giovedì 14 maggio 2009

Digital cinematography

Vi invito a individuare casi nei quali un regista, pur potendo contare su importanti risorse, ha scelto di girare in digitale piuttosto che in pellicola. Potete segnalare (come risposta a questo post) i film che vi sembrano più significativi.

20 commenti:

  1. Dopo aver seguito il corso di "storia e critica del cinema" il mio pensiero non può che essere rivolto al film "Collateral", thriller statunitense, diretto dal regista Michael Mann e girato interamente di notte. "Circa l'80% delle riprese sono state girate in digitale, donando all'aspetto finale del film quello di una vecchia pellicola di celluloide granulosa".
    http://it.wikipedia.org/wiki/Collateral

    Ma riferendomi a film più recenti, mi viene in mente "Il curioso caso di Benjamin Button", un film del 2008 diretto da David Fincher, basato su un breve racconto del 1922 di Francis Scott Fitzgerald, e uscito nelle sale italiane a febbraio 2009.

    http://www.ilcinemaniaco.com/il-curioso-caso-di-benjamin-button-effetti-specialr/

    Effetti speciali, digitali, e visivi, sono fondamentalmente delle tecniche che aiutano ed ampliano la creatività del regista e degli sceneggiatori che grazie a tecniche avanzatissime che vanno dalla computer grafica al tradizionale make-up speciale possono sbizzarirsi nel creare suggestioni visive e mondi fantastici senza alcuna limitazione di sorta.
    Oggi parliamo di un ulteriore passo in avanti nella realizzazione di effetti digitali, parliamo della Digital Domain società del regista James Cameron e del suo lavoro sullle immagini e sugli attori della fiaba dark di David Fincher Il curioso caso di Benjamin Button.
    La Digital Domain e David Fincher hanno deciso che la parabola della vita di Benjamin Button che nasce ottantenne e gradualmente ringiovanisce fosse il film ideale per esplorare il mondo degli effetti visivi, ed ampliarlo verso il make-up così da digitalizzare completamente il viso ed il corpo del protagonista Brad Pitt.

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  2. Ivan Zuccon
    Scanner intervista il regista

    Come intendi il cinema e come sei arrivato a realizzare questo sogno?

    Ci sono due aspetti. Il primo: vedo il cinema come immagini in movimento, quasi come se il film ossa funzionare anche senza il sonoro, perché innanzitutto è una esperienza visiva. Quando penso a un film, realizzo mentalmente le fasi in movimento e non i dialoghi; non a caso sul set all’inizio delle riprese si parte con la parola Azione. Mi piacciono molto i registi che vanno in questa direzione, prima di tutti Hitchcock e poi Mario Bava, perché i suoi film sono visivamente unici e oltre a essere un artigiano, come lo sono io, e capace di inventare con poco un effetto visivo strabiliante, dove la storia a volte passa in secondo piano e l’immagine prende il sopravvento. Per rispondere alla seconda domani, tu mi chiedevi come sono arrivato a fare cinema, pensa che non lo so nemmeno io, perché da bambino io non riuscivo a vedere i film del horror e se mi capitava di vederne uno mi suggestionavano a tal punto da non farmi dormire di notte. Questi film, con queste immagini forti alla fine hanno stimolato tante fantasie, che mi sono rimaste dentro e i meccanismi della paura penso di conoscerli bene, proprio perché li ho sperimentati in prima persona nella mia adolescenza. Mia madre, che era una grande appassionata di Poe, mi fece vedere in tv una versione di un suo racconto, penso La tomba di Ligeia con la regia di Roger Corman e la prima immagine mi sembrava raccapricciante, spaventandomi a morte. Nella mia prima parte della adolescenza il mostruoso era per me un tabù, poi dopo ho iniziato ad appassionarmi al cinema dell’orrore di riflesso, attraverso i fumetti come Dylan Dog e la letteratura. Da qui ho messo alla prova la mia forza di volontà, violentandomi visivamente ho iniziato a vedere pellicole horror fino a sette film in un giorno: Carpenter, Wes Craven, Raimi, Romero, e da lì è iniziato un grande amore, soprattutto per Carpenter e Raimi, che tutt’ora considero due grande regista di genere. Fuga da New York di Carpenter è stato fondamentale per me, visto che avevo deciso di diventare regista già a quella tenera età; infatti avevo scritto un canovaccio su un western di fantascienza, un altro dei miei grandi sogni, come per Carpenter, grande appassionato del genere, che insieme a Bava, Raimi, Cronenberg e Lynch, sono i miei magici cinque registi.

    Il tuo rapporto con H.P.Lovecraft e come è confluito nel tuo immaginario?

    Lovecraft ha influito molto con il tempo, soprattutto più mi avvicinano alla conoscenza del personaggio, maggiore è stato il suo apporto indiretto. Più che altro è lo scrittore Lovecraft che mi affascina, perché sento delle affinità con lui; spesso nelle sue lettere esprime il suo disagio verso questo mondo, sentendosi un diverso e identificandosi con le sue creature, come lui tendo spesso ad escludermi. Paradossalmente mi piace fare film e desidero che le mie opere abbiamo una maggiore visibilità, ma per il resto io rimango in secondo piano e per questo rifiuto anche dei lavori di direttore della fotografia per la televisione, che sono opportunità lavorative importanti, ma mi trovo solo a mio agio quando realizzo i miei film, creando il mio microcosmo, dove io ho il controllo assoluto. Il mio unico desiderio è fare pellicole horror, dovunque ci sia la possibilità, ma se devo eseguire un lavoro su commissione il cui unico interesse è economico, non mi interessa, questo lo ritengo un approccio Lovecraftiano e non so se è una forma di insicurezza o timidezza. Passando a Lovecraft, ho iniziato a leggere i suoi racconti in gioventù e all’inizio non mi sembravano molto appetibili, perché la scrittura è contorta, infusa di una atmosfera particolare e lo lasciato perdere per appassionarmi a Edgar Allan Poe. Lovecraft è arrivato dopo in età adulta, quando stavo per scrivere la sceneggiatura del mio primo cortometraggio, L’Altrove, che rappresentava un progetto più evoluto rispetto ai miei corti giovanili, successivo alla mia collaborazione con la Duea Film, dove avevo conosciuto Cesare Bastelli , direttore della fotografia di Pupi Avati, che mi aveva completato tecnicamente. Il problema principale era la stesura della sceneggiatura: una storia di guerra con qualche spunto soprannaturale, leggendo qualche pagina dei racconti di Lovecraft senza un motivo apparente, decisi di inserire un solo elemento del Necronomicon e poi successivamente utilizzai vari frammenti da altri racconti dell’autore. Da lì in poi mi sono letto tutte le opere di Lovecraft e anche le lettere, proprio per soddisfare la voglia di conoscere completamente questo scrittore, arrivando a fare il mio vero primo lungometraggio, la Casa Sfuggita, basato interamente su tre racconti di Lovecraft che confluiscono in unica storia.

    Come riesci a produrre i tuoi film.

