Praga. Ebbe la cittadinanza brasiliana e scrisse la maggior parte delle sue opere in tedesco e portoghese. Il lavoro di Flusser elabora una teoria della comunicazione, teorizzando il salto epocale da quello che viene chiamato "pensiero lineare" (basato sulla scrittura) verso una nuova forma di pensiero visivo e multidimensionale costruito sulla cultura digitale. Per lui, questi nuovi modi e tecnologie di comunicazione rendono possibile una società (telematica) in cui la comunicazione è il valore supremo. Flusser guarda molto a Martin Buber, Edmund Husserl, Martin Heidegger e Thomas Kuhn, tra gli altri. (Traduzione di Michele Maruca)
Come considerazione personale, penso che se Flusser potesse essere vivo ai giorni nostri, potrebbe vedere quanto ha avuto ragione e una visione del futuro precisa. Come afferma lo stesso Flusser in un'intervista del 1988, stiamo vivendo una nuova rivoluzione tecnica, come fu quella della scrittura, che ci costringe a cambiare il nostro modo di pensare. Su questo pensiero, al tempo dell'intervista, si delineavano due caratteristiche tra le macchine, strutturalità e funzionalità. Al tempo però non era ancora consolidata una visione di HMI (Human-Machine Interface) tale da poter considerare le macchine strutturalmente complesse, ma funzionalmente semplici, quelle che alla fine hanno conquistato la quotidianità. Basti pensare al modo in cui negli anni 80 una persona doveva ascoltare musica, doveva inserire un supporto con un'unica traccia nel lettore e ascoltare. Nel 2000, con un semplice tocco si ha accesso ad una vastità di brani da tutto il mondo. Ovviamente c'è sempre un rimando grafico al sistema analogico, tramite lo skeuomorfismo (play,pausa,avanti ecc.), ma il concetto è semplificato all'estremo. Per concludere, condivido l'idea di Flusser sull'abbassamento del livello intellettivo della nostra società, dovuto ad una semplificazione estrema.
Riflettendo su come sia possibile scindere al punto di opporre “macchina fotografica” e “fotografo” – come opposizione emblematica della teoria delle immagini di Flusser – e sulla possibilità effettiva che l’uomo possa diventare vittima degli strumenti che esso stesso produce in un’ottica di progresso tecnico e culturale, mi è venuta in aiuto questa citazione dello stesso Flusser:
“Per le tecnoimmagini il mondo non è lo scopo, ma la materia prima. Esse non mediano tra l'uomo e il mondo − come facevano tutti i codici precedenti − bensì utilizzano il mondo, affinché esso medi tra loro e gli uomini.”
Questa mi ha aiutato a fare un collegamento a un linguaggio a me più vicino e comprensibile: quello dell’arte. Più precisamente ho pensato a William Kentridge, artista contemporaneo ma anacronistico.
Kentridge, nato nel 1955, è cresciuto in Sudafrica in una famiglia ebrea lituana benestante. La situazione socio-politica sudafricana era – ed è − ben diversa da quella europea, come diverse erano le priorità. Kentridge infatti ignora (consapevolmente) l'arte concettuale o pop che attraversano l’occidente, affondando le radici della sua ricerca nel modernismo e nella cultura figurativa.
Una delle riflessioni principali dell’artista è quella, appunto, sulla “mediazione”, in cui ribalta il mito della caverna di Platone – oltre a contestare i principali valori dell’Illuminismo − affermando che non necessariamente la luce è la verità, e che, al contrario, la verità è spesso nell’ombra (poiché “la verità” è quasi sempre data dai vincitori). Per cui si rende necessaria la mediazione, e l’arte, secondo Kentridge, deve essere proprio questo, una mediazione tra l’uomo e il mondo.
Nelle sue opere più famose, come nella serie “Drawings for projection”, l’artista mette in pratica questa teoria, autodenunciando la “falsità” del medium e rendendolo quindi “sincero”, e rendendo il medium stesso il messaggio (rientrando perfettamente nel dibattito sui media del periodo e tuttora attuale).
Kentridge − forse inconsapevolmente o forse no – è l’eccezione che conferma la regola della teoria di Flusser. O almeno questo mi è sembrato di capire, ammesso che abbia davvero capito la teoria di Flusser.
Qui sotto un'opera di William Kentridge, "The Black Box": Parte1 : https://youtu.be/Nn38eZC84oo Parte 2: https://youtu.be/Og1u_gg9R2Y
Fonti: - Doppio Zero "Una filosofia della fotofrafia", Tratto da: Vito Campanelli, "L’utopia di una società dialogica. Vilém Flusser e la teoria delle immagini tecniche", luca sossella edizioni 2015. - http://libreriarizzoli.corriere.it/L-utopia-di-una-societ-dialogica.-Vil-m-Flusser-e-la-teoria-delle-immagini-tecniche/8897356222/pc?refresh_ce-cp
Ho voluto approfondire l'aspetto della fotografia in Flusser perché mi ha particolarmente interessato la distinzione che fa fra le intenzioni del fotografo e quelle della stessa macchina. Flusser si concentra sulle immagini, concepite come mediazione fra uomo e mondo, e sulla fotografia intesa come “immagine tecnica”, che contribuisce alla memoria sociale.
Quanti di noi si sono mai chiesti quali processi si innescano ogni volta che prendiamo in mano una fotocamera? Non mi riferisco ovviamente al complesso di processi elettronici e fisici che permettono di produrre una fotografia. Parlo di meccanismi più radicati che accadono senza che spesso ce ne rendiamo nemmeno conto. Meccanismi su cui in realtà si fonda la grande rivoluzione che la fotografia ha introdotto.[...]
Riassumendo con una semplificazione molto rischiosa, la teoria elaborata da Flusser prevede la compresenza di due forze opposte: le intenzioni del fotografo da una parte e quelle dell’apparecchio dall’altra.
Con le prime Flusser intende la volontà del fotografo di cifrare i propri concetti di mondo, servendosi di un apparecchio fotografico allo scopo di mostrare qualcosa agli altri perché sia di modello per esperienze e valutazioni, facendo contemporaneamente in modo che tali modelli abbiano la maggior durata possibile. In pratica cercando di informare gli altri perseguirebbe la volontà di rendersi immortale nella memoria altrui attraverso le immagini prodotte.
A ciò si contrapporrebbero, sempre secondo Flusser, le intenzioni dell’apparecchio che consisterebbero nel porre in essere attraverso le immagini le possibilità racchiuse nell’apparecchio stesso inteso come strumento, servendosi di un fotografo per produrre immagini attraverso la cui diffusione ricevere informazioni per produrre immagini sempre migliori. Quindi il programma dell’apparecchio prevederebbe di realizzare le proprie possibilità utilizzando il feedback della società per il suo progressivo miglioramento. Cosa che a ben vedere non è poi tanto lontana dalla concretezza della prassi industriale che ben conosciamo. Ciò originerebbe collaborazione-opposizione apparecchio-fotografo. Ovviamente però non tutti i fotografi lottano per esprimersi, anzi la maggior parte soccombe al programma dell’apparecchio vittima della sua idolatria pagana, del suo stesso animismo tecnologico che lo induce ad essere usato dallo strumento che crede di usare. [...]
Ho trovato questo piccolo riassunto del libro "Per una filosofia della fotografia", che secondo me, anche se breve, contiene molti spunti utili per ragionare su come l'immagine e il testo oggi tendano ad avere sempre più spesso limiti poco definiti, e a contaminarsi l'una con l'altro.
Le immagini sono superfici significanti, astrazioni rappresentate. Si decodificano per mezzo dell’immaginazione, secondo processi di analisi e di scanning. Le immagini sono complessi simbolici appartenenti al mondo magico, non al mondo della linearità storica e nemmeno a quello degli eventi congelati.
Le immagini sono mediazioni fra il mondo e l’uomo, che dimenticando di averle inventate ci cade dentro, assomigliandoli.
C’è una lotta tra testo e immagini, i testi spiegano le immagini e le immagini illustrano i testi; così le immagini diventano sempre piu concettuali e i testi sempre piu immaginativi.
La scrittura giunge al termine divenendo irrappresentabile, ed è proprio durante questa crisi che vennero inventate le immagini tecniche; per rendere i testi nuovamente rappresentabili e carichi di magia, per superare la crisi della storia.
2. L’immagine tecnica
L’immagine tecnica è un immagine prodotta da apparecchi.
Le immagini tradizionali significano fenomeni e hanno un carattere simbolico, c’è un uomo che si inserisce fra le immagini e la codifica avviene “nella sua testa”.
Le immagini tecniche significano concetti e il suo tipico carattere oggettivo porta l’osservatore a crederci, ad illudersi. Le immagini tecniche non significano il mondo là fuori, bensi altri testi. Il passaggio tra apparecchio e operatore nelle immagini tecniche avviene con la macchina fotografica e non avviene in modo chiaro perché questa è una black box, in cui si riesce a concepirne solamente l’input e l’output. E’ In questa black box che avviene la codifica.
Le due magie si differenziano dal fatto che la vecchia ritualizzava dei miti, l’attuale ritualizza dei modelli detti programmi.
La fotografia viene inventata per caricare nuovamente le immagini di magia, che i testi cercavano di privare. Ma questa è un nuovo genere di magia, è programmata, triturata fino a farne una massa amorfa, e la cultura di massa ne è la conseguenza. Le immagini tecniche assorbono così tutta la storia costituendo una memoria sociale che gira all’infinito, diventando ripetizione.
3. L’apparecchio fotografico
Gli apparecchi producono immagini tecniche. Apparatus deriva dal verbo apparare cioè preparare. L’apparecchio è dunque un qualcosa di pronto che aspetta. Gli apparecchi sono parte integrante di una cultura e sono due i tipi di oggetti culturali, gli uni buoni per essere consumati e gli altri per produrre beni di consumo.
Gli utensili sono prolungamento degli organi umani e con l’evoluzione diventano tecnici, quindi piu potenti. Prima della rivoluzione industriale, l’uomo era circondato da utensili, dopo, la macchina era circondata da uomini. Variabili e costanti, invertiti.
Ho trovato in rete un articolo interessante e molto attuale di cui pubblico un estratto, che contiene una riflessione di Flusser sui migranti,che passano da una situazione di fragilità,difficoltà e sofferenza che è propria dell'esule ad una condizione di libertà totale tipica del nomade.Il fatto poi che anche Flusser è stato migrante rende ancora più interessante la riflessione.
[...]Una chiave di lettura completamente alternativa della migrazione forzata ci viene però da un grande filosofo del ‘900, che ha fatto esperienza sulla propria pelle della condizione di esule, e che forse ci può aprire spazi di riflessione più ampi. Si tratta di Vilém Flusser, nato a Praga da una famiglia di intellettuali ebraici, ma emigrato prima a Londra e successivamente in Brasile a seguito dell’avvento del Nazismo. Flusser è stato a tutti gli effetti un migrante forzato, un rifugiato costretto ad abbandonare il proprio Paese a causa delle persecuzioni sempre più efferate nei confronti degli Ebrei, e ha quindi vissuto in tutta la sua pienezza la lacerante condizione dell’esule. Egli lascia la propria terra in un momento storico in cui il connubio patria-suolo era particolarmente enfatizzato, e laddove l’identità nazionale in termini di razza, cultura e appartenenza territoriale era stata appropriata a fini ideologici dal Nazismo con le conseguenze che tutti conosciamo. Flusser sperimenta quindi in tutta la sua violenza il vissuto dello sradicamento, quando si ritrova esule in terra straniera, una terra tanto lontana da essere addirittura dall’altra parte dell’Oceano.
Vilém Flusser Vilém Flusser
Tuttavia questa esperienza, per quanto dolorosa, si rivela per lui particolarmente significativa. Gli permette infatti di riscoprire una valenza estremamente positiva nella condizione del migrante, il quale, solo, è veramente libero, in quanto ha reciso ogni legame con quanto lo lega (Bozzi 2007:18). Il passaggio muove dalla condizione dell’esule, di colui che ha perso tutto, a quella del nomade, ovvero dell’uomo libero per antonomasia. Nell’accezione comune, l’esiliato non può che trovarsi in una posizione di subalternità, in quanto non possedendo più nulla necessita quindi dell’aiuto altrui, e si trova in bilico tra due mondi senza arrivare ad appartenere a nessuno dei due. Al contrario per Flusser, l’esule è in una condizione privilegiata proprio perché l’oscillazione tra i due estremi rappresenta una sfida estrema, una tensione creativa che il sedentario non potrà mai sperimentare. Lo sradicamento, un sentimento inizialmente doloroso per chi lo sperimenta per la prima volta, diventa invece l’esperienza di una condizione di libertà totale, avendo troncato i legami con ciò che ci tiene incatenati, e che di conseguenza ci limita. L’esule diventa dunque nomade.
Riferendosi ai migranti contemporanei, Flusser dichiara che «coloro che sono stati cacciati dal loro Paese, così come si vedono occasionalmente sui nostri teleschermi non devono essere considerati degli outsider o delle vittime compassionevoli della società, ma dei modelli da seguire» (Flusser 1994b:17), perché «ci mettono davanti agli occhi ciò a cui noi dovremmo in realtà mirare» (ivi:37 cit. in Bozzi).[...]
È evidente la provocazione insita in dichiarazioni del genere, che lasciano intuire un pensiero per certi versi rivoluzionario, ed un modo di intendere le migrazioni contemporanee assolutamente alternativo al pensare comune. L’emigrazione diventa quindi uno strumento per superare le proprie visioni limitate del mondo, qualcosa che apre nuovi orizzonti, e che attraverso nuovi incontri permette all’essere umano di andare oltre anche a forme di appartenenza identitaria territorialmente circoscritte. Al contrario, Flusser ci suggerisce che la creatività indotta dalla condizione del nomadismo non può che condurre a sperimentare forme di identità molteplici e ibride, correlate non alla stabilità bensì alla mobilità.[...]
Mi sono dedicato come ha fatto Clarice Armiento, al problema dell'intenzione dell'artista nella produzione fotografica. Riguardo a questo punto ho trovato un contenuto scritto da Marco Spaggiari in "L'atto Fotografico".
"(...) La filosofia di Vilém Flusser: ponendo in rapporto "dialettico" le intenzioni umane (produttive) e quelle degli apparati (riproduttive) tenta di studiare il rinnovato problema libertà creatosi nel rapporto fotografo/apparato. 'L'apparecchio fotografico - dice Flusser - è programmato per generare fotografie, e ogni fotografia realizza una delle possibilità contenute dall'apparecchio. Il numero di queste possibilità è elevato, ma comunque finito: è il numero di tutte quelle fotografie che possono essere scattate da un apparecchio.' Se il numero delle possibilità delle immagini tecniche è un numero finito, come riconfigurare il problema della libertà d'espressione? (...) Ma l'intenzione umana, quella che ora sguazza nel reale e dovrebbe invece puntare all'ideale, sembra essere stata annichilita dall'utilizzo degli apparati di seconda e terza generazione. Di fronte alla testardaggine di questi titani antropomorfi nel realizzare programmi a loro assegnati, ci dimentichiamo che l'apparecchio è solo una simulazione semplificatoria dei processi mentali umani -quindi subumano- e ci ritroviamo come privati dell'intenzione."