    Innanzitutto con grande coraggio, visto che i miei primi film sono stati finanziati da me, che sono dei gesti audaci da un punto di vista economico, perché io non dispongo di ingenti somme di denaro, ma lavorando molto come montatore quello che guadagno lo reinvesto nei miei film. L’approccio è un autoproduzione senza improvvisazione, la mia intenzione è di fare un prodotto di qualità per immetterlo sul mercato, se non per guadagnare in termini economici, almeno per coprire le spese e ottenere un ritorno d’immagine. In questa fase della mia carriera, quello che e più importante è la promozione del mio lavoro, anche se qualche volta è difficile da spiegare a qualche mio collaboratore, che si soffermano di più all’aspetto economico, che comprendo, ma è difficile investire molto e pretende di ricavarne subito i frutti desiderati. Fino adesso dall’estero ho ricevuto molte soddisfazione, mentre faccio fatica in Italia, perché da noi il mercato è molto rigido, mentre fuori da nostri confini, un po’ per gioco e per puro caso è nato un business intorno ai miei film, se non per me, per i miei distributori, che secondo il mio parere stanno facendo dei soldi e per adesso pago lo scotto di farmi sfruttare, visto che i miei film stanno girando per tutto il mondo. La Casa Sfuggita è distribuito in tredici paesi nel mondo e sono tanti, lo trovi sia in Giappone, Canada, Inghilterra, tranne che in Italia, anche se le cose stanno cambiano. In futuro c’è la possibilità che la Casa Sfuggita esca in DVD in Italia quest’anno con la P.F.A. Films, insieme a Beyond Re-animator prodotto da Brian Yuzna per la Filmax, che è un film ispirato a Lovecraft, ma è ancora presto per parlarne. Il meccanismo produttivo è molto semplice: innanzitutto bisogna fare il film, che è uno sforzo pazzesco, sia fisico che economico, perché cerco di centralizzare tutto su di me le funzioni principali, come la direzione degli attori, la fotografia e il montaggio. Poi gli altri compiti li delego, costituendo una troupe di ottimi collaboratori che vengono regolarmente pagati con una somma piccola ma onesta, per poi ottenere una qualità soddisfacente per commercializzare il film. Trovare la distribuzione è un lavoro duro: primo passo si contatto i distributori e pian piano sono arrivato a contattare persone importanti del mercato internazionali: conosco bene Fangoria diretta da Tony Timpone , rivista che ha sempre sostenuto il mio lavoro e apprezzato le mie opere, dove si è parlato molto di una eventuale uscita distributiva, ovviamente non si è avviato niente, ma è il problema della distribuzione, perché sembra che da un momento all’altro si sblocchi qualcosa e poi si arriva a un nulla di fatto, comunque ti aiutano a costruire una rete di contatti indispensabili. Internet agevola molto questo tipo di comunicazione e penso che in altri periodi sarebbe stato più difficile, mentre adesso si può arrivare a tutti e fare una promozione ad ampio raggio. Alla fine sono riuscito a trovare dei distributori più o meno piccoli, alcuni onesti altri disonesti, con altri sono in rotta per via legali, però i film sono usciti.

    Quanto è per te importante il digitale e come descrivi la tua passione per il montaggio.

    Il digitale rappresenta un grande vantaggio tecnico perché consente di lavorare a basso costo, con la possibilità di vedere immediatamente le proprie immagini, mentre la pellicola ha oltre il costo alcuni limiti tecnici per quanto riguarda la velocità d’utilizzo. Tengo precisare che non filmo in minidv, ma tutti i miei lavori sono girati in digital betacam, un formato di qualità molto alto, sempre nel campo di standard definition e non in HD ( alta definizione ), perché per adesso non me lo posso permettere. A mio parere il minidv non garantisce qualità sufficiente per potere fare un film fruibile a livello domestico, per vedere bene bisogna girare in digital betacam o formati analoghi, tipo DVCpro 50. Ritengo che qualsiasi storia se ben raccontata, risultata bella sia in pellicola che in digitale, il formato è un mezzo che tu utilizzi come espressione e alla fine è il contenuto che conta. Chiaramente con l’espansione del minidv, ha incentivato molti giovani appassionati cinefili a fare un film e alcuni sono riusciti a finirli e a commercializzarli, ma questo non vuol dire che ci troviamo di fronte a prodotti di qualità. Da qui il boom di film scadenti che stanno saturando il mercato del b-movie, o del cinema splatter non paragonabili al cinema digitale. Questo sta mettendo in difficoltà chi promuove il proprio lavoro, perché si tende a questa associazione mentale, che il cinema digitale e amatoriale siano la stessa cosa, invece non è così, perché fare cinema vuol dire avere piena conoscenza dei meccanismi realizzativi. La mia più grande aspirazione è fare un film in pellicola e io non sono un sostenitore del cinema digitale, ma lo uso come mezzo per ottenere una qualità video buona, visto che per il momento fatico a trovare finanziamenti ingenti per fare un film in 35 mm<. Secondo me il cinema è pellicola, ma non disdegno il digitale. Passando al montaggio, un grande regista del passato lo ha definito una seconda regia. Mi sono avvicinato a questo mestiere già da bambino, quando sognavo di fare il muratore e questo vuol dire prendere tanti mattoni in fila uno dietro l’altro e da qui è nato l’amore per questo mestiere, dal fascino di costruire qualcosa da zero. Il montaggio è: costruzione, stabilità, ritmo e io dedico molto tempo al montaggio video oltre a quello audio, che mi piace molto; infatti ho fatto parecchi lavori di sonorizzazione: ho costruito interamente la colonna sonora di alcuni miei lavori, questo è un aspetto importante oltre l’immagine. Io ho iniziato come operatore, giravo videoclip e li montavo, poi ho messo su un piccolo studio di montaggio è ho conosciuto Cesare Bastelli, che mi ha introdotto in questo settore e adesso lavoro per la Duea Film. Il bello di questo mestiere è che ti arriva una montagna di girato, come se fosse una creatura informe e gli devi dare un volto, stimolando la tua creatività.

    La passione per la musica come si crea nei tuoi interventi sulle colonne sonore delle tue opere?

    Non di tutti i miei film ho composto le musiche. Io ho suonato in gruppo rock progressivo per tanti anni e questa esperienza ha influenzato il mio modo di intervenire nei miei film, ma non mi considero un musicista ne un esperto, però ritengo che questo percorso mi ha favorito un approccio musicale al film e in questo senso Carpenter è inarrivabile. Nell’ultima pellicola, ho deciso che l’unico che poteva sapere esattamente che tipo di musica ci voleva ero io , ma non per presunzione, perché come autore del film e di musica rock in passato, ritengo di sentire qual è l’atmosfera giusta. Inoltre, non avevo le risorse economiche per poter contattare un musicista esperto e commissionargli le musiche, ho deciso di cimentarmi in questa impresa. Avevo già realizzato in passato la colonna sonora di un mio film, L’Altrove, con risultati sufficienti, invece nella Casa Sfuggita sono molto soddisfatto delle musiche che riecheggiano quelle di Carpenter, nella sua struttura essenziale.

    Come vedi questa rinascita del cinema horror anche in chiave digitale?

    Il digitale potrà aiutare la rinascita del horror? Io questo non lo so, chiaramente aiuta a fare debuttare nuovi giovani registi che hanno pochi soldi e cercano di fare un buon film e io mi identifico in questi. Si dice che la rinascita del cinema horror è in atto, ma io no lo so, vedo solo dei grandi horror asiatici che appartengono ad una cinematografia che stiamo scoprendo solo adesso. Chiaramente ci sono le grosse major americane, pronte a seguire la corrente, producendo horror come The Grudge, The Ring, Non aprite quella porta, i soliti remake e non so se considerarla una rinascita, è certo che c’è un grande fermento che fa bene al genere. Chiaramente se le major vanno in questa direzione, possono solo aumentare gli appassionati del horror, quindi aumenta il pubblico per i film piccoli, tra i quali ci sono i miei. Come vedi, l’interesse per il genere arriva dalle grandi case produttrici e non dal cinema indipendente. Io dico per concludere che l’horror non è mai morto, forse è maturato un nuovo interesse da parte del pubblico. Speriamo che questo entusiasmo d’oltreoceano trascina anche la cinematografia italiana, ma ne dubito fortemente.

    http://www.scanner.it/cinema/zucconint2875

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  3. Il film
    Il curioso caso di Benjamin Button è l’ultimo attesissimo film di David Fincher, l’indimenticato autore di Fight Club, Seven e Zodiac, alle prese questa volta con la sua opera più ambiziosa, contraddistinta da immagini sorprendenti e straordinarie sia per la loro poeticità, che per la loro raffinatezza tecnica.
    Adattato da un racconto degli anni ’20 di F. Scott Fitzgerald, il film narra la vita di un uomo che “vive al contrario”, che nato vecchio progressivamente ringiovanisce, delle persone e dei luoghi che scopre lungo il percorso, degli amori che trova e che perde, di quello che resta oltre il tempo, dalla New Orleans del 1918 fino al XXI secolo.
    Candidato a ben 13 Oscar Il curioso caso di Benjamin Button è interpretato da un cast di star: Brad Pitt, Cate Blanchett, Taraji P. Henson, Julia Ormond, Jason Flemyng, Elias Koteas e Tilda Swinton.
    Il film riesce a raccontare una storia estremamente originale proprio grazie alle più nuove e raffinate tecnologie digitali in grado di rendere credibili sullo schermo vicende straordinarie.

    Gli effetti speciali
    Gli effetti speciali del film sono stati realizzati da diverse società tra le quali Digital Domain e Gentle Giant Studios.
    La tecnologia digitale è stata lo strumento fondamentale nella realizzazione del film, che è infatti, quasi interamente realizzato in digitale e non su pellicola.
    Il supervisore degli effetti visivi Eric Barba ha lavorato insieme al premio Oscar Greg Cannom, creatore del trucco prostatico, che mette in risalto l’invecchiamento e il ringiovanimento nel corso del film. Era infatti fondamentale che Pitt fosse presente in ogni momento del film: l’attore è protagonista di tutte le scene che riguardano Benjamin, anche quando sembra impossibile che si tratti di lui.
    Anche la fotografia digitale ha richiesto la stessa meticolosa attenzione ai dettagli. L’uso della luce in particolare si è rivelato fondamentale per la narrazione della storia. Le fonti di luce cambiano con lo scorrere del tempo per evidenziare i progressi nella tecnologia; dalle candele alle lampade a gas, dalle lampade a incandescenza fino a quelle a fluorescenza. Per ottenere questi sorprendenti risultati, le diverse fonti di luce sono state attentamente studiate e realizzate in digitale nella maggior parte dei casi.

    http://www.enel.it/DigitalContest/it/digitale/filmanno/dettaglio

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  4. CINEMA: SARA' PRESENTATO LUNEDI' A CANNES 'SENSO' RESTAURATO


    (ASCA) - Roma, 14 mag - Sara' presentato a Cannes Classics lunedi' prossimo alle ore 19,45 nella Salle du Soixantieme 'Senso' il cui restauro e' stato promosso da Studiocanal, Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale, Cineteca di Bologna-L'Immagine Ritrovata con il sostegno di GUCCI, The Film Foundation e Comitato Italia 150. Senso e' infatti un film che ha fatto epoca. Luchino Visconti trasforma il racconto ottocentesco di Camillo Boito in un grande affresco storico che incornicia un'appassionata storia d'amore come nei grandi melodrammi verdiani. Ambientato all'epoca della Terza guerra d'indipendenza - il film verra' accusato dalla censura di ledere l'onore militare nazionale, perche' mostra la battaglia di Custoza del 1866, dove gli italiani vengono sconfitti dagli austriaci - Senso oltre a essere uno dei piu' importanti film sul Risorgimento italiano, avvia quella riflessione sulla decadenza di un'epoca che contraddistingue l'intera opera di Visconti, facendone nel suo complesso uno dei grandi ''romanzi'' del nostro tempo.

    Il restauro di Senso puo' dirsi oggi compiuto. Dopo molti anni di lavoro, condotti dal Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale, uno dei piu' bei film della storia del cinema torna sullo schermo in una versione completamente rinnovata in supporto digitale realizzata nel Laboratorio L'immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna.

    Un risultato cui si e' giunti grazie alla collaborazione tra Cineteca Nazionale e Cineteca del Comune di Bologna e ai preziosi consigli di due grandi artisti quali Giuseppe Rotunno e Piero Tosi, che hanno lavorato con Luchino Visconti alla realizzazione di Senso per la fotografia e per i costumi, e altrettanto preziosi sono stati i consigli che per molti anni ha generosamente offerto Suso Cecchi D'Amico, la piu' stretta collaboratrice di Visconti.

    A Rotunno si deve inoltre il primo restauro di Senso, iniziato nel 1994 a partire dal recupero delle matrici originali Technicolor messe a disposizione dalla Cristaldi Film, che presentavano tuttavia in alcune scene problemi di ricomposizione del colore non risolvibili con tecnologie analogiche. Dal lavoro di Rotunno si e' dunque partiti per superare queste difficolta', grazie alle possibilita' offerte dalle nuove tecnologie digitali, ottenendo un risultato che Martin Scorsese, chairman di Cannes Classics 2009, definisce stunning (sbalorditivo), con particolare apprezzamento della: ''sequenza iniziale dell'opera con il lancio dei volantini contro gli austriaci, e subito dopo l'arrivo della protagonista, la contessa Livia Serpieri - una splendida Alida Valli - nel suo palazzo veneziano''.

    Senso e' uno dei primi film girati, nel 1954, in Technicolor, cioe' facendo scorrere nella macchina da presa tre pellicole in contemporanea per i colori fondamentali rosso, giallo e blu. Con il passare degli anni, le tre pellicole si erano ristrette in maniera differente rendendo impossibile in alcune scene la ricomposizione corretta dei colori, e in particolar modo determinando a tratti una certa fluttuazione del rosso, cui solo in parte si era riusciti a porre rimedio.

    L'equipe di storici e tecnici della Cineteca Nazionale e della Cineteca di Bologna e' dunque ora riuscita a ricostruire in digitale la ricomposizione del colore presso il laboratorio bolognese L'Immagine Ritrovata, restituendo a uno dei capolavori del cinema italiano e internazionale, la raffinatezza cromatica di immagini dense di suggestioni pittoriche.



    http://www.asca.it/news-CINEMA__SARA__PRESENTATO_LUNEDI__A_CANNES__SENSO__RESTAURATO-830648-ORA-.html

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  5. Tra i motivi che hanno spinto numerosi registi a girare con tecniche digitali piuttosto che con la classica pellicola vi sono l'alta definizione dell'immagine e i bassi costi di produzione. L'utilizzo del digitale offre un risparmio enorme rispetto alla pellicola (ed ovviamente non crea "bombe ecologiche" difficili da smaltire) ed è proprio questo il motivo che ha spinto numerosi registi italiani e internazionali ad utitlizzare il digitale nelle proprie produzioni cinematografiche come Mel Gibson che nel 2006 si avvale del digitale per girare Apocalypto, violento film che descrive il declino dell'impero Maya.
    In un'intervista, Semler (il direttore della fotografia) racconta che Gibson, molto curioso in fatto di nuove tecnologie, in qualità di produttore del film era estremamente attento ai costi. Ogni nastro che veniva registrato consentiva un risparmio di circa 7.000 dollari rispetto alla pellicola.