Flusser torna spesso, negli anni 1970, su una crisi fondamentale che la nostra epoca starebbe vivendo, che egli evoca tra virgolette come una «crisi dei valori», «crisi della fede», «crisi dell’Occidente», e che ci aiuta a caratterizzare come una crisi di programmazione, che comporta un deficit di presenza al mondo. Questa crisi di programmazione, Flusser la attribuisce più precisamente a un’evoluzione nel tipo di oggetti mediatici che circolano tra di noi. Egli oppone così un periodo «storico», nel corso del quale la comunicazione sarebbe stata dominata dai messaggi alfabetici, composti da lettere disposte in catene lineari unidimensionali per formare frasi articolate da una certa «logica», al nostro periodo «post-storico» che vedrebbe la crescita sempre più potente di comunicazioni basate sulle tecnoimmagini (fotografie, film, trasmissioni televisive, siti internet). Le nostre generazioni transizionali sono state programmate per funzionare secondo il regime dei discorsi alfabetici, che rispettano un certo logos, una certa ratio che si sforza di articolare concetti con concetti, mentre ormai ci troviamo immersi in un universo mediatico retto da una dinamica molto differente, che è quella delle tecnoimmagini. Il pensiero di Flusser a volte è difficile da seguire perché, sul filo delle idee che sgorgano in continuazione dai suoi scritti, egli sembra spesso enunciare affermazioni tra di loro incompatibili, mentre di fatto chiarisce contraddizioni inerenti ai nostri sviluppi tecnologici. Abbiamo appena visto che il suo discorso sembra anticipare le deplorazioni (oggi troppo frequenti) contro una «civiltà delle immagini» che renderebbe tutta la nostra gioventù una generazione di analfabeti o quantomeno di illetterati. Il pensiero di Flusser è molto più sottile.
Malgrado le apparenze, egli non oppone la mediatezza logica del testo lineare all’immediatezza sensibile dell’immagine visuale – come fa la maggior parte dei lamenti attuali. Flusser non parla solo di «immagini» (opposte ai testi), ma di tecnoimmagini, che si oppongono tanto ai testi lineari quanto alle immagini tradizionali, come quelle che gli esseri umani hanno prodotto dai tempi di Lascaux in poi. La differenza è essenziale. Il problema delle tecnoimmagini non è che siano audio-visive piuttosto che linguistiche, sensibili piuttosto che logiche, bidimensionali piuttosto che lineari. Il problema è che le tecnoimmagini implicano l’astrazione logica nel loro nucleo attivo e nel loro modo di funzionamento effettivo, che però dissimulano nella loro apparenza sensibile. Anche il pittore di Lascaux aveva costruito nella sua immaginazione uno schema figurativo relativamente «astratto» corrispondente all’immagine del bisonte, ma la sua produzione di immagine si basava innanzitutto sulla traduzione sensibile di immagini concrete, non filtrate da un linguaggio di programmazione astratto. Nel cuore della fotografia, anche se viene realizzata con mezzi analogici (cristalli di alogenuro d’argento), Flusser sottolinea che c’è astrazione scientifica: formule chimiche, calcoli di ottica per aggiustare la focale – in breve: concetti, cifre, equazioni, programmi. Ciò che Flusser chiama apparecchi si caratterizza con la presenza della programmazione numerica nel cuore stesso della tecnica che costituisce la caratteristica propria delle tecnoimmagini.
La nostra età numerica non ha fatto altro che accentuare e generalizzare questa tendenza. Tutto ciò che passa per Internet vi circola solo a condizione di essere stato appunto digitalizzato, cioè rigorosamente programmato.
Avendo nei commenti spiegato ampiamente immagini tradizionali e tecniche, mi sono soffermata sulla diffusione fotografica e i l rapporto di essa con l uomo
''E che dire della diffusione fotografica? Essa avviene attraverso il canale divulgativo delle riviste scientifiche e reportage, imperativo dei manifesti di propaganda politica, artistico e pubblicitario. Le foto si caricano così di un contenuto altamente drammatico, in quanto racchiudono la tensione fra tre elementi fondamentali: fotografo, apparecchio e canale comunicativo. Anche qui, secondo l’autore, la critica fotografica dovrebbe evidenziare questa forma di lotta, smascherare i “media” nascosti tra fotografo e apparecchio, per rendere i destinatari consapevoli e non magicamente imprigionati. Il vero punto che andrebbe smascherato è il completo automatismo che l’apparecchio fotografico sta via via acquistando: l’uomo è scalzato, drammaticamente disinserito. Chi oggi non possiede una macchina fotografica? Ma, se è vero che chi sa scrivere sa anche leggere, non è detto che chi sa fare le foto sappia anche decifrarle. Oggi le macchine fotografiche sono apparecchi strutturalmente complessi, ma funzionalmente molto semplici: al contrario degli scacchi, in cui a dispetto di regole semplici, è difficile giocare bene, chi ha in mano una macchina fotografica può fare belle foto senza avere la minima idea della complessità del meccanismo che mette in atto attraverso un semplice scatto. Il fotografo dilettante non è mai al di sopra dello scatto, è catturato dal suo strumento in una sequenza di scatti successivi, è lui stesso prolungamento dell’autoscatto della macchina. Un fotografo vero (alter ego di un uomo libero) riscopre le stesse scene in modi sempre diversi. Cerca di informare, cioè di variare la forma, lo stato di cose di elementi sempre identici; tutto questo in un tempo in cui il vettore semantico si è invertito, le foto spiegano i testi, la realtà è entrata nel simbolo dell’immagine, scacciando indietro la nostra coscienza storica e critica e avvolgendoci nel cerchio magico dell’universo fotografico. In maniera subliminale e ingannevole, gli apparecchi programmano fotografo e società secondo il programma in essi contenuto. Se la filosofia della fotografia riuscisse a tenere alta l’attenzione su questo punto, potrebbe essere significativa per la società postindustriale. La filosofia avrebbe da affrontare il tema della libertà oggi che, in tutti i campi della vita moderna, gli apparecchi finiscono con il programmare ed organizzare la vita degli uomini intorno a essi. I fotografi sono già uomini del futuro, i loro gesti sono programmati dai loro apparecchi, si occupano del “terziario”, si interessano alle informazioni e creano cose (le foto) senza valore. Eppure, convinti che la loro attività sia tutt’altro che assurda, ritengono perciò di essere liberi. È qui che, secondo Flusser, la filosofia potrebbe essere un faro: vigilando la pratica della ricerca della felicità, illuminando i fotografi sperimentali, quelli consapevoli che immagine-apparecchio-programma-informazione sono gli elementi con cui confrontarsi, quelli che tentano di creare foto impreviste, di contrastare i programmi, di “giocare” con l’apparecchio, ma che non sempre comprendono che in questo loro gioco stanno tentando di dare una risposta alla questione della libertà nell’universo moderno dominato dagli apparecchi''.
Ho voluto fare una ricerca specifica riguardante l’ASCII e la possibile relazione con Vilém Flusser.
ASCII (acronimo di American Standard Code for Information Interchange, Codice Standard Americano per lo Scambio di Informazioni) è un codice per la codifica di caratteri. La standard ASCII è stato pubblicato dall'American National Standards Institute (ANSI) nel 1968.
“È per lo più considerato un hobby o una popolare forma d'arte che crea immagini, parole e oggetti della vita quotidiana. Non è esattamente qualcosa che si può incontrare facilmente in un museo d'arte. L’ASCII art ha molteplici segni collegati ad esso. Per alcuni è impressionante a causa della meticolosità e del tempo investito in esso. Per altri è semplicemente il testo decorativo. L’ASCII art è un modo di scrivere le immagini sotto i vincoli tecnologici. La popolarità della comunicazione basata su testo incoraggia l'uso di ASCII art. A prima vista i limiti sono ciò che la rendono interessante. Ma l’ASCII art ha il potenziale per essere qualcosa di più funzionale piuttosto che un gioco di superficie estetico? Con una particolare attenzione al confine tra linguaggio visivo e scritto, questo lavoro indaga nel esempio di arte ASCII come gli esseri umani gestiscono la tastiera del computer come strumento incoraggiare nuove forme di creatività e cultura popolare. Dal momento che la prima volta che le macchine potessero calcolare, le persone hanno stravolto, modificato, inciso e suonato con loro al fine di creare arte. Questo studio descriverà il medium specifico e i collegamenti storici con l'arte, la poesia, la programmazione e la letteratura. Si discuterà arte ASCII come un movimento con possibili potenzialità future.”
“Secondo il filosofo Vilém Flusser [1] l'immagine è una superficie e la sua portabilità è in funzione la sua materialità o il "corpo fisico portabile a cui le immagini possono essere applicate"[2]. Immagini tradizionali (ad esempio i dipinti) sono per lo più oggetti fisici fissati ai corpi fisici come una tela incorniciata. Sono oggetti che hanno una limitazione materiale e sono identici attraverso dei display che li riproducono. Essi possono essere visualizzati in una sola posizione alla volta ed esiste in uno o un certo numero di copie. Anche se possono essere riprodotti all'infinito, la riproduzione non è della stessa qualità dell'originale. A differenza di disegni rupestri o mosaici che non possono essere trasportati e devono essere osservati sul posto, le immagini tradizionali sono immagini mobili, che possono essere osservati altrove solo se trasportati. Le nuove immagini dei media sono comunque superfici sulle quali solo i nostri occhi possono vagare”
“Recentemente, è stato scoperto qualcosa di nuovo. Immagini disincarnate, superfici 'pure', e tutte le immagini che sono finora esistite, possono essere tradotte (transcodifica) in immagini di un nuovo genere.” [3]
“Testo arte e disegni sono superfici pure. Nello stesso modo le immagini raster, le informazioni, il testo, si dispongono liberamente sulla superficie. Diversi partecipanti possono cooperare per proiettare significati diversi sulla superficie, il suo significato diventa quindi ambiguo. Al contrario dei dipinti tradizionali sono una forma trasmissibile di arte universale. La stessa immagine può essere utilizzata e visualizzata su innumerevoli computer diversi, e ciascuna di queste immagini proiettate, non è una riproduzione, ma un autentico visualizzazione del lavoro. Le numerose limitazioni della imagine-making, il metodo ha portato il vantaggio che chiunque su qualsiasi sistema possa visualizzare l'opera d'arte il modo in cui l'artista intendeva. In realtà questo ha reso l'arte di testo ovviamente molto accessibile e facile da distribuire ad un pubblico più vasto. Anche se i disegni ASCII sono stati prodotti e presentati in una dematerializzata forma digitale trasmissibile, si potrebbe ancora sostenere che le immagini erano "limitate" per l'imposizione della interfaccia del computer. Le dimensioni dello schermo del computer impone un limite fisico in qualche modo alla visualizzazione della immagine, creando una cornice fisica intorno al lavoro. Flusser afferma che tradizionalmente “un’immagine è un messaggio" [4] perché ha un “mittente” - il creatore di immagini, e va alla ricerca di un “destinatario” - il ricevitore. Simile all’immagine tradizionale, ogni immagine ha a che fare con il punto di vista del produttore di quell'immagine. I disegni ASCII sono letteralmente "messaggi", dal momento che vengono visualizzati e trasmessi come dati informatici numerici in comunicazione nel web. Il destinatario o il mittente possono essere potenzialmente chiunque a causa della sua portabilità e proprietà universali. L'esclusività del “destinatario” e del “mittente”, pertanto, non esisteranno più.”
Nota 1. Vilém Flusser (May 12, 1920 – November 27, 1991). A Czech-born philosopher, writer and journalist. Nota 2. “Images in the New Media”, Flusser, p. 70. Nota 3. “Images in the New Media”, Flusser, p. 70. Note 4. “Images in the New Media”, Flusser, p. 70.
Da 'Immagini: come la tecnologia ha cambiato la nostra percezione del mondo' di Vilém Flusser (Fazi Editore 2009) Capitolo 11, Giocare: «Il problema centrale, di cui vale la pena parlare in riferimento alla società dialogica, è la produzione di informazioni. Si tratta di quel problema che nei tempi passati venne chiamato "creazione". Come si realizzano le informazioni, vale a dire le situazioni impreviste e imprevedibili? Sembra che compaiano all'improvviso dal nulla, che siano dei miracoli. Da qui il concetto di "creatio ex nihilo". Da qui la fede di un divino creatore. E da qui la divinizzazione degli uomini creativi, soprattutto dei cosiddetti "artisti". Il problema della produzione dell'informazione deve essere tirato fuori da questo contesto mitizzante; vanno prese in esame le virtualità di una società divenuta telematica, di una effettiva "società dell'informazione". Bisogna infatti parlare non di una società di dèi, ma di una società di giocatori. [...] Noi ci troviamo, a seguito della demitizzazione della produzione dell'informazione, davanti a una nuova struttura dell'universo. Non più davanti a una creazione che affiora da un originario nulla, per avvicinarsi, passo dopo passo, linearmente (in "sei giorni"), verso un fine previsto, davanti all'universo della storia lineare, ma davanti a un ottuso gioco di dadi, nel quale tutti i possibili casi, anche i più inverosimili, alla lunga devono realizzarsi, e dove tutti questi lanci, alla fin fine, devono sfociare in una situazione verosimile, disinformata, in una "morte termica". Non ci troviamo più davanti a una retta, ma davanti a circoli che si sviluppano uno contro l'altro, che si piegano in se stessi, davanti a epicicli di informazioni che si dissolvono in se stessi reciprocamente. Nel mondo non bisogna parlare tanto di creazione quanto di esaurimento. Noi ci troviamo davanti all'assurdo. Di fronte al quale c'è da pensare che l'apparente linearità del secondo principio della termodinamica (tutto scorre verso l'entropia) sia in effetti solo un punto: quel punto, dal quale nascono le informazioni per ritornarvi. La visione lineare, storica non è da conservare in un universo assurdo».
Sulla questione della scrittura lineare consiglio inoltre il libro: 'Ipertesto. Il futuro della scrittura', di Landow George P. (1993, Barkerville) in cui vengono citati, tra l'altro, molti testi interessanti quali: 'S/Z' di Roland Barthes, la 'Poetica' di Aristotele (in cui dà una definizione della “favola” in cui la sequenza svolge un ruolo centrale: «un tutto è ciò che ha un principio e mezzo e fine [...] bisogna dunque che le favole, se vogliono essere ben costituite, né comincino da qualunque punto capiti, né dovunque capiti finiscano, ma si attengano a quelle idee di principio e di fine che abbiamo ora dichiarato») e 'L’archeologia del sapere' di Michel Foucault.