    Per le riprese si è fatto uso della Spydercam, un sistema che permette di riprendere con la videocamera appesa all'ingiù:

    "Dovevamo girare con la Spydercam dalla cima di una cascata alta 45 metri, guardando sopra le spalle di un attore e poi sporgendoci oltre il bordo, letteralmente nella cascata. Pensavo l'avremmo girata in pellicola, ma poi ho montato la Genesis in un leggero scafo impermeabile. [...] Abbiamo girato due nastri da quindici minuti senza problemi, anche se una volta è entrata acqua e si è appannata. [...] Amo la pellicola, e probabilmente girerò ancora in pellicola, ma questa per me è davvero stata una rivelazione."
    In alcune scene del film, però, la capacità della Genesis (la videocamera digitale) di catturare la luce si è rivelata insufficiente. Si è quindi dovuto ricorrere alla sensibilità della pellicola, superiore nelle particolari condizioni di luce delle foreste pluviali del sud del Messico.



    Anche in Italia si girano film in high definition. Davide Ferrario, autore di Dopo mezzanotte (2004), un film sull'amore per il cinema del passato, realizzato con i moderni strumenti del cinema digitale e con numerosi effetti di emulazione dei primitivi effetti speciali, racconta il perché della sua scelta:

    È venuta fuori, allora, la proposta dell'alta definizione da parte di Dante Cecchin, la maggior autorità italiana sull'argomento. Abbiamo fatto dei test, m'ha convinto e l'ho invitato a fare il direttore della fotografia. Dal punto di vista economico era sostenibile, anche perché ci risolveva molti problemi. In un quarto d'ora illuminavi la scena, con metà delle persone utilizzate normalmente per un set. Quello è il vero vantaggio: la possibilità che hai di lavorare meglio, in tempi molto più ridotti. Però devi anche sapere cosa vuoi, cosa cerchi. Perché non è vero che in sé il digitale costa di meno. Inoltre, ci sono dei progetti che puoi fare in digitale, altri no.



    http://www.salvatorescandurra.com/testi/i-cento-corpi-del-film-nuovi-schermi-per-il-cinema-digitale-45.html


    Carmen Maiorano

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  6. L'immagine registrata da una videocamera digitale è molto nitida, i suoi contorni netti, i colori riportati con precisione. Questa nitidezza, se sommata ad una corretta messa a fuoco di tutti gli elementi nel quadro, può apparirci finta. Questo problema, esclusivamente percettivo, si fa sentire di più in spettatori che hanno una maggiore confidenza con il modo in cui i film restituiscono la realtà ripresa.

    Se isoliamo i singoli elementi che rendono un'immagine più o meno vicina al reale, scopriamo che in realtà questi elementi sono fattori di disturbo o distorsione, come la grana della pellicola o la profondità di campo, e che quindi finiscono per togliere dettaglio all'immagine più che aggiungerne.

    Negli anni le ottiche cinematografiche, la pellicola, gli impianti illuminotecnici hanno dato una forma all'immagine cinematografica, che ancora oggi costituisce il modello da seguire per molti direttori della fotografia. Ma il digitale nitido, con i suoi contorni netti e i colori precisi, è reale più della pellicola. Cambia la resa visiva, insieme alla percezione della tridimensionalità dell'immagine, che non è iscritta nell'immagine stessa, ma deriva da un processo mentale.

    Si può quindi ipotizzare che le nuove generazioni di spettatori, abituate a guardare film girati con videocamere che tendono a ridurre l'effetto di profondità, riconoscano presto la nitidezza digitale come una riproduzione del reale più fedele di quanto non faccia il cinema tradizionale.

    Anzi, ai loro occhi le immagini del cinema in pellicola potrebbero apparire come degradate ad arte da una tecnologia ancora imperfetta.



    Nel 2006 Mel Gibson si avvale della fotografia di Dean Semler per girare in digitale Apocalypto, violento film che descrive il declino dell'impero Maya.

    La videocamera ad alta definizione utilizzata è una Panavision Genesis.

    In un'intervista, Semler racconta che Gibson, molto curioso in fatto di nuove tecnologie, in qualità di produttore del film era estremamente attento ai costi. Ogni nastro che veniva registrato consentiva un risparmio di circa 7.000 dollari rispetto alla pellicola.

    Per le riprese si è fatto uso della Spydercam, un sistema che permette di riprendere con la videocamera appesa all'ingiù:

    "Dovevamo girare con la Spydercam dalla cima di una cascata alta 45 metri, guardando sopra le spalle di un attore e poi sporgendoci oltre il bordo, letteralmente nella cascata. Pensavo l'avremmo girata in pellicola, ma poi ho montato la Genesis in un leggero scafo impermeabile. [...] Abbiamo girato due nastri da quindici minuti senza problemi, anche se una volta è entrata acqua e si è appannata. [...] Amo la pellicola, e probabilmente girerò ancora in pellicola, ma questa per me è davvero stata una rivelazione."

    In alcune scene del film, però, la capacità della Genesis di catturare la luce si è rivelata insufficiente. Si è quindi dovuto ricorrere alla sensibilità della pellicola, montata su una Arri 435, superiore nelle particolari condizioni di luce delle foreste pluviali del sud del Messico.



    Un altro film girato in digitale che ha attirato l'attenzione attorno alla sua resa della luce è Collateral (Michael Mann, 2004). Tra le tre videocamere ad alta definizione usate in questo film si distingue la Thomson Viper FilmStream, camera a tre sensori, capace di catturare un'immagine grande 1920 x 1080 pixel, e di registrarla in formato non compresso, permettendo un notevole controllo in post-produzione. Uno dei punti di forza della Viper è la possibilità di girare in condizioni di luce scarsissima, il che ha permesso a Dion Beene, direttore della fotografia del film, di sfruttare l'illuminazione notturna della città di Los Angeles per conferire al film l'atmosfera cupa che lo contraddistingue:

    "[girare in digitale] è una situazione da cui non si torna indietro. Per me, gira tutto attorno a quale formato si adatti meglio al progetto e alla storia, e [l'alta definizione] costituisce un ulteriore strumento per il filmmaker. È così che la vedo. Ovviamente, la sua introduzione ha prodotto in risposta una grandiosa nuova serie da parte della Kodak. Credo gli abbia dato una spinta."

    Anche in Italia si girano film in high definition. Davide Ferrario, autore di Dopo mezzanotte (2004), un film sull'amore per il cinema del passato, realizzato con i moderni strumenti del cinema digitale e con numerosi effetti di emulazione dei primitivi effetti speciali, racconta il perché della sua scelta:

    "È venuta fuori, allora, la proposta dell'alta definizione da parte di Dante Cecchin, la maggior autorità italiana sull'argomento. Abbiamo fatto dei test, m'ha convinto e l'ho invitato a fare il direttore della fotografia. Dal punto di vista economico era sostenibile, anche perché ci risolveva molti problemi. In un quarto d'ora illuminavi la scena, con metà delle persone utilizzate normalmente per un set. Quello è il vero vantaggio: la possibilità che hai di lavorare meglio, in tempi molto più ridotti. Però devi anche sapere cosa vuoi, cosa cerchi. Perché non è vero che in sé il digitale costa di meno. Inoltre, ci sono dei progetti che puoi fare in digitale, altri no."

    Gian Filippo Corticelli ha curato la fotografia di Paz! (Renato De Maria, 2002), un film che intreccia le vicende di vari personaggi nati dalla matita del fumettista Andrea Pazienza, dal carattere surreale e fantasioso, legato alle mobilitazioni studentesche del 1977 a Bologna.

    Questa è la sua testimonianza sulla scelta che lo ha portato a girare con videocamere DVCAM:

    "Una delle domande che più frequentemente mi veniva rivolta durante la lavorazione di Paz! era: "bella questa scena, ma sul grande schermo come verrà... peggiorerà... migliorerà?" Un'ulteriore conferma quindi del carattere sperimentale e sconosciuto ai più del digitale. [...]
    I film girati in digitale che mi è stato possiblie visionare prima di Paz! erano orientati verso una fotografia che prevedeva una struttura illuminotecnica fondata esclusivamente sull'uso della luce naturale o di quella artificiale già presente nella scena. Nel caso di Paz!, invece, ho cercato di "dominare la situazione", di forzarla in alcuni casi controllando le situazioni di luce, come se stessimo girando in pellicola. Il procedimento faticoso di messa in scena che ne è conseguito mi ha tuttavia dato i risultati che speravo."

    È necessario fare presente come il film sia stato prodotto con un budget molto ristretto, che non avrebbe potuto coprire gli alti costi della pellicola.

    Che si tratti di finanziamenti o di stile, Corticelli, come Beebe, concepisce i vari formati digitali come tanti elementi che vanno ad accrescere il ventaglio di scelte per produzioni e direttori della fotografia:

    "Dopo questa esperienza posso dire di avere una possibilità in più quando mi trovo a dover "visualizzare" un progetto destinato a essere proiettato. Accanto al 35mm, al 16mm gonfiato, al super35mm portato a cinemascope, ecc. ora so di poter contare anche sul dvcam. Sarà più adatto a certi film, meno ad altri ma è sicuramente uno strumento in più per registi e direttori della fotografia."

    [Fonte:http://www.salvatorescandurra.com/testi/i-cento-corpi-del-film-nuovi-schermi-per-il-cinema-digitale-45.html]

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  7. Annalisa Del Vecchio15 maggio 2009 alle ore 12:07

    Chi nasce tondo è un piccolo film ma è realizzato con cura ed amore. E’ una commedia attaccata al suolo ed è un omaggio alla vecchia romanità. E’ un’opera leggera, originale e frizzantina. Abbiamo voluto incontrare l’autore, Alessandro Valori, per chiacchierare un po’ con lui di questo simpatico e riuscito film. Gli abbiamo chiesto come è nato il progetto :

    questo progetto è nato un anno e mezzo fa, all’interno di un programma di formazione organizzato dalla Digital desk e dall’assessorato alle politiche giovanili, per far conoscere il mondo del cinema ai giovani. Abbiamo deciso di coinvolgere i ragazzi in tutte le fasi della lavorazione di un film : dalla scrittura, alla direzione della fotografia, alle scelte relative al cast, ecc.. Se da una parte abbiamo teso una mano ai giovani loro hanno saputo prontamente restituirci il favore garantendoci di poter testare, momento dopo momento, quanto stessimo sulla giusta direzione o quanto stessimo andando fuori strada. Il loro sguardo fresco, distaccato nella giusta maniera, ci ha aiutato ad avere costantemente il polso della situazione. Detto ciò, è stato anche un ottimo modo per conoscere più da vicino una generazione di cui si parla molto.

    Il film è un omaggio alla città di Roma..

    Io non sono di Roma, sono di Macerata. Ma di Roma sono pazzo. Ho sempre avuto il desiderio di fare un film sul recupero della memoria collettiva legata a questa città. Una memoria che è un vero patrimonio culturale. Mi andava di fare un film che parlasse di una Roma un po’ lontana da quella che domina oggi la scena cinematografica : coatta o fighettina. Direi che Roma, o meglio una certa Roma, è protagonista in questo film.

    Lo si capisce dalla scelta delle location, per esempio..

    Abbiamo scelto di andare su alcuni luoghi che in passato sono stati molto significativi per questa città. Stare lì e girare sul posto significa incontrare un’anima che ancora esiste. Primavalle e Garbatella, per esempio, sono posti in cui puoi incontrare un certo modo di essere romani.

    Si tratta di una Roma che in passato il cinema aveva saputo cogliere molto bene..

    In qualche modo ho cercato, con Chi nasce tondo, anche di rendere omaggio al cinema italiano del passato. Quello della grande commedia. Penso a film come I soliti ignoti, Guardie e ladri, ecc. Senza voler imitare nessuno e senza ambire a chissà che cosa.. Nel mio film ho cercato di far scaturire il comico non tanto dalle gag, messe una di seguito all’altra, ma dalle situazioni, dal rapporto tra storia, personaggi e contesto. I due ragazzi sono in fondo degli amabili disgraziati, non troppo dissimili da alcuni personaggi della commedia all’italiana. Si ride, nel film, ma spesso c’è un’amarezza di fondo che ritengo importante.

    I protagonisti sono una coppia di attori romanissimi. Uno non ha bisogno di presentazioni, è Valerio Mastandrea. L’altro è meno famoso e si chiama Raffaele Vannoli. Diciamo subito che è stato bravissimo..

    Raffaele e Valerio sono una coppia molto azzeccata. La loro presenza e il loro lavoro sono stati fondamentali anche per la costruzione dei personaggi. Ci siamo appoggiati molto alla loro personalità e al loro consiglio. Sono molto soddisfatto del loro contributo. Su Valerio era facile immaginarlo, ma devo dire che Raffaele non si fa minimamente oscurare dal peso e dall’esperienza del primo. Complimenti a lui.

    In effetti è stato molto bravo. La scena del panino di notte è deliziosa. Però, a testimonianza del legame che questo film cerca col passato, ci sono anche piccoli ruoli in cui vediamo alcune figure che parecchi anni fa hanno recitato in alcuni capolavori. Mi riferisco Tiberio Murgia e, soprattutto, a Sandra Milo.

    Beh, certamente la loro presenza rafforza il concetto di cui parlavamo prima. E’ stato piacevole poter inserire certi nomi nel cast. Nella storia del cinema italiano ci sono anche quei nomi.

    Nel film c’è anche qualcosa che va oltre il realismo puro, qualche piccolo e bizzarro elemento qua e là.

    Si c’è un tocco di surreale, un pizzico di magico che secondo me non stona. Anzi, rende più gustoso il film, gli dà sapore.

    Parliamo un attimo di un altro aspetto che nel film è fondamentale. Non si tratta di contenuto ma di forma : il film è girato in digitale.

    Sono circa dieci anni che frequento l’argomento, che mi occupo di digitale. Dopo tanto tempo posso dirti che il digitale è un mezzo. E come ogni mezzo va adattato a ciò che si gira. Non risolve tutti i problemi e non è arrivato alla fine del suo sviluppo. Può dare molto ma chi lo usa non può pensare che grazie al digitale possa fare ciò che vuole, ciò che altrimenti non sarebbe in grado di fare. Se non c’è un pensiero dietro, se non c’è conoscenza del lavoro, si rischia di finire nel nulla. Io vengo dalla pellicola e devo dire che questa ti aiuta a pensare di più. Ti puoi permettere meno di sbagliare e devi stare attento ad ottimizzare i materiali e i tempi. Il digitale è comodo e leggero, tutto è a portata di mano. La pellicola necessita di una cinepresa e di tutta una struttura che sembra un mostro, qualcosa di mastodontico che incute ansia. Il digitale deve fare ancora molta strada, ma è una strada piena di sorprese e di possibilità.