Allego un testo di Giuseppe Patella che recensisce e spiega in maniera chiara le ideologie di uno degli scritti del filosofo boemo Vilèm Flusser: Filosofia del Design.
Without Firm Ground – Vilém Flusser and the Arts: Exhibition at the ZKM, Karlsruhe Senza terreno compatto - Vilém Flusser e le arti: Mostra presso il ZKM, Karlsruhe
Vilém Flusser (1920-1991), studioso del linguaggio e della cultura, della teoria e della tecnologia della comunicazione e dell'immagine, è considerato un punto di riferimento imprescindibile per la filosofia dei media e la cultura informatica nei paesi di lingua tedesca. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Filosofia del design (2003) e La cultura dei media (2004).
Piccola introduzione del libro "Per una filosofia della fotografia" di Vilém Flusser. Bruno Mondadori Editore, 2006
Vilem Flusser, in questo breve saggio, ci spiega la necessità di una filosofia della fotografia, un'etica di comportamento fra il fotografo e la macchina fotografica. Ricostruisce l'intero mondo della fotografia, soffermandosi su ciascun elemento: apparecchio, fotografo, il gesto fotografico, la ricezione, la distribuzione. L'analisi spiega il rapporto fra l'autore e il prodotto, la capacità dell'uomo nel riuscire ad estrarre, a catturare dalla vita reale degli attimi significanti per portarli in una superfice significante, in un universo bidimensionale. L'attimo viene congelato e nello stesso tempo riesce ad arricchirlo di interpretazioni, di punti di vista, di un leitmotiv personale, abbatte la linearità del tempo statico, la documentazione del reale in cui esistono una successione temporale degli eventi e una correlazione definita tra causa ed effetto, e definisce un tempo circolare, in cui il prima e il poi ritornano nel tempo e nello spazio. Il fotografo può impostare svariate combinazioni spazio-temporali, privilegiando un primo piano piuttosto che un campo totale, ma la scelta è limitata alle combinazioni possibili delle categorie possedute dall'apparecchio: quella del fotografo è una libertà programmata in quanto egli può volere liberamente solo ciò che l'apparecchio è in grado di realizzare. Flusser dice che l'inganno continua nella scelta dell'oggetto da fotografare: in realtà si possono fotografare solo "stati di cose" a cui applicare, di volta in volta, valori estetici o prospettici o concetti artistici: in sostanza, ogni foto può essere solo l'immagine dei concetti contenuti nel programma dell'apparecchio fotografico. Il mondo è solo uno spunto. Realismo e idealismo si sfumano perché non sono reale né il mondo là fuori né i programmi della macchina: è la fotografia l'unico elemento reale. Decifrarle significa coglierne il vero concetto: i simboli. Paradossalmente invece sembra che le immagini tecniche non abbiano bisogno di essere decifrate: confondiamo il loro significato con ciò che raffigurano in superficie, considerandole finestre sul mondo e non rappresentazioni di esso. E così criticare l'immagine non è critica all'atto creativo che l'ha generata ma al mondo che rappresenta. Flusser parla anche del gesto fotografico, ma anche questo non è un'azione, un gesto libero. La fotocamera può lavorare solo in un determinato spazio, distanza dall'oggetto e rapidità della scena che si vuole catturare, ma basta un niente, un piccolo imprevisto (luce, mosso, distanza)e il fotografo è costretto a cambiare i parametri della macchina: in termine tecnico è costretto a "dubitare", deve regolare di nuovo la sua fotocamera e scegliere un nuovo punto di vista, non è più libero di scegliere; un attimo prima aveva un soggetto ben nitido e con delle sfumature particolari, deve adattarsi alla fotocamera, deve scendere ad un compromesso. Il significato e la riuscita dell'immagine vengono suddivisi alla pari fra la fotocamera e l'autore. Il compito del libro è interrogare il fotografo sulla sua libertà in un mondo governato dagli apparecchi.
In allegato un video della sua presentazione: https://www.youtube.com/watch?v=ZWcX3XQyukg
Ho trovato interessante la lettura di alcune parti del libro (che riporto qui di seguito) : Teorie dell'immagine. Il dibattito contemporaneo A cura di: Andrea Pinotti, Antonio Somaini.
"é una semplificazione sbagliata parlare di immagini tradizionali come meramente imitative, e privarle in questo modo del loro ruolo guida per l'immaginazione collettiva. Vilém Flusser potrebbe essersi spinto troppo in là quando parla, nel suo libro dedicato alla filosofia della fotografia, di immagini "magiche", considerandole parti della nostra esistenza "in cui tutto si ripete", mentre nel mondo dell'invenzione tutto cambia. Ma si deve ammettere che la sua intenzione qui è corretta. Flusser sostiene anche che "le immagini sono mediazioni fra il mondo e l'uomo. L'uomo 'ek-siste', non ha cioè un accesso diretto al mondo, cosicché le immagini devono renderglielo rappresentabile. Nel momento in cui lo fanno, tuttavia, esse si pongono fra il mondo e l'uomo. Dovrebbero essere mappe e diventano schermi: anziché rappresentare il mondo, lo alterano, fino a che l'uomo si mette a vivere in funzione delle immagini da lui create". La funzione retroattiva della rappresentazione, intesa nel senso più ampio del termine, è quindi ben posta."
"The Five-Step-Model of Vilém Flusser" cortometraggio di Julia Wiesner (2012)
https://vimeo.com/53870400
Una serie di animazioni segue la voce di Flusser durante il racconto dell'evoluzione della comunicazione da interazione diretta con il mondo a mediazione attraverso le varie tecnologie.
Qui in seguito, una breve introduzione al libro "Per una filosofia della fotografia" di Vilém Flusser, che mi è sembrata molto esplicativa:
Vilem Flusser, in questo breve saggio, ci spiega la necessità di una filosofia della fotografia, un'etica di comportamento fra il fotografo e la macchina fotografica. Ricostruisce l'intero mondo della fotografia, soffermandosi su ciascun elemento: apparecchio, fotografo, il gesto fotografico, la ricezione, la distribuzione. L'analisi spiega il rapporto fra l'autore e il prodotto, la capacità dell'uomo nel riuscire ad estrarre, a catturare dalla vita reale degli attimi significanti per portarli in una superfice significante, in un universo bidimensionale. L'attimo viene congelato e nello stesso tempo riesce ad arricchirlo di interpretazioni, di punti di vista, di un leitmotiv personale, abbatte la linearità del tempo statico, la documentazione del reale in cui esistono una successione temporale degli eventi e una correlazione definita tra causa ed effetto, e definisce un tempo circolare, in cui il prima e il poi ritornano nel tempo e nello spazio. Il fotografo può impostare svariate combinazioni spazio-temporali, privilegiando un primo piano piuttosto che un campo totale, ma la scelta è limitata alle combinazioni possibili delle categorie possedute dall'apparecchio: quella del fotografo è una libertà programmata in quanto egli può volere liberamente solo ciò che l'apparecchio è in grado di realizzare. Flusser dice che l'inganno continua nella scelta dell'oggetto da fotografare: in realtà si possono fotografare solo "stati di cose" a cui applicare, di volta in volta, valori estetici o prospettici o concetti artistici: in sostanza, ogni foto può essere solo l'immagine dei concetti contenuti nel programma dell'apparecchio fotografico. Il mondo è solo uno spunto. Realismo e idealismo si sfumano perché non sono reale né il mondo là fuori né i programmi della macchina: è la fotografia l'unico elemento reale. Decifrarle significa coglierne il vero concetto: i simboli. Paradossalmente invece sembra che le immagini tecniche non abbiano bisogno di essere decifrate: confondiamo il loro significato con ciò che raffigurano in superficie, considerandole finestre sul mondo e non rappresentazioni di esso. E così criticare l'immagine non è critica all'atto creativo che l'ha generata ma al mondo che rappresenta. Flusser parla anche del gesto fotografico, ma anche questo non è un'azione, un gesto libero. La fotocamera può lavorare solo in un determinato spazio, distanza dall'oggetto e rapidità della scena che si vuole catturare, ma basta un niente, un piccolo imprevisto (luce, mosso, distanza)e il fotografo è costretto a cambiare i parametri della macchina: in termine tecnico è costretto a "dubitare", deve regolare di nuovo la sua fotocamera e scegliere un nuovo punto di vista, non è più libero di scegliere; un attimo prima aveva un soggetto ben nitido e con delle sfumature particolari, deve adattarsi alla fotocamera, deve scendere ad un compromesso. Il significato e la riuscita dell'immagine vengono suddivisi alla pari fra la fotocamera e l'autore. Il compito del libro è interrogare il fotografo sulla sua libertà in un mondo governato dagli apparecchi.
Secondo Vilém Flusser, l’arrivo dell’immagine fotografica ha rappresentato per la cultura occidentale un’innovazione radicale. Un’innovazione che può addirittura essere paragonata a quella che è stata introdotta in precedenza dalla scrittura umana. Il linguaggio verbale ha imposto infatti agli individui di riflettere su tutto quello che dicevano e li ha aiutati di conseguenza a prendere coscienza di sé. Pertanto, è grazie principalmente a tale linguaggio che le civiltà umane hanno potuto maturare e sviluppare una propria autocoscienza. La fotografia dunque ha determinato uno choc culturale che può essere avvicinato a quello che era stato creato in precedenza dalla comparsa del linguaggio scritto. Si è presentata nel 1839 nella forma di un procedimento fotografico ancora rudimentale come il dagherrotipo, ma già quattro anni prima William Henry Fox Talbot aveva creato il primo negativo, grazie al quale è stato possibile stampare in seguito l’immagine su carta. La fotografia ha assunto così la capacità di riprodursi nella quantità desiderata a partire da un’unica matrice di base. È diventata cioè un oggetto che, esattamente come i beni industriali, poteva essere prodotto in serie per grandi masse di persone. È stato soprattutto l’industriale statunitense George Eastman a fare progredire questo processo attraverso la commercializzazione nel 1888 della prima macchina fotografica Kodak, uno strumento portatile, dotato di una pellicola in rullino, semplice da utilizzare e corredato da un servizio di sviluppo e stampa.
L’euforia tecnologica che ha accompagnato il processo di globalizzazione, il successo di Internet e delle nuove tecnologie dei mezzi di comunicazione all’inizio degli anni ’90 del XX secolo hanno reso celebri in tutto il mondo i suoi testi, provocatori e visionari, ancora oggi di grande attualità. La sua opera, che ha attraversato culture, paesi e ambiti diversi del sapere alla continua ricerca di nuovi spazi di libertà, rappresenta una testimonianza preziosa non solo per chi si occupa di filosofia e teoria della comunicazione, della cultura o della fotografia, ma anche per chiunque voglia confrontarsi con la modernità, il presente e le sue ambivalenze. Non solo: il suo pensiero è un concentrato di potenzialità analitiche, istanze critiche, limiti pratici e anche contraddizioni di una galassia di idee che ci accompagnerà e ci occuperà sempre più insistentemente negli anni a venire. Il volume di Paola Bozzi offre anche al lettore italiano l’opportunità di fare i conti con tutta la sua vitalità e ricchezza, portando allo scoperto le esperienze e le radici culturali che hanno contribuito alla formazione della sua peculiare identità. Propone così una lettura del suggestivo universo flusseriano attraverso un’analisi chiara e rigorosa del tema chiave della libertà nelle sue diverse, attualissime figurazioni (il nomade, il saggio, la favola, la fotografia, l’apocalisse), affiancando l’anticonformismo teorico dell’autore allo stile intellettuale «trasversale» di importanti esponenti della cultura moderna e contemporanea di lingua tedesca.
Commento del professore Giorgio Cipolletta riguardo la teoria delle immagini tecniche di Flusser con particolare riferimento all'aspetto dialogico che si viene a creare nel nuovo contesto moderno e come in relazione ad esso si va a modificare sia la società che il rapporto dell'uomo nei confronti del mondo fenomenico.
RispondiElimina"Le “immagini tecniche” - per Flusser - nascono solo attraverso i computer e la società telematica ribalta l’astrazione in concretizzazione, caratterizzata da un’“esistenza proiettiva” dell’“uniformare” che subentra all’“esistenza soggettiva” dell’“uni-formazione”. “Uni-formare significa quindi quella capacità di ritornare verso il concreto a partire dall’universo” (Flusser, 2009: 45-47). L’uomo viene così assorbito dal collegamento in rete in un’esistenza dell’“uni-formare”, fungendo sempre contemporaneamente da emittente e destinatario. La sede veramente creativa è il collegamento in rete della conversazione. La telematica secondo Flusser è la prima tecnica consapevole dell’intenzione presente in tutte le tecniche che cerca di incrementare la somma delle informazioni disponibili (Flusser, 2009: 127), garantendo così una distanza critica e rinnovando l’attuale piano elettrico discorsivo delle “immagini tecniche” in uno dialogico. Flusser “uni-forma” la comunicazione attraverso le“immagini tecniche” che si rivolgono all’uomo raggiungendolo nel più intimo spazio privato. La rete integra sia la macchina che l’uomo in un sistema simbiotico portando ad una società, la cui unica funzione è quella di combinare in maniera metodologica informazioni vecchie per generarne delle nuove. L’obiettivo di Flusser è quello di contrastare l’entropia (Arnheim, 1974: 23-31) a favore di una “neghentropia”, vale a dire un’entropia negativa. Ed è proprio quest’ultima che produce informazione in un processo intersoggettivo. Questa condizione richiede la partecipazione attiva di chi osserva, perché la “neghentropia”, che rappresenta la teoria dell’informazione, è il risultato di codici, i quali possono essere quantificati. In altre parole, Flusser nota come sia possibile sapere il significato di un specifico codice e la teoria dell’informazione diventa così una scienza dello spirito. Attraverso questo processo biunivoco di connotazione e denotazione si riflette sul carattere dell’universo dei significati dei messaggi i quali vengono “transcodificati”. Per Flusser tutti i testi non sono altro che prodotti “semi-finiti”. Questa produzione di informazione ha il carattere di un gioco, che tuttavia non si fonda sul caso, ma sulla realizzazione del tutto intenzionale delle possibilità date. Ciò contrappone l’uomo alla natura, nella quale è l’evoluzione a produrre nuovi sviluppi. Le informazioni vengono immagazzinate in maniera immateriale e sono così sottratte all’intervento della natura. La comunicazione avverrà ormai, solo attraverso immagini, mentre la scrittura non è più all’altezza della molteplicità delle informazioni da mediare o generare delle nuove categorie. Il punto di vista fisso viene sostituito da molti modi di vedere e il progresso viene misurato sul numero più grande possibile di prospettive integrate."
Giorgio Cipolletta - "Il flusso di Flusser: una prospettiva ubiqua oltre il contemporaneo"
Eleonora Formiconi
Recensione di Francesca Rigotti.