    Ma qual è il rapporto tra un film girato in digitale e la sua distribuzione in sala ?

    Putroppo l’aspetto più dolente della questione è proprio questo. Di film girati in digitale e distribuiti in digitale ce ne sono davvero pochi. Il più delle volte vengono gonfiati in pellicola, ma questo ha un costo piuttosto alto. Già l’imbuto della distribuzione è molto stretto, e spesso non c’è spazio per i film piccoli e indipendenti. Anche se sono di valore. Se poi hanno anche il problema di aver bisogno di una strumentazione che le sale ancora non hanno, allora diventa ancora più dura, per loro, trovare spazio in sala. Spesso le sale che garantiscono di poter proiettare un film girato in digitale senza che questo debba essere gonfiato in pellicola, in realtà non sono in grado di farlo. Chi nasce tondo è uscito in due sole sale a Roma.

    Quali prospettive possono esserci per il digitale ?

    C’ è una realtà che si chiama "Microcinema", che sta lavorando molto bene in questa direzione. La forza dell’idea è che il film viene compresso e messo su un server. Il gestore può acquisirlo e risparmiare parecchio. Con lo sviluppo del digitale si riduce la spesa generale e questo è un bene. Il problema è che questo sviluppo può esserci se si usa il digitale per un certo numero di film e non solo per pochi, come avviene oggi.

    Torniamo al film. Come è stato accolto dal pubblico ?

    E’ stato accolto bene sia dal pubblico che dalla critica. Tutti hanno colto il suo spirito semplice e sincero. Si sono accorti dell’onesta ed anche del valore di questa commedia. In sala anche, nonostante non abbiamo avuto nessun tipo di promozione, e la promozione sappiamo tutti quanto sia fondamentale per la visibilità di un film, il film sta ottenendo un ottimo rapporto tra spettatori e sala.

    Grazie Alessandro, e in bocca al lupo per Chi nasce tondo.

    Grazie a te,

    fonte: http://www.close-up.it/spip.php?article3996

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  8. Walter Murch, vincitore di due premi Oscar nel 1996 per il missaggio audio e per il montaggio de Il paziente inglese (The English Patient, Anthony Minghella 1996), è stato il primo montatore a ricevere un premio per un film montato e mixato in digitale, con il sistema Avid.

    Murch, che nel corso della sua carriera ha operato su diversi sistemi di montaggio (meccanici, elettronici analogici ed elettronici digitali), e che ben conosce i vantaggi e i limiti propri delle nuove tecnologie, si augura che il cinema possa presto completare la transizione di tutti i suoi settori verso le tecnologie digitali, a vantaggio di una totale integrazione tra le varie mansioni e tra gli strumenti.

    Riguardo all’attuale condizione "ibrida" del cinema, che ha abbracciato il digitale in molti suoi settori ma che resta spesso ancora legata al supporto fisico della pellicola, Murch si esprime così:

    Per quanto sbalorditivo possa essere vedere delle immagini proiettate in digitale (altrettanto o anche più definite della pellicola 35mm, senza nessuno di quei graffi, o sporcizie, o tremolii che infestano anche le prime copie di una stampa a 35mm) la verità è che l'industria cinematografica si è per 15 anni inesorabilmente digitalizzata dall'interno. I trionfi degli effetti speciali in digitale erano ovviamente già noti prima della loro apoteosi in Jurassic Park, Titanic, Star Wars - Episodio I, e Matrix.

    http://www.salvatorescandurra.com/testi/i-cento-corpi-del-film-nuovi-schermi-per-il-cinema-digitale-13.html




    Steven Soderbergh realizzerà sei film in digitale. Il regista di 'Sex, Lies and Videotape', 'Traffic' e 'Ocean's Eleven' ha firmato un contratto con la 2929 Entertainment.
    'Bubble', il primo film della sestina, sarà la storia di un misterioso omicidio e verrà girato in sole tre settimane con un budget di appena tre milioni di dollari.

    Tempi e costi di produzioni sono ridotti grazie ai tagli che permette in entrambi i campi la tecnica digitale, oltre che perchè il cast sarà composto da attori non professionisti provenienti da una cittadina dell'Ohio, dove il film verrà girato e ambientato.

    "Apprezzo la totale libertà creativa che Mark Cuban e Todd Wagner della 2929 mi stanno dando per produrre questi film indipendenti e soprattutto sono contento dell'insolito modello di distribuzione che hanno scelto", ha detto il regista. Tutti e sei i film, infatti, saranno resi disponibili contemporaneamente al cinema, alla televisione e in videocassetta, violando tutte le leggi della più tradizionale strategia distributiva.

    "Il futuro dell'industria cinematografica - dice il regista di successo - è in mano ai consumatori e questo è un enorme passo verso di loro".

    http://trovacinema.repubblica.it/news/dettaglio/Sei-film-digitali-per-Steven-Soderbergh/289756

    bruna la sala

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  9. I cento corpi del film:
    nuovi schermi per il cinema digitale

    L'adozione di nuove tecnologie di ripresa e l'uso di formati digitali, che permettono di controllare i livelli colorimetrici dell'immagine in un momento posteriore allo shooting, fanno registrare importanti cambiamenti nelle modalità produttive. Si osserva un «abbandono del set come luogo privilegiato della realizzazione di un'opera cinematografica e un aumento di importanza della postproduzione come reale momento di creazione».[125]

    Ad un certo livello di intervento, le riprese, necessarie ma non più sufficienti a restituire l'immagine desiderata, possono oggi essere considerate come semplici parti di un processo ben più elaborato. Ciò che si ottiene in sede di ripresa è materiale utile per la manipolazione digitale perché componibile, scalabile e replicabile.

    Rick McCallum, produttore della trilogia dei prequel di Star Wars, prima dell'inizio delle riprese di Star Wars: Episodio II - L'attacco dei cloni (Star Wars: Episode II - Attack of the Clones, George Lucas, 2002), racconta in un'intervista che le riprese del film sarebbero durate in totale tre mesi. Il piano di lavorazione, però, destinava diciotto mesi alla post-produzione.[126]



    Ogni film è un processo collaborativo, anche qualora il regista tendesse ad offuscare le personalità dei suoi collaboratori. Se in alcuni casi, come si osserverà più avanti, l'agilità digitale di un set può lasciare spazio all'improvvisazione, è pur vero che per le grandi produzioni è necessaria una rigida pianificazione su cosa debba essere girato e cosa vada elaborato in post-produzione.

    Non viene perduta quella componente di casualità e ispirazione da cui scaturisce il prodotto artistico; semplicemente si sposta il momento creativo dal set allo studio e al banco di montaggio, che oggi altro non è altro che un computer.



    Gli effetti digitali di compositing integrano e sorpassano la macchina da presa, ricreando i suoi movimenti o giustapponendo all'interno del quadro spazi diversi. Si guarda già alla pellicola cinematografica con nostalgia, tanto che esistono comandi nei software video capaci di simulare le proprietà della pellicola: la sua grana, il tipico cromatismo agglutinante, persino i graffi e gli errori della stampa a contatto.



    Il favoloso mondo di Amélie (Le fabuleux destin d'Amélie Poulain, Jean-Pierre Jeunet, 2001) è un immaginifico film in cui figurano molti effetti visivi ben inseriti nel tessuto narrativo. Quando la protagonista, per una sua incertezza, affonda nella vergogna, la vediamo letteralmente sciogliersi in una pozza d'acqua. La società parigina Duboi ha curato la correzione colore digitale del film, impiegandovi il proprio sistema Duboicolor. Dopo avere acquisito in digitale la pellicola ed effettuato la calibrazione dei colori al computer, l'immagine è stata riportata su pellicola tramite un processo interamente digitale.[127]

    Jeunet aveva adottato effetti speciali visuali già con Delicatessen (Marc Caro e Jean-Pierre Jeunet, 1991), in cui la camera si avventura in un piano sequenza impossibile, lungo le tubature dell'edificio in cui è ambientato il film. Ovviamente, la macchina da presa non ha davvero percorso quei cunicoli: la sequenza è stata generata in computergrafica, simulando ruggine e riflessi del metallo ed avendo cura di innestare la fine del movimento di macchina virtuale sul movimento della camera reale che ha ripreso lo spazio fuori dal tubo. Immagini come questa invalidano la teoria baziniana secondo cui il piano sequenza, grazie all'assenza di stacchi e quindi di manipolazioni dell'azione, sarebbe garanzia di realtà.



    Lo spettatore non si aspetta che ciò che gli viene mostrato sia reale; lo sviluppo degli effetti visuali è sempre stato orientato verso l'inganno dell'occhio, che ora non può più distinguere cosa sia realmente esistente nel mondo fisico e cosa esista solo sotto forma di immagine.

    Antonio Costa si pone il problema della distinzione tra i termini «trucco» ed «effetto speciale», proponendo la soluzione di Alberto Farassino, secondo cui «il trucco è ciò che produce l'effetto speciale, […] c'è ma non si vede, l'effetto speciale, invece, come lo spettacolo, si vede e si deve vedere»[128], ma ritiene necessario integrarla con una ulteriore distinzione di Christian Metz. I trucchi del cinema si dividerebbero in profilmici («tutto ciò che viene messo davanti alla macchina da presa perché questa lo 'prenda'») e cinematografici propriamente detti, prodotti durante le riprese o in fase di stampa.[129]

    Occorre adesso affiancare a questa ripartizione la nozione di effetto visuale digitale[130], che è appunto l'integrazione di azioni dal vivo con CGI, ad esempio elementi pirotecnici o illuminotecnici, orientata verso la creazione di immagini fotorealistiche.

    Accade spesso (Waking Life: Risvegliare la vita, Waking Life, Richard Linklater, 2001; Sin City, Robert Rodriguez, 2005; Renaissance, Christian Volckman, 2006) che in un film gli interventi digitali siano così numerosi e pesanti che non è possibile quantificare realtà e illusione, potendo considerare l'intero film un lungo effetto speciale. Ma secondo Metz già il cinema, se inteso come un unico grande fenomeno che, riproducendo il movimento, tende verso l'illusione di realtà, si potrebbe considerare come un grande effetto speciale.[131]

    Metz propone inoltre una importante valutazione dei trucchi in relazione alla percezione che lo spettatore ha di essi. Ne distingue tre tipologie. La prima definisce come trucchi impercettibili tutti gli espedienti che, per mantenere un congruo livello di realismo, vengono nascosti allo spettatore insieme all'esigenza che ha richiesto l'uso di un trucco.

    Un esempio nel cinema più tradizionale potrebbe essere la sostituzione di un attore con uno stuntman che deve eseguire azioni difficili o pericolose.

    L'avvento dell'elaborazione digitale ha esaltato le capacità del cinema di creare effetti visuali speciali. «Il "miracolo" è avvenuto: tra l'effetto speciale prodotto tradizionalmente e quello digitale passa la medesima differenza esistente tra prestidigitazione (l'illusionismo, appunto) e vera e propria magia.»[132]

    Nel cinema digitale, un caso di trucco invisibile è la rimozione, fotogramma per fotogramma, dei cavi che hanno permesso agli attori di volteggiare in cielo nel film La tigre e il dragone (Ang Lee, 2000). O ancora, il film La tigre e la neve (Roberto Benigni, 2005), ambientato a Baghdad, benchè girato in Tunisia. La società milanese Ubik, che ha curato gli effetti visuali del film, ha dovuto quindi "truccare" con il digitale le moschee tunisine per una ricostruzione filologicamente corretta.[133] Il trucco non viene neanche percepito come tale.

    La seconda tipologia individuata da Metz accoglie i trucchi invisibili ma percettibili, che suggeriscono indirettamente allo spettatore che la sua visione è mediata da una manipolazione di qualche tipo. Georges Méliès fu grande inventore di trucchi di questo tipo, come la sostituzione, che gli permetteva di far apparire dal nulla diavoli accompagnati da nuvolette di fumo (Le chaudron infernal, 1903). Il volo di Superman (Richard Donner, 1978) è un trucco invisibile ma percettibile: il pubblico non sa che il paesaggio retrostante l'eroe volante è un'immagine proiettata su un telone, sa solo che l'attore non ha volato davvero e che quindi per realizzare la sequenza si è dovuto ricorrere a un espediente.

    Industrial Light & Magic è la compagnia che nel 2003 ha vinto il premio Oscar per i migliori effetti speciali con Jurassic Park (Steven Spielberg). Per il film sono state adottate innovative tecniche di computergrafica, che hanno permesso un'animazione molto credibile dei dinosauri. Anche qui, il trucco è invisibile, ma percettibile, perché di Tyrannosaurus Rex ammaestrati non se ne trovano sul mercato.

    La terza e ultima categoria è quella dei trucchi visibili. Per Metz il cinema usa i suoi espedienti tecnici come punteggiatura. Manipolazioni proprie del procedimento cinematografico, come la dissolvenza incrociata, il flou o le tendine sono allora 'marche di enunciazione', da considerare come elementi retorici del linguaggio filmico. Il cinema digitale, di conseguenza, deve sviluppare delle marche di enunciazione sue proprie, derivate dall'applicazione delle manipolazioni specifiche del procedimento digitale.

    Fonte: http://www.salvatorescandurra.com/testi/i-cento-corpi-del-film-nuovi-schermi-per-il-cinema-digitale-42.html

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  10. Zodiac è il primo film girato interamente in digitale . Girare in digitale permette di poter vedere immediatamente il frutto del proprio lavoro senza aspettare i giornalieri ,di poter girare in condizioni di luce completamente diverse e di avere un tipo diverso di interazione con il cast .La cosa più inusuale era che sul set di Zodiac nessuno urlava “Azione!”o “Stop!” , in quanto non c ‘ era un vero inizio e fine della ripresa . Il digitale inoltre costa meno , tanto che si può tenere la videocamera sempre accesa. Rispetto ad altri film girati in digitale Zodiac ha goduto di un’ autonomia creativa maggiore. La videocamera Viper infatti registra in formato raw , cioè senza compressione e questo rende le immagini sempre nitide anche se girate al sole o in ambienti bui .
    (Fonte:www.mymovies.it)
    Alessia Angrisano

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  11. Il regista Tarsem Singh ha usato questa tecnica per il film:"The Cell - La cellula".

    The Cell - La cellula
    The Cell - La cellula è un film di fantascienza dai toni horror del 2000 diretto da Tarsem Singh e interpretato tra gli altri da Jennifer Lopez.