RispondiEliminaFlusser,Vilém, Immagini. Come la tecnologia ha cambiato la nostra percezione del mondo.
"La sua intuizione sulla società del futuro, quella che noi tutti oggi esperiamo ma Flusser aveva soltanto, per dir così, annusato nell'aria, ha dello stupefacente. Qui un passo del libro a dimostrazione di tanta lungimiranza che non fu credo di nessun altro, se non forse, in parte, di Deleuze col suo rizoma reticolare. Ma leggiamo Flusser: «Lo scenario, la favola che ho proposto qui, è questa: gli uomini staranno, ognuno per sé, in celle, giocheranno con i polpastrelli sulle tastiere, guarderanno fissi piccolissimi schermi, riceveranno immagini, le modificheranno e le trasmetteranno. Alle loro spalle i robot porteranno le cose per nutrire i loro corpi atrofizzati e farli crescere. Attraverso i loro polpastrelli gli uomini saranno collegati gli uni agli altri e così costruiranno una rete dialogica, un supercervello cosmico, la cui funzione sarà di rendere in immagini, attraverso calcoli e computazioni, le situazioni inverosimili; di provocare informazioni, catastrofi. Tra gli uomini ci saranno intelligenze artificiali che dialogheranno con gli uomini mediante cavi e funicoli nervosi similari. Diventerà perciò senza senso, da un punto di vista funzionale, voler differenziare tra intelligenze “naturali” e “artificiali”, (tra “cervelli dei primati” e cervelli dei secondi”) », p. 223. Per illustrare questo scenario Flusser si serve di termini già esistenti che vengono però modificati rispetto al significato originario: il più significativo è sicuramente, in questo contesto, Einbildungskraft. Il termine tedesco consacrato dall'uso corrisponde all'italiano «forza dell'immaginazione». Ma a Flusser serve un termine diverso per indicare le nuove immagini (Bilder), quelle che egli chiama tecniche e che noi chiameremmo digitali o televisive, per distinguerle dalle immagini tradizionali delle pitture degli uomini della pietra o del rinascimento. L'immagine tecnica è prodotta dalla capacità (Kraft) di ein-bilden, formare in uno, uni-formare . Con «uni-formazione» traduce dunque il bravo curatore e traduttore Salvatore Patriarca la Ein-bildungflusseriana, definendola nella sua nota «la capacità di ricomporre un'unità dalla dispersione dell'universo quantistico» (p. 238). La traduzione/interpretazione ci pare appropriata anche se ogni volta ci costringe a riflettere sul fatto che uni-formazione non è uniformazione: ma alla riflessione su questo tema è dedicato l'intero scritto di Flusser. Che capitolo dopo capitolo, in un'alternanza di intuizioni sublimi ma anche – bisogna dirlo – di scivoloni nel banale se non nel ridicolo di alcune proposte, illustra il passaggio dal testo lineare, continuo e unidimensionale (il testo della scrittura alfabetica) all'immagine tecnica costruita di punti discreti e interrotti (il testo frantumato in elementi puntuali e privi di dimensione del calcolare e computare). Per quanto questo possa significare, Flusser scrive che «la differenza tra immagini tradizionali e immagini tecniche sarebbe [che] le prime sono visioni di oggetti, le seconde computazioni di concetti. Le prime nascono grazie all'immaginazione (Imagination), le seconde grazie a una specifica capacità di uniformare (Einbildungskraft) a seguito del fatto che la fiducia nelle regole è andata persa» (p. 14). Questa capacità di uniformare, non si stanca di ripetere Flusser, è qualcosa di profondamente diverso rispetto all'immaginazione, qualcosa di nuovo e di cui si deve parlare per comprendere il mondo della «poststoria», Nachgeschiche(altro neologismo), nel quale Flusser profetizzava, a ragione, che ci saremmo trovati a vivere."
fonte: http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2009-11/flusser.htm
Morena Foglia
-Chi è Vilém Flusser?
RispondiEliminaVilém Flusser (1920-1991), studioso del linguaggio e della cultura, della teoria e della tecnologia della comunicazione e dell’immagine, è considerato un punto di riferimento imprescindibile per la filosofia dei media e la cultura informatica nei paesi di lingua tedesca.
[http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2007-05/flusser.htm]
-Foto
[https://valerievisual.files.wordpress.com/2012/01/medium_ny_7_-_flusser.jpg]
-Cosa ha fatto?
La cultura dei media
Dalla carta stampata a Internet, dalla radio alla televisione, dal telefono al telefonino, tutti viviamo ormai
nella società della comunicazione. E anzi si può dire che viviamo
per comunicare e comunichiamo per vivere. La cultura dei media, titolo di un prezioso volume che raccoglie i saggi di Vilém Flusser (1920-1991),
è dunque sempre più una cultura di massa, una cultura quotidiana e popolare, nel senso che appartiene
a ciascuno di noi, fa parte integrante della nostra vita.
Studioso del linguaggio, della teoria
e delle tecnologie della comunicazione, Flusser è considerato uno dei più originali pensatori del
Novecento. Costretto dalla persecuzione nazista ad abbandonare Praga nel ’39, visse a lungo in Brasile e dopo il
suo rientro in Europa diventò un punto di riferimento per la cultura informatica di lingua tedesca.
Fondata sulla distinzione fondamentale
tra “discorso” e “dialogo”, cioè tra un’informazione a senso unico e un’informazione
dinamica o – come si direbbe oggi – interattiva, la sua filosofia della comunicazione è quella di un “profeta
della società telematica” che perse la vita in un incidente automobilistico nel ’91, proprio alle soglie
della rivoluzione di Internet. Di particolare interesse, soprattutto per un pubblico come quello italiano oppresso
dal regime televisivo, il capitolo intitolato “Per una fenomenologia della televisione” e scritto nel
1974.
Già allora Flusser presagiva
che l’impiego di questo strumento «non è un abuso funzionale ma un abuso etico», perché
induce il destinatario dei suoi messaggi a un comportamento specifico, al consumo di determinati beni materiali
e immateriali. E perciò concludeva, con un avvertimento pari a una profezia, che «la televisione può
essere altrettanto decisiva per il futuro quanto la bomba atomica e il computer».
[http://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/8085/il-mondo-dei-media-una-storia-di-massa/]
Giovanni Di Pede
Recensione di Daniela Di Dato, del libro "Per una filosofia della fotografia", ho ritenuto opportuno inserire questo articolo perché sottolinea rapporto tra l'artefice e il proprio prodotto descritta da rapporto tra autore e prodotto Vilém Fusser.
RispondiEliminaAttraverso un viaggio fisico negli ingranaggi dell’universo fotografico, Flusser propone non un saggio filosofico ma un’ipotesi di lavoro nella ricerca della libertà. Due eventi sembrano aver caratterizzato la storia umana: l’invenzione della scrittura lineare nel secondo millennio a.C. e l’elaborazione delle immagini tecniche che attraversa la nostra epoca. Da qui parte l’autore, proponendo ipotesi e concetti per stimolare un dibattito, fare pensiero e spirito filosofico sulla fotografia.
Come una macchina da presa congela un evento in singoli scatti rapidissimi la cui sequenza ne restituisce il movimento, così Flusser si sofferma su ciascun elemento della fotografia (apparecchio, fotografo, gesto fotografico, ecc.) per ricostruirne l’universo. [..]
L’analisi quindi tocca il rapporto tra autore e prodotto. In passato, il pittore s’inseriva in modo magico ma riconoscibile, tela e pennello erano gli utensili con cui rielaborava in simboli la realtà; così pure l’invenzione della stampa diffondeva testi divulgativi per la gente semplice, testi ermetici per élìte intellettuali, sviluppando l’arte delle immagini, la scienza e la politica a buon mercato. Ora tra immagine e fotografo si pone l’apparecchio fotografico, una black box misteriosa che introduce una magia “poststorica”, inaspettata, che prende forma nell’infinita riproduzione delle immagini tradizionali su poster e cartelloni pubblicitari, o nella magia programmabile e ripetibile dei fotoromanzi surrogati di testi divulgativi e a buon mercato. È l’utensile moderno, di valore, che conferisce agli oggetti una forma nuova, e in ciò li “informa”, producendo beni di consumo. Ma se prima l’uomo lavorava circondandosi di utensili, ora sono le macchine a circondarsi di uomini. E così il fotografo ha tra le mani un utensile, spesso sofisticato, con il quale non vuole trasformare il mondo, non può farlo, ma cerca “informazioni”, per dare al mondo una forma diversa. Il fotografo, emblema dell’uomo moderno, usa lo strumento senza conoscerlo. Non è più homo faber ma homo ludens. L’apparato fotografico (e per analogia quello statale, dirigente, burocratico) è un giocattolo talmente complesso che l’uomo non è in grado di comprenderlo: può solo giocarci combinando in varie forme i simboli contenuti nel programma. Rimane così solo il gesto fotografico: ma anche questo non è un gesto libero. L’apparecchio fotografico può lavorare solo in funzione di categorie spazio-temporali definite: distanza dall’oggetto e rapidità dell’azione che si vuole catturare. Il fotografo può impostare svariate combinazioni spazio-temporali, privilegiando un primo piano piuttosto che un campo totale, ma la scelta è limitata alle combinazioni possibili delle categorie possedute dall’apparecchio: quella del fotografo è una libertà programmata in quanto egli può volere liberamente solo ciò che l’apparecchio è in grado di realizzare. Secondo Flusser, l’inganno continua nella scelta dell’oggetto da fotografare: in realtà si possono fotografare solo “stati di cose” a cui applicare, di volta in volta, criteri estetici, o prospettici o concetti artistici: in sostanza, ogni foto può essere solo l’immagine dei concetti contenuti nel programma dell’apparecchio fotografico. Il mondo è solo uno spunto. Realismo e idealismo si sfumano perchè non è reale né il mondo là fuori né i programmi della macchina: è la fotografia l’unico elemento reale. [..]
Fonte: http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2007-05/flusser.htm
CAROLINA MONACO
Definire se stessi:
RispondiEliminaGia la corrente filosofica del 900 , aveva analizzato le necessità ontologiche e il senso dell’essere da cui Vilem Flusser ha preso ispirazione per le sue basi teoriche.
Egli ci pone davanti la questione di come il linguaggio fotografico, alla base dell’attuale civiltà delle immagini, assuma importanza a livello di informazione.
L’ambiente che l’uomo crea diventa il suo mezzo per definire se stesso ( Marshall McLuhan) , e oggi c’è un coinvolgimento sociale più grande.
Allego un estratto che spiega la teoria di Flusser sul gesto del fotografo, correlato da semplici immagini molto efficaci ed esplicative.
https://www.produzionidalbasso.com/media/allegati/2130/Snap_Shooters_estratto1.pdf
Inoltre, ho trovato un articolo di D'ARS magazine che mette in luce un aspetto importante del definire se stessi attraverso i social, in cui l’ossessione per l’identità digitale fa si che molte delle immagini prodotte, come i selfie appunto, costituiscano una sorta di racconto, costantemente aggiornato…
(Inevitabili i rimandi sociologici..)
“[…]le immagini tecniche si differenziano nettamente dalle immagini tradizionali secondo quello che afferma Vilém Flusser in Per una filosofia della fotografia. Esse sono immagini prodotte da apparecchi a loro volta prodotti sulla base di concetti. Il loro carattere, apparentemente non simbolico, dà l’impressione all’osservatore che esse siano una finestra sul mondo, ma questa oggettività è del tutto illusoria.Le fotografie “informano” il mondo, cioè tendono a dargli una forma concettuale che va nella direzione delle caratteristiche proprie della macchina.
Flusser definisce i fotografi, nel nostro caso gli utenti, funzionari che controllano un gioco sul quale non possono avere competenza. Questo però non ci dice ancora abbastanza sul perché fotografare se stessi…”
L’intero articolo:
http://www.darsmagazine.it/selfie-dire-se-stessi/#.VuVDb-LhCUk
Loretta Borrelli
D’ARS year 54/nr 217/spring 2014
Giada Semeraro
La distinzione fra immagini e testo secondo Vilém Flusser
RispondiElimina"La maggior parte dei messaggi che ci informano a proposito del mondo o sulla nostra situazione sono attualmente irradiate dalle superfici che ci circondano. E' la superficie e non più le linee testuali che codificano per prime il nostro mondo. Nel passato il mondo codificato era dominato da codici lineari di testo e attualmente è dominato da un codice bidimensionale delle superfici.Fotografie, schermi della tv,cinema, vetrine dei negozi sono diventati i portatori di informazioni che ci programmano. I media dominanti adesso sono le immagini e non più i testi. Una potente contro-rivoluzione delle immagini contro il testo è in corso. Comunque è necessario discernere che in questa contro-rivoluzione, si tratta di un caso completamente diverso tipo di immagine che non è mai esistito prima. Le immagini che ci programmano sono post-alfabetiche e non pre-alfabetiche, come erano le immagini del passato. La scrittura lineare (come per esempio l'alfabeto latino o le cifre arabe) è emersa come una rivoluzione contro le immagini. E' possibile osservare questa rivoluzione in particolare in Mesopotamia con le ceramiche. Rappresentavano un'immagine di una scena, per esempio un re vittorioso. L'immagine è composta di pittogrammi che rappresentano il re e i suoi nemici in ginocchio. Vicino alle immagini i pittogrammi stessi sono stati impressi sulla ceramica ancora una volta, ma questa volta essi formano delle linee. Queste linee sono dei testi che spiegano l'immagine accanto ad essa. I pittogrammi nel testo non significano più "Re" ma "Re nell'immagine". Il testo dissolve la bidimensionalità dell'immagine in un'unica dimensionalità e così modifica il significato del messaggio. Esso inizia a spiegare l'immagine. Il testo descrive come l'immagine allinea i simboli contenuti nell'immagine. Esso ordina i simboli come se fossero sassolini (calcoli), e li ordina in una serie come se fossero collane (abaco). I testi sono calcoli, enumerazioni del messaggio dell'immagine. Sono 'conti' e 'racconti'. Le immagini devono essere espresse e parlate, perchè come ogni mediazione fra l'uomo e il mondo, sono soggette ad una dialettica interna. Rappresentano il mondo all'uomo ma nello stesso tempo si interpongono fra l'uomo e il mondo. Fino a che rappresentano il mondo, sono come mappe; strumenti per l'orientamento del mondo. Fino a che si interpongono tra l'uomo e il mondo sono come schermi, come delle coperture del mondo. La scrittura è stata inventata quando la funzione di nascondere e di alienare delle immagini minacciava di oscurare la funzione di orientamento. O quando le immagini minacciavano di trasformare gli uomini in suoi strumenti invece di servire come strumenti per gli uomini."
[ http://www.univocalpublishing.com/books/102-post-history-by-vilem-flusser] [http://www.flusserstudies.net/sites/www.flusserstudies.net/files/media/attachments/flusser-our-images.]
Chiara Barbera
La distinzione fra immagine e testo secondo Vilém Flusser
RispondiElimina"La maggior parte dei messaggi che ci informano a proposito del mondo o sulla nostra situazione sono attualmente irradiate dalle superfici che ci circondano. E' la superficie e non più le linee testuali che codificano per prime il nostro mondo. Nel passato il mondo codificato era dominato da codici lineari di testo e attualmente è dominato da un codice bidimensionale delle superfici.Fotografie, schermi della tv,cinema, vetrine dei negozi sono diventati i portatori di informazioni che ci programmano. I media dominanti adesso sono le immagini e non più i testi. Una potente contro-rivoluzione delle immagini contro il testo è in corso. Comunque è necessario discernere che in questa contro-rivoluzione, si tratta di un caso completamente diverso tipo di immagine che non è mai esistito prima. Le immagini che ci programmano sono post-alfabetiche e non pre-alfabetiche, come erano le immagini del passato. La scrittura lineare (come per esempio l'alfabeto latino o le cifre arabe) è emersa come una rivoluzione contro le immagini. E' possibile osservare questa rivoluzione in particolare in Mesopotamia con le ceramiche. Rappresentavano un'immagine di una scena, per esempio un re vittorioso. L'immagine è composta di pittogrammi che rappresentano il re e i suoi nemici in ginocchio. Vicino alle immagini i pittogrammi stessi sono stati impressi sulla ceramica ancora una volta, ma questa volta essi formano delle linee. Queste linee sono dei testi che spiegano l'immagine accanto ad essa. I pittogrammi nel testo non significano più "Re" ma "Re nell'immagine". Il testo dissolve la bidimensionalità dell'immagine in un'unica dimensionalità e così modifica il significato del messaggio. Esso inizia a spiegare l'immagine. Il testo descrive come l'immagine allinea i simboli contenuti nell'immagine. Esso ordina i simboli come se fossero sassolini (calcoli), e li ordina in una serie come se fossero collane (abaco). I testi sono calcoli, enumerazioni del messaggio dell'immagine. Sono 'conti' e 'racconti'. Le immagini devono essere espresse e parlate, perchè come ogni mediazione fra l'uomo e il mondo, sono soggette ad una dialettica interna. Rappresentano il mondo all'uomo ma nello stesso tempo si interpongono fra l'uomo e il mondo. Fino a che rappresentano il mondo, sono come mappe; strumenti per l'orientamento del mondo. Fino a che si interpongono tra l'uomo e il mondo sono come schermi, come delle coperture del mondo. La scrittura è stata inventata quando la funzione di nascondere e di alienare delle immagini minacciava di oscurare la funzione di orientamento. O quando le immagini minacciavano di trasformare gli uomini in suoi strumenti invece di servire come strumenti per gli uomini."
[ http://www.univocalpublishing.com/books/102-post-history-by-vilem-flusser] [http://www.flusserstudies.net/sites/www.flusserstudies.net/files/media/attachments/flusser-our-images.]
Chiara Barbera
Riflessioni su "Filosofia del design" di Vilem Flusser.
RispondiElimina[fonte: http://presstletter.com/2011/09/vilem-flusser-filosofia-del-design/]
Ventidue piccoli saggi, brevi, antiaccademici ed appassionati, per sostenere la tesi secondo la quale il design è l’intenzione che l’uomo manifesta attraverso la materia, con molteplici vantaggi da cogliere e qualche pericolo da cui guardarsi.
Flusser è stato un brillante filosofo, ma è stato soprattutto un eclettico studioso di mass media e di linguaggio. All’inizio degli anni ’80 ha teorizzato la fine dell’era della scrittura a favore del ritorno del predominio dell’immagine; ma di un’immagine computazionale, come la definisce, e per questo capace, al contrario di quella preistorica e soprattutto della scrittura lineare, di afferrare l’inedita complessità del mondo contemporaneo. Qualcosa di molto simile a ciò che Mitchell chiamerà più tardi il pictorial turn. Occuparsi di design per Flusser è quindi inevitabile, perché significa affrontare nell’intimo questa nuova consistenza pulviscolare che ha assunto la realtà.
Ed è anche per questo approccio radicale, oltre che per la sua straordinaria erudizione, che nel libro le tematiche trattate sono le più eterogenee e bizzarre: si passa dal rapporto tra gli sciamani e l’industria a quello tra la cibernetica e gli ombrelli, dalle somiglianze tra il mestiere del vasaio e quello del programmatore fino ai sorprendenti legami tra design e teologia. Ma sotto questi spunti insoliti e spiazzanti si cela sempre il vero fuoco della sua attenzione: il concetto di forma. Ad esso dedica un fondamentale e prezioso saggio, il secondo, che ha lo scopo dichiarato di precisare meglio il concetto di immaterialità, ripulendolo dei molti usi impropri che gli si sono incrostati nel tempo. Se è sufficiente la fisica di Einstein a spiegare che tutto è energia, sia la materia sia i campi elettromagnetici comunemente definiti immateriali, per chiarire invece che è errato definire immateriale la forma, Flusser propone una considerazione di questo tipo: la forma non è altro che l’apparenza stessa della materia, o meglio "la forma è il come della materia, e la materia è il che cosa della forma". Da ciò consegue che le forme devono essere riempite di materia per manifestarsi, e però "non sono né scoperte né invenzioni, ma contenitori per i fenomeni, cioè modelli"; quindi in un mondo altamente formalizzato come quello attuale sembra inutile distinguere tra informazioni vere e false, tra scienza e arte, bisogna piuttosto chiedersi quanto le informazioni siano utili e quanto le forme possano essere concretizzate.
[…]Filosofia del design è un libro che, pur parlando al futuro, credo abbia la rara qualità di invecchiare lentamente. Le sue pagine saranno a lungo capaci di rilasciare dettagli che in prima lettura ci erano apparsi marginali o che troveranno un senso solo alla luce di nuove informazioni di cui disporremo in futuro.
[...] a differenza dei tanti futurologi che si esercitano a descriverci nei minimi dettagli sublimi scenari che puntualmente non si verificano, Flusser ci fornirà soprattutto di strumenti: bussole, leve, compassi e occhiali da lavoro per afferrare meglio la realtà che ci aspetta. Oltre ad una misurata eredità di ottimismo nei confronti della tecnologia, merce rara per una società come quella contemporanea che teme il futuro ed alimenta rigurgiti luddisti persino nelle nuove generazioni.
Estratto dell'intervista di Miklós Peternák a Vilém Flusser .
EliminaMP: È possibile definire un’immagine?
VF: Sì, penso di sì. Un’immagine è una superficie con dei significati. Quando parlo di significati, intendo dire che l’immagine è una superficie che contiene dei simboli che sono organizzati in forma di codice. Quando dico superficie, invece, mi riferisco al fatto un’immagine contiene delle informazioni disposte, appunto, in superficie. È sincronico e io che la decifro, rendo diacronica questa sincronicità. Il movimento dell’occhio che decifra la superficie può essere definito scansione. L’occhio segue percorsi specifici e alcuni di questi sono voluti dallo stesso fautore dell’immagine. Ma l’occhio ha una certa autonomia e potrebbe seguire un proprio percorso. […] Un’immagine può essere interpretata da ogni fruitore in modo diverso. La nota positiva, ovviamente, è che il messaggio si riempie di significato, ma quella negativa è che il messaggio non è mai chiaro e distinto. Ora, il percorso che segue l’occhio sulla superficie è falso. L’occhio può tornare su ogni elemento dell’immagine in qualsiasi momento. Pertanto, la diacronizzazione della sincronicità dell’immagine diventa un processo circolare. Non c’è una spiegazione lineare di un’immagine, non può essere spiegata tramite la causa/effetto. […]
Se si considera la loro struttura, le immagini possono essere divise in due tipi. Una è la superficie solida. […] infatti le immagini tradizionali sono considerate superfici solide. Sono visioni, visioni bidimensionali del mondo a quattro dimensioni in cui viviamo.
Quindi l’immaginazione può essere riferita alla capacità di astrarre il mondo esistente in due dimensioni. Un’immagine è un’astrazione, ma adesso ci sono nuovi tipi di immagini. L’immagine fotografica è la prima di questi: non è più una superficie solida, è un mosaico di elementi più piccoli. Nel caso della fotografia, appunto, si tratta di un mosaico di molecole di argento.
Perciò non si può più dire che la superficie è un’astrazione, ma piuttosto una concrezione composta da elementi puntiformi.
Credo che questo nuovo tipo di immagine si sia sviluppata come segue […]: dalla fotografia si va al film, che ne ha la stessa struttura ontologica. Con il video si fa un salto indietro, c’è un cambio di paradigma, perché non ci sono più molecole a comporre l’immagine, ma fotoni ed elettroni. Si abbandona il livello chimico per andare verso quello della fisica nucleare. Si attiva, quindi, un tipo di immaginazione completamente diverso. In poche parole, le immagini di primo tipo sono oggetti, quelle di secondo tipo sono concetti. Il loro significato è opposto, o meglio il vettore di significanza è ruotato di 180°.
Ecco perché se si guardano le nuove immagini e ci poniamo delle domande riferite alle vecchie, queste saranno sbagliate. Se guardiamo un programma televisivo, non dovremmo chiederci “Che cosa significa?”, ma piuttosto dovremmo domandarci l’intenzione di chi l’ha creato.
[…] Se ci si pongono quesiti sbagliati, riguardo la televisione per esempio, si diventa vittime manipolate dall’immagine. Al contrario, se ci si pongono le giuste domande, si avrà un potente strumento di critica. Uno dei miei obiettivi è quello di istruire le persone a porsi le giuste domande per non diventare vittime dell’immagine, ma per usarla come strumento di analisi critica.
[http://www.c3.hu/events/97/flusser/participantstext/miklos-interview.html]
Francesca Ceccarelli
https://www.youtube.com/watch?v=lyfOcAAcoH8
RispondiEliminaTra il minuto 5 e il minuto 7 Vilém Flusser afferma che il livello intellettuale estetico ed etico del genere umano si sta abbassando. Questo perché esistono sistemi che possono essere semplici o complessi dal punto di vista sia funzionale sia strutturale. Ad esempio un televisore è strutturalmente complesso, ma funzionalmente semplice, al contrario il gioco degli scacchi è strutturalmente semplice, ma funzionalmente complesso. Secondo Flusser i sistemi usati nell'epoca contemporanea sono sempre più complessi dal punto di visa strutturale, ma al momento troppo semplici dal punto di vista funzionale; la colpa non sarebbe dunque del sistema, ma dell'utente.
Alessandro Buzzi
Flusser è stato un brillante filosofo, ma è stato soprattutto un eclettico studioso di mass media e di linguaggio. All'inizio degli anni 80 ha teorizzato la fine dell'era della scrittura a favore del ritorno del predominio dell'immagine; ma di un'immagine computazionale - come la definisce - e per questo capace, al contrario di quella preistorica e soprattutto della scrittura lineare, di afferrare l'inedita complessità del mondo contemporaneo. [di Roberto Sommantino]
RispondiEliminaFlusser parla delle immagini tecnologiche del sistema culturale, politico e sociale dell’epoca delle immagini tecnologiche, dell’epoca della computazione e degli algoritmi che re-inventano il mondo. E lo fa tracciando una storia delle immagini e del pensiero. Una storia di come l’uomo si è posto di fronte al reale e di come lo ha maneggiato, se ne è appropriato, lo ha nominato.. insomma della maniera, delle maniere, di fare cultura a partire dall’essere di fronte al reale. E le immagini giocano da sempre un ruolo fondamentale e ora queste immagini definiscono una nuova era, un nuovo uomo. [di Simone Arcagni]
Una storia del soggetto tecnologico in cui ogni momento dello suo sviluppo ha già in sé impliciti, anticipati, i passaggi successivi. C’è di mezzo la svolta moderna tra illuminismo e romanticismo: attraverso la sua capacità di rendere trasparenti le cose, la modernizzazione illumina gli oggetti (sino a scoprire che dietro di loro non c’è “nulla”: nessun ordine della natura o della società o dell’identità umana). Sempre l’idea del nulla – va detto – anticipa o segue una predisposizione verso il pensiero teologico. Una religione che sopravvive al proprio disincanto. Attraverso una serie di passaggi capaci in larga misura di legare insieme mediologia e teorie del disincanto, Flusser è in grado di sintetizzare il progresso umano (tutt’uno, per quanto s’è detto, con il progresso tecnologico) in una continua lotta tra ordine e disordine (o meglio, e la differenza non è da poco, tra ordine e “l’altro dell’ordine”) e conclude: “la fede che si possa sempre ‘fare meglio’ si chiama umanesimo”. La bontà dell’uomo contro la malvagità del mondo. [di Alberto Abruzzese]
Flusser si auspica una teoria che intersechi trasversalmente le materie scientifiche e quelle umanistiche, ricongiungendole. Tale teoria avrebbe un carattere strumentale cosciente e si impegnerebbe a cambiare l’umanità e, inoltre, avrebbe anche un carattere anti-accademico e anti-ideologico. Flusser immagina una teoria futuristica, del ‘nuovo essere umano’, che, grazie alla sua interdisciplinarità, al suo anti-accademismo e anti-ideologismo, starebbe alla base di tutte le teorie, diventando una specie di ‘azienda’ che va oltre l’attuale crisi della scienza. Insomma, una specie di sovrastruttura, di meta-teoria, che dovrebbe contenere l’essenza di tutte le discipline e il cui valore sarebbe la libertà: una disciplina di un futuro post-storico. Una teoria rivoluzionaria, quindi, che ci porterebbe a riorientarci e a creare nuovi tipi di teorie che ci permettano di approcciarci in maniera più pratica ai fenomeni. In questa prospettiva, il gesto, come fenomeno concreto del nostro attivo ‘essere al mondo’, si presta bene quale strumento per la nuova teoria, poiché si tratta della nostra libertà. [di Daniela Marcantonio]
Sitografia (in ordine di citazione)
Roberto Sommantino
http://presstletter.com/2011/09/vilem-flusser-filosofia-del-design/
Simone Arcagni
http://simonearcagni.nova100.ilsole24ore.com/2009/10/13/le-immagini-di-vilem-flusser/
Alberto Abruzzese
http://www.albertoabruzzese.net/2015/06/19/labbandono-dellhumanismus-in-vilem-flusser/
Mirko Lino cit. Flusser e Codeluppi
http://www.cinergie.it/?p=4030
Daniela Marcantonio
http://www.flusserstudies.net/sites/www.flusserstudies.net/files/media/attachments/marcantonio-verso-una-teoria-dei-gesti.pdf
Video
Intervista Vilém Flusser sulla scrittura, la complessità e le rivoluzioni tecniche (1988) https://www.youtube.com/watch?v=lyfOcAAcoH8
Simone Cera
Estratto da: (http://monoskop.org/Vil%C3%A9m_Flusser)
RispondiEliminaIntervista a: (https://www.youtube.com/watch?v=lyfOcAAcoH8)
Vilém Flusser (1920-91) fu uno scrittore e filosofo dei media nato a Praga. Ebbe la cittadinanza brasiliana e scrisse la maggior parte delle sue opere in tedesco e portoghese. Il lavoro di Flusser elabora una teoria della comunicazione, teorizzando il salto epocale da quello che viene chiamato "pensiero lineare" (basato sulla scrittura) verso una nuova forma di pensiero visivo e multidimensionale costruito sulla cultura digitale. Per lui, questi nuovi modi e tecnologie di comunicazione rendono possibile una società (telematica) in cui la comunicazione è il valore supremo. Flusser guarda molto a Martin Buber, Edmund Husserl, Martin Heidegger e Thomas Kuhn, tra gli altri.
(Traduzione di Michele Maruca)
Come considerazione personale, penso che se Flusser potesse essere vivo ai giorni nostri, potrebbe vedere quanto ha avuto ragione e una visione del futuro precisa. Come afferma lo stesso Flusser in un'intervista del 1988, stiamo vivendo una nuova rivoluzione tecnica, come fu quella della scrittura, che ci costringe a cambiare il nostro modo di pensare. Su questo pensiero, al tempo dell'intervista, si delineavano due caratteristiche tra le macchine, strutturalità e funzionalità. Al tempo però non era ancora consolidata una visione di HMI (Human-Machine Interface) tale da poter considerare le macchine strutturalmente complesse, ma funzionalmente semplici, quelle che alla fine hanno conquistato la quotidianità. Basti pensare al modo in cui negli anni 80 una persona doveva ascoltare musica, doveva inserire un supporto con un'unica traccia nel lettore e ascoltare. Nel 2000, con un semplice tocco si ha accesso ad una vastità di brani da tutto il mondo. Ovviamente c'è sempre un rimando grafico al sistema analogico, tramite lo skeuomorfismo (play,pausa,avanti ecc.), ma il concetto è semplificato all'estremo. Per concludere, condivido l'idea di Flusser sull'abbassamento del livello intellettivo della nostra società, dovuto ad una semplificazione estrema.
Riflettendo su come sia possibile scindere al punto di opporre “macchina fotografica” e “fotografo” – come opposizione emblematica della teoria delle immagini di Flusser – e sulla possibilità effettiva che l’uomo possa diventare vittima degli strumenti che esso stesso produce in un’ottica di progresso tecnico e culturale, mi è venuta in aiuto questa citazione dello stesso Flusser:
RispondiElimina“Per le tecnoimmagini il mondo non è lo scopo, ma la materia prima. Esse non mediano tra l'uomo e il mondo − come facevano tutti i codici precedenti − bensì utilizzano il mondo, affinché esso medi tra loro e gli uomini.”
Questa mi ha aiutato a fare un collegamento a un linguaggio a me più vicino e comprensibile: quello dell’arte. Più precisamente ho pensato a William Kentridge, artista contemporaneo ma anacronistico.
Kentridge, nato nel 1955, è cresciuto in Sudafrica in una famiglia ebrea lituana benestante. La situazione socio-politica sudafricana era – ed è − ben diversa da quella europea, come diverse erano le priorità. Kentridge infatti ignora (consapevolmente) l'arte concettuale o pop che attraversano l’occidente, affondando le radici della sua ricerca nel modernismo e nella cultura figurativa.
Una delle riflessioni principali dell’artista è quella, appunto, sulla “mediazione”, in cui ribalta il mito della caverna di Platone – oltre a contestare i principali valori dell’Illuminismo − affermando che non necessariamente la luce è la verità, e che, al contrario, la verità è spesso nell’ombra (poiché “la verità” è quasi sempre data dai vincitori). Per cui si rende necessaria la mediazione, e l’arte, secondo Kentridge, deve essere proprio questo, una mediazione tra l’uomo e il mondo.
Nelle sue opere più famose, come nella serie “Drawings for projection”, l’artista mette in pratica questa teoria, autodenunciando la “falsità” del medium e rendendolo quindi “sincero”, e rendendo il medium stesso il messaggio (rientrando perfettamente nel dibattito sui media del periodo e tuttora attuale).
Kentridge − forse inconsapevolmente o forse no – è l’eccezione che conferma la regola della teoria di Flusser. O almeno questo mi è sembrato di capire, ammesso che abbia davvero capito la teoria di Flusser.
Qui sotto un'opera di William Kentridge, "The Black Box":
Parte1 : https://youtu.be/Nn38eZC84oo
Parte 2: https://youtu.be/Og1u_gg9R2Y
Fonti:
- Doppio Zero "Una filosofia della fotofrafia", Tratto da: Vito Campanelli, "L’utopia di una società dialogica. Vilém Flusser e la teoria delle immagini tecniche", luca sossella edizioni 2015.
- http://libreriarizzoli.corriere.it/L-utopia-di-una-societ-dialogica.-Vil-m-Flusser-e-la-teoria-delle-immagini-tecniche/8897356222/pc?refresh_ce-cp
Guendalina Fazioli
Ho voluto approfondire l'aspetto della fotografia in Flusser perché mi ha particolarmente interessato la distinzione che fa fra le intenzioni del fotografo e quelle della stessa macchina. Flusser si concentra sulle immagini, concepite come mediazione fra uomo e mondo, e sulla fotografia intesa come “immagine tecnica”, che contribuisce alla memoria sociale.
RispondiElimina[Fonte: http://sandroiovine.blogspot.it/2007/03/flusser-il-filosofo.html]
Quanti di noi si sono mai chiesti quali processi si innescano ogni volta che prendiamo in mano una fotocamera? Non mi riferisco ovviamente al complesso di processi elettronici e fisici che permettono di produrre una fotografia. Parlo di meccanismi più radicati che accadono senza che spesso ce ne rendiamo nemmeno conto. Meccanismi su cui in realtà si fonda la grande rivoluzione che la fotografia ha introdotto.[...]
Riassumendo con una semplificazione molto rischiosa, la teoria elaborata da Flusser prevede la compresenza di due forze opposte: le intenzioni del fotografo da una parte e quelle dell’apparecchio dall’altra.
Con le prime Flusser intende la volontà del fotografo di cifrare i propri concetti di mondo, servendosi di un apparecchio fotografico allo scopo di mostrare qualcosa agli altri perché sia di modello per esperienze e valutazioni, facendo contemporaneamente in modo che tali modelli abbiano la maggior durata possibile. In pratica cercando di informare gli altri perseguirebbe la volontà di rendersi immortale nella memoria altrui attraverso le immagini prodotte.
A ciò si contrapporrebbero, sempre secondo Flusser, le intenzioni dell’apparecchio che consisterebbero nel porre in essere attraverso le immagini le possibilità racchiuse nell’apparecchio stesso inteso come strumento, servendosi di un fotografo per produrre immagini attraverso la cui diffusione ricevere informazioni per produrre immagini sempre migliori. Quindi il programma dell’apparecchio prevederebbe di realizzare le proprie possibilità utilizzando il feedback della società per il suo progressivo miglioramento. Cosa che a ben vedere non è poi tanto lontana dalla concretezza della prassi industriale che ben conosciamo. Ciò originerebbe collaborazione-opposizione apparecchio-fotografo. Ovviamente però non tutti i fotografi lottano per esprimersi, anzi la maggior parte soccombe al programma dell’apparecchio vittima della sua idolatria pagana, del suo stesso animismo tecnologico che lo induce ad essere usato dallo strumento che crede di usare. [...]
Clarice Armiento
Ho trovato questo piccolo riassunto del libro "Per una filosofia della fotografia", che secondo me, anche se breve, contiene molti spunti utili per ragionare su come l'immagine e il testo oggi tendano ad avere sempre più spesso limiti poco definiti, e a contaminarsi l'una con l'altro.
RispondiEliminaFONTE:http://libr.altervista.org/riassunto-flusser-vilem-per-una-filosofia-della-fotografia-bruno-mondadori-2006/
Qui di seguito il riassunto:
1. L’immagine
Le immagini sono superfici significanti, astrazioni rappresentate. Si decodificano per mezzo dell’immaginazione, secondo processi di analisi e di scanning. Le immagini sono complessi simbolici appartenenti al mondo magico, non al mondo della linearità storica e nemmeno a quello degli eventi congelati.
Le immagini sono mediazioni fra il mondo e l’uomo, che dimenticando di averle inventate ci cade dentro, assomigliandoli.
C’è una lotta tra testo e immagini, i testi spiegano le immagini e le immagini illustrano i testi; così le immagini diventano sempre piu concettuali e i testi sempre piu immaginativi.
La scrittura giunge al termine divenendo irrappresentabile, ed è proprio durante questa crisi che vennero inventate le immagini tecniche; per rendere i testi nuovamente rappresentabili e carichi di magia, per superare la crisi della storia.
2. L’immagine tecnica
L’immagine tecnica è un immagine prodotta da apparecchi.
Le immagini tradizionali significano fenomeni e hanno un carattere simbolico, c’è un uomo che si inserisce fra le immagini e la codifica avviene “nella sua testa”.
Le immagini tecniche significano concetti e il suo tipico carattere oggettivo porta l’osservatore a crederci, ad illudersi. Le immagini tecniche non significano il mondo là fuori, bensi altri testi. Il passaggio tra apparecchio e operatore nelle immagini tecniche avviene con la macchina fotografica e non avviene in modo chiaro perché questa è una black box, in cui si riesce a concepirne solamente l’input e l’output. E’ In questa black box che avviene la codifica.
Le due magie si differenziano dal fatto che la vecchia ritualizzava dei miti, l’attuale ritualizza dei modelli detti programmi.
La fotografia viene inventata per caricare nuovamente le immagini di magia, che i testi cercavano di privare. Ma questa è un nuovo genere di magia, è programmata, triturata fino a farne una massa amorfa, e la cultura di massa ne è la conseguenza. Le immagini tecniche assorbono così tutta la storia costituendo una memoria sociale che gira all’infinito, diventando ripetizione.
3. L’apparecchio fotografico
Gli apparecchi producono immagini tecniche. Apparatus deriva dal verbo apparare cioè preparare. L’apparecchio è dunque un qualcosa di pronto che aspetta. Gli apparecchi sono parte integrante di una cultura e sono due i tipi di oggetti culturali, gli uni buoni per essere consumati e gli altri per produrre beni di consumo.
Gli utensili sono prolungamento degli organi umani e con l’evoluzione diventano tecnici, quindi piu potenti. Prima della rivoluzione industriale, l’uomo era circondato da utensili, dopo, la macchina era circondata da uomini. Variabili e costanti, invertiti.
Ho trovato in rete un articolo interessante e molto attuale di cui pubblico un estratto, che contiene una riflessione di Flusser sui migranti,che passano da una situazione di fragilità,difficoltà e sofferenza che è propria dell'esule ad una condizione di libertà totale tipica del nomade.Il fatto poi che anche Flusser è stato migrante rende ancora più interessante la riflessione.
RispondiElimina[...]Una chiave di lettura completamente alternativa della migrazione forzata ci viene però da un grande filosofo del ‘900, che ha fatto esperienza sulla propria pelle della condizione di esule, e che forse ci può aprire spazi di riflessione più ampi. Si tratta di Vilém Flusser, nato a Praga da una famiglia di intellettuali ebraici, ma emigrato prima a Londra e successivamente in Brasile a seguito dell’avvento del Nazismo. Flusser è stato a tutti gli effetti un migrante forzato, un rifugiato costretto ad abbandonare il proprio Paese a causa delle persecuzioni sempre più efferate nei confronti degli Ebrei, e ha quindi vissuto in tutta la sua pienezza la lacerante condizione dell’esule. Egli lascia la propria terra in un momento storico in cui il connubio patria-suolo era particolarmente enfatizzato, e laddove l’identità nazionale in termini di razza, cultura e appartenenza territoriale era stata appropriata a fini ideologici dal Nazismo con le conseguenze che tutti conosciamo. Flusser sperimenta quindi in tutta la sua violenza il vissuto dello sradicamento, quando si ritrova esule in terra straniera, una terra tanto lontana da essere addirittura dall’altra parte dell’Oceano.
Vilém Flusser
Vilém Flusser
Tuttavia questa esperienza, per quanto dolorosa, si rivela per lui particolarmente significativa. Gli permette infatti di riscoprire una valenza estremamente positiva nella condizione del migrante, il quale, solo, è veramente libero, in quanto ha reciso ogni legame con quanto lo lega (Bozzi 2007:18). Il passaggio muove dalla condizione dell’esule, di colui che ha perso tutto, a quella del nomade, ovvero dell’uomo libero per antonomasia. Nell’accezione comune, l’esiliato non può che trovarsi in una posizione di subalternità, in quanto non possedendo più nulla necessita quindi dell’aiuto altrui, e si trova in bilico tra due mondi senza arrivare ad appartenere a nessuno dei due. Al contrario per Flusser, l’esule è in una condizione privilegiata proprio perché l’oscillazione tra i due estremi rappresenta una sfida estrema, una tensione creativa che il sedentario non potrà mai sperimentare. Lo sradicamento, un sentimento inizialmente doloroso per chi lo sperimenta per la prima volta, diventa invece l’esperienza di una condizione di libertà totale, avendo troncato i legami con ciò che ci tiene incatenati, e che di conseguenza ci limita. L’esule diventa dunque nomade.
Riferendosi ai migranti contemporanei, Flusser dichiara che «coloro che sono stati cacciati dal loro Paese, così come si vedono occasionalmente sui nostri teleschermi non devono essere considerati degli outsider o delle vittime compassionevoli della società, ma dei modelli da seguire» (Flusser 1994b:17), perché «ci mettono davanti agli occhi ciò a cui noi dovremmo in realtà mirare» (ivi:37 cit. in Bozzi).[...]
È evidente la provocazione insita in dichiarazioni del genere, che lasciano intuire un pensiero per certi versi rivoluzionario, ed un modo di intendere le migrazioni contemporanee assolutamente alternativo al pensare comune. L’emigrazione diventa quindi uno strumento per superare le proprie visioni limitate del mondo, qualcosa che apre nuovi orizzonti, e che attraverso nuovi incontri permette all’essere umano di andare oltre anche a forme di appartenenza identitaria territorialmente circoscritte. Al contrario, Flusser ci suggerisce che la creatività indotta dalla condizione del nomadismo non può che condurre a sperimentare forme di identità molteplici e ibride, correlate non alla stabilità bensì alla mobilità.[...]
Fonte:http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/vilem-flusser-dallesule-al-nomade/
Marco Villari
Mi sono dedicato come ha fatto Clarice Armiento, al problema dell'intenzione dell'artista nella produzione fotografica. Riguardo a questo punto ho trovato un contenuto scritto da Marco Spaggiari in "L'atto Fotografico".
RispondiElimina"(...) La filosofia di Vilém Flusser: ponendo in rapporto "dialettico" le intenzioni umane (produttive) e quelle degli apparati (riproduttive) tenta di studiare il rinnovato problema libertà creatosi nel rapporto fotografo/apparato. 'L'apparecchio fotografico - dice Flusser - è programmato per generare fotografie, e ogni fotografia realizza una delle possibilità contenute dall'apparecchio. Il numero di queste possibilità è elevato, ma comunque finito: è il numero di tutte quelle fotografie che possono essere scattate da un apparecchio.'
Se il numero delle possibilità delle immagini tecniche è un numero finito, come riconfigurare il problema della libertà d'espressione?
(...)
Ma l'intenzione umana, quella che ora sguazza nel reale e dovrebbe invece puntare all'ideale, sembra essere stata annichilita dall'utilizzo degli apparati di seconda e terza generazione. Di fronte alla testardaggine di questi titani antropomorfi nel realizzare programmi a loro assegnati, ci dimentichiamo che l'apparecchio è solo una simulazione semplificatoria dei processi mentali umani -quindi subumano- e ci ritroviamo come privati dell'intenzione."
Fonte: L'atto Fotografico di Marco Spaggiari
Luca Malafarina
Flusser torna spesso, negli anni 1970, su una crisi fondamentale che la nostra epoca starebbe vivendo, che egli evoca tra virgolette come una «crisi dei valori», «crisi della fede», «crisi dell’Occidente», e che ci aiuta a caratterizzare come una crisi di programmazione, che comporta un deficit di presenza al mondo.
RispondiEliminaQuesta crisi di programmazione, Flusser la attribuisce più precisamente a un’evoluzione nel tipo di oggetti mediatici che circolano tra di noi. Egli oppone così un periodo «storico», nel corso del quale la comunicazione sarebbe stata dominata dai messaggi alfabetici, composti da lettere disposte in catene lineari unidimensionali per formare frasi articolate da una certa «logica», al nostro periodo «post-storico» che vedrebbe la crescita sempre più potente di comunicazioni basate sulle tecnoimmagini (fotografie, film, trasmissioni televisive, siti internet). Le nostre generazioni transizionali sono state programmate per funzionare secondo il regime dei discorsi alfabetici, che rispettano un certo logos, una certa ratio che si sforza di articolare concetti con concetti, mentre ormai ci troviamo immersi in un universo mediatico retto da una dinamica molto differente, che è quella delle tecnoimmagini.
Il pensiero di Flusser a volte è difficile da seguire perché, sul filo delle idee che sgorgano in continuazione dai suoi scritti, egli sembra spesso enunciare affermazioni tra di loro incompatibili, mentre di fatto chiarisce contraddizioni inerenti ai nostri sviluppi tecnologici. Abbiamo appena visto che il suo discorso sembra anticipare le deplorazioni (oggi troppo frequenti) contro una «civiltà delle immagini» che renderebbe tutta la nostra gioventù una generazione di analfabeti o quantomeno di illetterati. Il pensiero di Flusser è molto più sottile.
Malgrado le apparenze, egli non oppone la mediatezza logica del testo lineare all’immediatezza sensibile dell’immagine visuale – come fa la maggior parte dei lamenti attuali. Flusser non parla solo di «immagini» (opposte ai testi), ma di tecnoimmagini, che si oppongono tanto ai testi lineari quanto alle immagini tradizionali, come quelle che gli esseri umani hanno prodotto dai tempi di Lascaux in poi. La differenza è essenziale.
Il problema delle tecnoimmagini non è che siano audio-visive piuttosto che linguistiche, sensibili piuttosto che logiche, bidimensionali piuttosto che lineari. Il problema è che le tecnoimmagini implicano l’astrazione logica nel loro nucleo attivo e nel loro modo di funzionamento effettivo, che però dissimulano nella loro apparenza sensibile. Anche il pittore di Lascaux aveva costruito nella sua immaginazione uno schema figurativo relativamente «astratto» corrispondente all’immagine del bisonte, ma la sua produzione di immagine si basava innanzitutto sulla traduzione sensibile di immagini concrete, non filtrate da un linguaggio di programmazione astratto. Nel cuore della fotografia, anche se viene realizzata con mezzi analogici (cristalli di alogenuro d’argento), Flusser sottolinea che c’è astrazione scientifica: formule chimiche, calcoli di ottica per aggiustare la focale – in breve: concetti, cifre, equazioni, programmi. Ciò che Flusser chiama apparecchi si caratterizza con la presenza della programmazione numerica nel cuore stesso della tecnica che costituisce la caratteristica propria delle tecnoimmagini.
La nostra età numerica non ha fatto altro che accentuare e generalizzare questa tendenza. Tutto ciò che passa per Internet vi circola solo a condizione di essere stato appunto digitalizzato, cioè rigorosamente programmato.
Sitografia:
http://www.controappuntoblog.org/2014/05/21/la-crisi-dellavvenire-%E2%80%93-vilem-flusser-and-the-digital-humanitites-revolucion-de-la-cabeza-vilem-flusser/
Erika Panacci
Un' interessante intervista a Flusser, sulla rivoluzione tecnologica, girata nel 1988.
RispondiEliminaQuesto é il link:
https://www.youtube.com/watch?v=lyfOcAAcoH8
Avendo nei commenti spiegato ampiamente immagini tradizionali e tecniche, mi sono soffermata sulla diffusione fotografica e i l rapporto di essa con l uomo
RispondiElimina''E che dire della diffusione fotografica? Essa avviene attraverso il canale divulgativo delle riviste scientifiche e reportage, imperativo dei manifesti di propaganda politica, artistico e pubblicitario. Le foto si caricano così di un contenuto altamente drammatico, in quanto racchiudono la tensione fra tre elementi fondamentali: fotografo, apparecchio e canale comunicativo. Anche qui, secondo l’autore, la critica fotografica dovrebbe evidenziare questa forma di lotta, smascherare i “media” nascosti tra fotografo e apparecchio, per rendere i destinatari consapevoli e non magicamente imprigionati. Il vero punto che andrebbe smascherato è il completo automatismo che l’apparecchio fotografico sta via via acquistando: l’uomo è scalzato, drammaticamente disinserito. Chi oggi non possiede una macchina fotografica? Ma, se è vero che chi sa scrivere sa anche leggere, non è detto che chi sa fare le foto sappia anche decifrarle. Oggi le macchine fotografiche sono apparecchi strutturalmente complessi, ma funzionalmente molto semplici: al contrario degli scacchi, in cui a dispetto di regole semplici, è difficile giocare bene, chi ha in mano una macchina fotografica può fare belle foto senza avere la minima idea della complessità del meccanismo che mette in atto attraverso un semplice scatto. Il fotografo dilettante non è mai al di sopra dello scatto, è catturato dal suo strumento in una sequenza di scatti successivi, è lui stesso prolungamento dell’autoscatto della macchina. Un fotografo vero (alter ego di un uomo libero) riscopre le stesse scene in modi sempre diversi. Cerca di informare, cioè di variare la forma, lo stato di cose di elementi sempre identici; tutto questo in un tempo in cui il vettore semantico si è invertito, le foto spiegano i testi, la realtà è entrata nel simbolo dell’immagine, scacciando indietro la nostra coscienza storica e critica e avvolgendoci nel cerchio magico dell’universo fotografico. In maniera subliminale e ingannevole, gli apparecchi programmano fotografo e società secondo il programma in essi contenuto. Se la filosofia della fotografia riuscisse a tenere alta l’attenzione su questo punto, potrebbe essere significativa per la società postindustriale. La filosofia avrebbe da affrontare il tema della libertà oggi che, in tutti i campi della vita moderna, gli apparecchi finiscono con il programmare ed organizzare la vita degli uomini intorno a essi. I fotografi sono già uomini del futuro, i loro gesti sono programmati dai loro apparecchi, si occupano del “terziario”, si interessano alle informazioni e creano cose (le foto) senza valore. Eppure, convinti che la loro attività sia tutt’altro che assurda, ritengono perciò di essere liberi. È qui che, secondo Flusser, la filosofia potrebbe essere un faro: vigilando la pratica della ricerca della felicità, illuminando i fotografi sperimentali, quelli consapevoli che immagine-apparecchio-programma-informazione sono gli elementi con cui confrontarsi, quelli che tentano di creare foto impreviste, di contrastare i programmi, di “giocare” con l’apparecchio, ma che non sempre comprendono che in questo loro gioco stanno tentando di dare una risposta alla questione della libertà nell’universo moderno dominato dagli apparecchi''.
http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2007-05/flusser.htm
Ho voluto fare una ricerca specifica riguardante l’ASCII e la possibile relazione con Vilém Flusser.
RispondiEliminaASCII (acronimo di American Standard Code for Information Interchange, Codice Standard Americano per lo Scambio di Informazioni) è un codice per la codifica di caratteri.
La standard ASCII è stato pubblicato dall'American National Standards Institute (ANSI) nel 1968.
“È per lo più considerato un hobby o una popolare forma d'arte che crea immagini, parole e oggetti della vita quotidiana. Non è esattamente qualcosa che si può incontrare facilmente in un museo d'arte. L’ASCII art ha molteplici segni collegati ad esso. Per alcuni è impressionante a causa della meticolosità e del tempo investito in esso. Per altri è semplicemente il testo decorativo. L’ASCII art è un modo di scrivere le immagini sotto i vincoli tecnologici.
La popolarità della comunicazione basata su testo incoraggia l'uso di ASCII art.
A prima vista i limiti sono ciò che la rendono interessante. Ma l’ASCII art ha il potenziale per essere qualcosa di più funzionale piuttosto che un gioco di superficie estetico?
Con una particolare attenzione al confine tra linguaggio visivo e scritto, questo lavoro indaga nel esempio di arte ASCII come gli esseri umani gestiscono la tastiera del computer come strumento incoraggiare nuove forme di creatività e cultura popolare. Dal momento che la prima volta che le macchine potessero calcolare, le persone hanno stravolto, modificato, inciso e suonato con loro al fine di creare arte. Questo studio descriverà il medium specifico e i collegamenti storici con l'arte, la poesia, la programmazione e la letteratura. Si discuterà arte ASCII come un movimento con possibili potenzialità future.”
“Secondo il filosofo Vilém Flusser [1] l'immagine è una superficie e la sua portabilità è in funzione la sua materialità o il "corpo fisico portabile a cui le immagini possono essere applicate"[2].
Immagini tradizionali (ad esempio i dipinti) sono per lo più oggetti fisici fissati ai corpi fisici come una tela incorniciata. Sono oggetti che hanno una limitazione materiale e sono identici attraverso dei display che li riproducono. Essi possono essere visualizzati in una sola posizione alla volta ed esiste in uno o un certo numero di copie. Anche se possono essere riprodotti all'infinito, la riproduzione non è della stessa qualità dell'originale. A differenza di disegni rupestri o mosaici che non possono essere trasportati e devono essere osservati sul posto, le immagini tradizionali sono immagini mobili, che possono essere osservati altrove solo se trasportati. Le nuove immagini dei media sono comunque superfici sulle quali solo i nostri occhi possono vagare”
“Recentemente, è stato scoperto qualcosa di nuovo.
EliminaImmagini disincarnate, superfici 'pure', e tutte le immagini che sono finora esistite, possono essere tradotte (transcodifica) in immagini di un nuovo genere.” [3]
“Testo arte e disegni sono superfici pure. Nello stesso modo le immagini raster, le informazioni, il testo, si dispongono liberamente sulla superficie. Diversi partecipanti possono cooperare per proiettare significati diversi sulla superficie, il suo significato diventa quindi ambiguo. Al contrario dei dipinti tradizionali sono una forma trasmissibile di arte universale. La stessa immagine può essere utilizzata e visualizzata su innumerevoli computer diversi, e ciascuna di queste immagini proiettate, non è una riproduzione, ma un autentico visualizzazione del lavoro. Le numerose limitazioni della imagine-making, il metodo ha portato il vantaggio che chiunque su qualsiasi sistema possa visualizzare l'opera d'arte il modo in cui l'artista intendeva. In realtà questo ha reso l'arte di testo ovviamente molto accessibile e facile da distribuire ad un pubblico più vasto.
Anche se i disegni ASCII sono stati prodotti e presentati in una dematerializzata forma digitale trasmissibile, si potrebbe ancora sostenere che le immagini erano "limitate" per l'imposizione della interfaccia del computer. Le dimensioni dello schermo del computer impone un limite fisico in qualche modo alla visualizzazione della immagine, creando una cornice fisica intorno al lavoro.
Flusser afferma che tradizionalmente “un’immagine è un messaggio" [4] perché ha un “mittente” - il creatore di immagini, e va alla ricerca di un “destinatario” - il ricevitore. Simile all’immagine tradizionale, ogni immagine ha a che fare con il punto di vista del produttore di quell'immagine.
I disegni ASCII sono letteralmente "messaggi", dal momento che vengono visualizzati e trasmessi come dati informatici numerici in comunicazione nel web. Il destinatario o il mittente possono essere potenzialmente chiunque a causa della sua portabilità e proprietà universali.
L'esclusività del “destinatario” e del “mittente”, pertanto, non esisteranno più.”
Nota 1. Vilém Flusser (May 12, 1920 – November 27, 1991). A Czech-born philosopher, writer and journalist.
Nota 2. “Images in the New Media”, Flusser, p. 70.
Nota 3. “Images in the New Media”, Flusser, p. 70.
Note 4. “Images in the New Media”, Flusser, p. 70.
http://www.gerritrietveldacademie.nl/files/download/thesis14/Sebastian_Ly_Serena.pdf
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di Francesco Marino
Per visualizzare l’ASCII copiare e incollare su Microsoft Word (Carattere: Courier 6pt)
Da 'Immagini: come la tecnologia ha cambiato la nostra percezione del mondo' di Vilém Flusser (Fazi Editore 2009)
RispondiEliminaCapitolo 11, Giocare:
«Il problema centrale, di cui vale la pena parlare in riferimento alla società dialogica, è la produzione di informazioni. Si tratta di quel problema che nei tempi passati venne chiamato "creazione". Come si realizzano le informazioni, vale a dire le situazioni impreviste e imprevedibili? Sembra che compaiano all'improvviso dal nulla, che siano dei miracoli. Da qui il concetto di "creatio ex nihilo". Da qui la fede di un divino creatore. E da qui la divinizzazione degli uomini creativi, soprattutto dei cosiddetti "artisti". Il problema della produzione dell'informazione deve essere tirato fuori da questo contesto mitizzante; vanno prese in esame le virtualità di una società divenuta telematica, di una effettiva "società dell'informazione". Bisogna infatti parlare non di una società di dèi, ma di una società di giocatori. [...] Noi ci troviamo, a seguito della demitizzazione della produzione dell'informazione, davanti a una nuova struttura dell'universo. Non più davanti a una creazione che affiora da un originario nulla, per avvicinarsi, passo dopo passo, linearmente (in "sei giorni"), verso un fine previsto, davanti all'universo della storia lineare, ma davanti a un ottuso gioco di dadi, nel quale tutti i possibili casi, anche i più inverosimili, alla lunga devono realizzarsi, e dove tutti questi lanci, alla fin fine, devono sfociare in una situazione verosimile, disinformata, in una "morte termica". Non ci troviamo più davanti a una retta, ma davanti a circoli che si sviluppano uno contro l'altro, che si piegano in se stessi, davanti a epicicli di informazioni che si dissolvono in se stessi reciprocamente. Nel mondo non bisogna parlare tanto di creazione quanto di esaurimento. Noi ci troviamo davanti all'assurdo. Di fronte al quale c'è da pensare che l'apparente linearità del secondo principio della termodinamica (tutto scorre verso l'entropia) sia in effetti solo un punto: quel punto, dal quale nascono le informazioni per ritornarvi. La visione lineare, storica non è da conservare in un universo assurdo».
Sulla questione della scrittura lineare consiglio inoltre il libro: 'Ipertesto. Il futuro della scrittura', di Landow George P. (1993, Barkerville) in cui vengono citati, tra l'altro, molti testi interessanti quali: 'S/Z' di Roland Barthes, la 'Poetica' di Aristotele (in cui dà una definizione della “favola” in cui la sequenza svolge un ruolo centrale: «un tutto è ciò che ha un principio e mezzo e fine [...] bisogna dunque che le favole, se vogliono essere ben costituite, né comincino da qualunque punto capiti, né dovunque capiti finiscano, ma si attengano a quelle idee di principio e di fine che abbiamo ora dichiarato») e 'L’archeologia del sapere' di Michel Foucault.
Ilaria Restivo
Allego un testo di Giuseppe Patella che recensisce e spiega in maniera chiara le ideologie
RispondiEliminadi uno degli scritti del filosofo boemo Vilèm Flusser: Filosofia del Design.
http://www.agalmaweb.org/articoli1.php?rivistaID=7
Without Firm Ground – Vilém Flusser and the Arts: Exhibition at the ZKM, Karlsruhe
RispondiEliminaSenza terreno compatto - Vilém Flusser e le arti: Mostra presso il ZKM, Karlsruhe
https://www.youtube.com/watch?v=PGK_sNwyU9M
posto il link di un articolo del blog La Grande Sciammia di Alberto Abruzzese intitolato
RispondiEliminaL’abbandono dell’Humanismus in Vilém Flusser
in cui analizza il pensiero di Flusser attraverso il saggio di Vito Campanelli "Da soggetti a progetti. L’abbandono dell’Humanismus in Vilém Flusser“
posto il link del blog La Grande Scimmia di Alberto Abruzzese
RispondiEliminahttp://www.albertoabruzzese.net/2015/06/19/labbandono-dellhumanismus-in-vilem-flusser/
in cui analizza il pensiero di Flusser attraverso il saggio di Vito Campanelli "Da soggetti a progetti. L’abbandono dell’Humanismus in Vilém Flusser“.
Vilém Flusser (1920-1991), studioso del linguaggio e della cultura, della teoria e della tecnologia della comunicazione e dell'immagine, è considerato un punto di riferimento imprescindibile per la filosofia dei media e la cultura informatica nei paesi di lingua tedesca. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Filosofia del design (2003) e La cultura dei media (2004).
RispondiEliminaPiccola introduzione del libro "Per una filosofia della fotografia" di Vilém Flusser.
Bruno Mondadori Editore, 2006
Vilem Flusser, in questo breve saggio, ci spiega la necessità di una filosofia della fotografia, un'etica di comportamento fra il fotografo e la macchina fotografica.
Ricostruisce l'intero mondo della fotografia, soffermandosi su ciascun elemento: apparecchio, fotografo, il gesto fotografico, la ricezione, la distribuzione. L'analisi spiega il rapporto fra l'autore e il prodotto, la capacità dell'uomo nel riuscire ad estrarre, a catturare dalla vita reale degli attimi significanti per portarli in una superfice significante, in un universo bidimensionale.
L'attimo viene congelato e nello stesso tempo riesce ad arricchirlo di interpretazioni, di punti di vista, di un leitmotiv personale, abbatte la linearità del tempo statico, la documentazione del reale in cui esistono una successione temporale degli eventi e una correlazione definita tra causa ed effetto, e definisce un tempo circolare, in cui il prima e il poi ritornano nel tempo e nello spazio. Il fotografo può impostare svariate combinazioni spazio-temporali, privilegiando un primo piano piuttosto che un campo totale, ma la scelta è limitata alle combinazioni possibili delle categorie possedute dall'apparecchio: quella del fotografo è una libertà programmata in quanto egli può volere liberamente solo ciò che l'apparecchio è in grado di realizzare. Flusser dice che l'inganno continua nella scelta dell'oggetto da fotografare: in realtà si possono fotografare solo "stati di cose" a cui applicare, di volta in volta, valori estetici o prospettici o concetti artistici: in sostanza, ogni foto può essere solo l'immagine dei concetti contenuti nel programma dell'apparecchio fotografico. Il mondo è solo uno spunto.
Realismo e idealismo si sfumano perché non sono reale né il mondo là fuori né i programmi della macchina: è la fotografia l'unico elemento reale. Decifrarle significa coglierne il vero concetto: i simboli.
Paradossalmente invece sembra che le immagini tecniche non abbiano bisogno di essere decifrate: confondiamo il loro significato con ciò che raffigurano in superficie, considerandole finestre sul mondo e non rappresentazioni di esso. E così criticare l'immagine non è critica all'atto creativo che l'ha generata ma al mondo che rappresenta.
Flusser parla anche del gesto fotografico, ma anche questo non è un'azione, un gesto libero. La fotocamera può lavorare solo in un determinato spazio, distanza dall'oggetto e rapidità della scena che si vuole catturare, ma basta un niente, un piccolo imprevisto (luce, mosso, distanza)e il fotografo è costretto a cambiare i parametri della macchina: in termine tecnico è costretto a "dubitare", deve regolare di nuovo la sua fotocamera e scegliere un nuovo punto di vista, non è più libero di scegliere; un attimo prima aveva un soggetto ben nitido e con delle sfumature particolari, deve adattarsi alla fotocamera, deve scendere ad un compromesso. Il significato e la riuscita dell'immagine vengono suddivisi alla pari fra la fotocamera e l'autore. Il compito del libro è interrogare il fotografo sulla sua libertà in un mondo governato dagli apparecchi.
In allegato un video della sua presentazione:
https://www.youtube.com/watch?v=ZWcX3XQyukg
Ho trovato interessante la lettura di alcune parti del libro (che riporto qui di seguito) :
RispondiEliminaTeorie dell'immagine. Il dibattito contemporaneo
A cura di: Andrea Pinotti, Antonio Somaini.
"é una semplificazione sbagliata parlare di immagini tradizionali come meramente imitative, e privarle in questo modo del loro ruolo guida per l'immaginazione collettiva. Vilém Flusser potrebbe essersi spinto troppo in là quando parla, nel suo libro dedicato alla filosofia della fotografia, di immagini "magiche", considerandole parti della nostra esistenza "in cui tutto si ripete", mentre nel mondo dell'invenzione tutto cambia. Ma si deve ammettere che la sua intenzione qui è corretta. Flusser sostiene anche che "le immagini sono mediazioni fra il mondo e l'uomo. L'uomo 'ek-siste', non ha cioè un accesso diretto al mondo, cosicché le immagini devono renderglielo rappresentabile. Nel momento in cui lo fanno, tuttavia, esse si pongono fra il mondo e l'uomo. Dovrebbero essere mappe e diventano schermi: anziché rappresentare il mondo, lo alterano, fino a che l'uomo si mette a vivere in funzione delle immagini da lui create". La funzione retroattiva della rappresentazione, intesa nel senso più ampio del termine, è quindi ben posta."
Ida Verzino
"The Five-Step-Model of Vilém Flusser" cortometraggio di Julia Wiesner (2012)
RispondiEliminahttps://vimeo.com/53870400
Una serie di animazioni segue la voce di Flusser durante il racconto dell'evoluzione della comunicazione da interazione diretta con il mondo a mediazione attraverso le varie tecnologie.
Chiara Pireddu
https://monoskop.org/Vil%C3%A9m_Flusser
RispondiEliminaSegnalo questa pagina che raccoglie,cenni della sua biografia, dei filmati ,citazioni e libri scritti da Vilem Flusser.
Qui in seguito, una breve introduzione al libro "Per una filosofia della fotografia" di Vilém Flusser, che mi è sembrata molto esplicativa:
RispondiEliminaVilem Flusser, in questo breve saggio, ci spiega la necessità di una filosofia della fotografia, un'etica di comportamento fra il fotografo e la macchina fotografica. Ricostruisce l'intero mondo della fotografia, soffermandosi su ciascun elemento: apparecchio, fotografo, il gesto fotografico, la ricezione, la distribuzione. L'analisi spiega il rapporto fra l'autore e il prodotto, la capacità dell'uomo nel riuscire ad estrarre, a catturare dalla vita reale degli attimi significanti per portarli in una superfice significante, in un universo bidimensionale.
L'attimo viene congelato e nello stesso tempo riesce ad arricchirlo di interpretazioni, di punti di vista, di un leitmotiv personale, abbatte la linearità del tempo statico, la documentazione del reale in cui esistono una successione temporale degli eventi e una correlazione definita tra causa ed effetto, e definisce un tempo circolare, in cui il prima e il poi ritornano nel tempo e nello spazio. Il fotografo può impostare svariate combinazioni spazio-temporali, privilegiando un primo piano piuttosto che un campo totale, ma la scelta è limitata alle combinazioni possibili delle categorie possedute dall'apparecchio: quella del fotografo è una libertà programmata in quanto egli può volere liberamente solo ciò che l'apparecchio è in grado di realizzare. Flusser dice che l'inganno continua nella scelta dell'oggetto da fotografare: in realtà si possono fotografare solo "stati di cose" a cui applicare, di volta in volta, valori estetici o prospettici o concetti artistici: in sostanza, ogni foto può essere solo l'immagine dei concetti contenuti nel programma dell'apparecchio fotografico. Il mondo è solo uno spunto. Realismo e idealismo si sfumano perché non sono reale né il mondo là fuori né i programmi della macchina: è la fotografia l'unico elemento reale. Decifrarle significa coglierne il vero concetto: i simboli. Paradossalmente invece sembra che le immagini tecniche non abbiano bisogno di essere decifrate: confondiamo il loro significato con ciò che raffigurano in superficie, considerandole finestre sul mondo e non rappresentazioni di esso. E così criticare l'immagine non è critica all'atto creativo che l'ha generata ma al mondo che rappresenta. Flusser parla anche del gesto fotografico, ma anche questo non è un'azione, un gesto libero. La fotocamera può lavorare solo in un determinato spazio, distanza dall'oggetto e rapidità della scena che si vuole catturare, ma basta un niente, un piccolo imprevisto (luce, mosso, distanza)e il fotografo è costretto a cambiare i parametri della macchina: in termine tecnico è costretto a "dubitare", deve regolare di nuovo la sua fotocamera e scegliere un nuovo punto di vista, non è più libero di scegliere; un attimo prima aveva un soggetto ben nitido e con delle sfumature particolari, deve adattarsi alla fotocamera, deve scendere ad un compromesso. Il significato e la riuscita dell'immagine vengono suddivisi alla pari fra la fotocamera e l'autore. Il compito del libro è interrogare il fotografo sulla sua libertà in un mondo governato dagli apparecchi.
Marocchio Elena
Secondo Vilém Flusser, l’arrivo dell’immagine fotografica ha rappresentato per la cultura occidentale un’innovazione radicale. Un’innovazione che può addirittura essere paragonata a quella che è stata introdotta in precedenza dalla scrittura umana. Il linguaggio verbale ha imposto infatti agli individui di riflettere su tutto quello che dicevano e li ha aiutati di conseguenza a prendere coscienza di sé. Pertanto, è grazie principalmente a tale linguaggio che le civiltà umane hanno potuto maturare e sviluppare una propria autocoscienza. La fotografia dunque ha determinato uno choc culturale che può essere avvicinato a quello che era stato creato in precedenza dalla comparsa del linguaggio scritto. Si è presentata nel 1839 nella forma di un procedimento fotografico ancora rudimentale come il dagherrotipo, ma già quattro anni prima William Henry Fox Talbot aveva creato il primo negativo, grazie al quale è stato possibile stampare in seguito l’immagine su carta. La fotografia ha assunto così la capacità di riprodursi nella quantità desiderata a partire da un’unica matrice di base. È diventata cioè un oggetto che, esattamente come i beni industriali, poteva essere prodotto in serie per grandi masse di persone. È stato soprattutto l’industriale statunitense George Eastman a fare progredire questo processo attraverso la commercializzazione nel 1888 della prima macchina fotografica Kodak, uno strumento portatile, dotato di una pellicola in rullino, semplice da utilizzare e corredato da un servizio di sviluppo e stampa.
RispondiEliminaFonte: http://www.doppiozero.com/rubriche/1919/201603/fotografia
Vi segnalo questo abstract su Vilèm Flusser
RispondiEliminaL’euforia tecnologica che ha accompagnato il processo di globalizzazione, il successo di Internet e delle nuove tecnologie dei mezzi di comunicazione all’inizio degli anni ’90 del XX secolo hanno reso celebri in tutto il mondo i suoi testi, provocatori e visionari, ancora oggi di grande attualità. La sua opera, che ha attraversato culture, paesi e ambiti diversi del sapere alla continua ricerca di nuovi spazi di libertà, rappresenta una testimonianza preziosa non solo per chi si occupa di filosofia e teoria della comunicazione, della cultura o della fotografia, ma anche per chiunque voglia confrontarsi con la modernità, il presente e le sue ambivalenze. Non solo: il suo pensiero è un concentrato di potenzialità analitiche, istanze critiche, limiti pratici e anche contraddizioni di una galassia di idee che ci accompagnerà e ci occuperà sempre più insistentemente negli anni a venire. Il volume di Paola Bozzi offre anche al lettore italiano l’opportunità di fare i conti con tutta la sua vitalità e ricchezza, portando allo scoperto le esperienze e le radici culturali che hanno contribuito alla formazione della sua peculiare identità. Propone così una lettura del suggestivo universo flusseriano attraverso un’analisi chiara e rigorosa del tema chiave della libertà nelle sue diverse, attualissime figurazioni (il nomade, il saggio, la favola, la fotografia, l’apocalisse), affiancando l’anticonformismo teorico dell’autore allo stile intellettuale «trasversale» di importanti esponenti della cultura moderna e contemporanea di lingua tedesca.
Valentina Valanzano