    Trama
    La storia è ambientata in un futuro non troppo lontano, in cui una particolare tecnologia permette ad adetti specializzati di venire proiettati all'interno della mente di pazienti in cura presso laboratori sperimentali. Catherine è un'assistente sociale che lavora in uno di questi centri ed da tempo sta lavorando con un bambino in coma: nel tentativo di risvegliarlo a cadenza regolare si immerge nella sua mente al fine di conquistare la sua fiducia e liberarlo dalle costrizioni che lo tengono intrappolato dentro se stesso. Nonostante i progressi fatti, i genitori del piccolo decidono di fermare la sperimentazione e tentare altri modi per risvegliare il figlio, ponendo un termine inderogabile a Catherine.

    Nel frattempo viene catturato Carl Stargher, un maniaco che uccide le proprie vittime facendole annegare all'interno di una cellula sigillata che riempe poco per volta d'acqua e trasformandole successivamente in oggetti sessuali. Carl viene catturato dall'agente Peter Novak e la sua squadra che sta investigando sulla scomparsa dell'ultima vittima del mostro. L'uomo però è in coma dopo che ha esaurito gli psicofarmaci che lo tenevano lucido e gli permettevano di controllare le terribili voci nella sua testa.

    Dal momento che l'ultima vittima non viene ritrovata e calcolando che secondo le abitudini dell'uomo (di cui l'FBI viene a sapere grazie ad una videocassetta) la donna potrebbe ancora essere viva si decide di trasportare Carl al centro dove lavora Catherine e si chiede a questa di investigare nella mente di Carl per trovare l'ubicazione della cellula di tortura del mostro. Questo naturalmente comporta grossi rischi per Catherine che, visti i problemi dell'uomo, potrebbe perdersi all'interno della mente distorta di Carl e non riuscire a fare ritorno.

    Fin dalla prima immersione è chiaro che l'uomo è particolarmente disturbato e vede se stesso come un despota malvagio all'interno di un proprio mondo perverso, in cui le sue vittime assumono le sembianze di bambole sodomizzate e irriconoscibili. Catherine, terrorizzata, riesce ad uscire dalla mente di Carl poco prima di venire aggredita. Fuori esterna le sue paure, ma Novak le pone la questione della salvezza dell'ultima ragazza rapita e la convince a rientrare nella testa di Carl.

    Catherine accetta a malincuore. Già dal secondo viaggio si accorge che in Carl esistono due personalità: Carl da adulto (il mostro) e Carl bambino (l'innocenza). Man mano che le investigazioni proseguono Catherine adotta il suo solito metodo tentando di guadagnarsi dapprima la fiducia del bambino per poter poi conoscere le risposte che sta cercando sulla cellula. Scopre così che Carl da bambino veniva picchiato selvaggiamente dal padre, persino con un ferro da stiro, e che l'unico amico rimastogli è il suo cane Valentino.

    Carl bambino si dimostra disposto ad essere aiutato da Catherine ma è preoccupato per quanto riguarda il mostro e per ciò che questo può fare alla donna. Catherine passa quindi molto velocemente dal mondo di Carl bambino a quello di Carl adulto e alla fine viene colpita da questo e quindi catturata nella sua rete. Questo fa sì che la donna non ricordi più chi sia e diventa parte della realtà distorta dell'uomo, trasformandosi in uno dei suoi oggetti sessuali.

    A questo punto vedendo la difficoltà della donna l'agente Novak decide anche lui di entrare nella mente di Carl e liberare Catherine. Alla prima esperienza, a Novak viene consigliato di smuovere Catherine ricordandogli fatti personali. Una volta entrato però l'uomo trova una Catherine totalmente fuori di sé, trasformata in una dominatrice sensuale. Questo lo spiazza e permette a Carl di avere il sopravvento su di lui. Viene così torturato ma fa in tempo a risvegliare Catherine dal suo stato di trance e questa riesce a liberarsi e tirar fuori con sé l'agente.

    Ma proprio alla fine del viaggio viene identificato il simbolo di produzione dei macchinari usati da Carl la preparazione dei cadaveri delle proprie vittime e per il suo rito sessuale e tramite altri indizi (come il cane albino Valentino) Novak riesce a trovare la cellula in mezzo ad una zona desertica, sottoterra, e pochi minuti prima della morte della ragazza intrappolata all'interno di questa avviene la liberazione.

    Ma Catherine si accorge che dentro Carl non è ancora stata risolta la lotta tra il Carl mostro e il Carl fanciullo e decide quindi di aiutare quest'ultimo ad avere la meglio sul suo alterego malvagio. Inverte così il procedimento e lascia entrare Carl all'interno della sua mente, mettendo a rischio la propria integrità. Qui avviene uno scontro violento con il Carl adulto ma alla fine Catherine riesce ad avere la meglio su di lui e lo immobilizza. Questo però ha una conseguenza inaspettata: anche il piccolo Carl infatti subisce in contemporanea la sua furia, proprio perché in ogni caso il Carl mostro e il Carl bambino sono comunque la stessa persona. A questo punto però il piccolo Carl chiede alla donna di finire l'opera e ucciderlo e, a malincuore, Catherine esegue quest'ultimo gesto.


    Critica
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    Molti spettatori hanno dato al film un giudizio particolarmente negativo, vedendolo come un lungo videoclip (le origini del regista sono proprio da ricercare nel mondo dei videoclip musicali).

    La pellicola raccoglie numerosi spunti da opere più o meno note del panorama artistico contemporaneo e non. La scena del cavallo si ispira ai lavori di Damien Hirst ([1]) e altre scene si ispirano alle opere di Odd Nerdrum e dei Fratelli Quay.


    Curiosità
    L'ambientazione surreale della sequenza iniziale è il pianoro Sossusvlei, in Namibia.
    Le scene che guarda Catherine in televisione sono del film Il pianeta selvaggio del 1973.
    Nella scena in cui Catherine parla con Carl mentre questo siede accanto ad una vasca in cui sta pulendo una delle sue vittime ricorda per ambientazione e fotografia il video musicale di Losing my religion dei R.E.M., di cui era regista lo stesso Tarsem Singh.
    La scena in cui Novak entra nella mente di Carl e si trova in un luogo arido con tre donne a bocca spalancata che immobili guardano il cielo è ispirata all'opera "Dawn" (1990) di Odd Nerdrum ([2]).
    Il videogioco Silent Hill 4 - The Room trae ispirazione a livello di trama dal film, presentando la doppia personalità di un uomo divisa tra l'adulto (mostro) e il bambino (innocenza).
    Il set del video musicale di Sweet Sacrifice (degli Evanescence) trae ispirazione da questo film.

    Collegamenti esterni
    Scheda su The Cell - La cellula dell'Internet Movie Database


    http://it.wikipedia.org/wiki/The_Cell_-_La_cellula

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  12. Sin City (film)

    « Se imbocchi il vicolo giusto a Sin City, puoi trovare di tutto! »
    (Marv)
    « Quando avrò finito con lui, l'inferno in cui lo spedirò gli sembrerà un paradiso. »
    (Marv)
    « Adoro i sicari. Puoi far loro di tutto senza avere rimpianti! »
    (Marv)

    Sin City è un film del 2005, diretto da Robert Rodríguez e Frank Miller.

    È tratto dall'omonimo fumetto Sin City dello stesso Miller, una serie indipendente della Dark Horse Comics divenuta un vero e proprio fenomeno cult.

    La pellicola è divisa in tre episodi, che raccontano tre storie dell'opera originale di Miller: Un duro addio, Quel bastardo giallo e Un'abbuffata di morte. All'inizio e alla fine del film viene accennata la parte che nel fumetto corrisponde a Il cliente ha sempre ragione.

    Tutto il progetto si è svolto sotto la supervisione dell'autore Frank Miller, che è anche co-regista e co-sceneggiatore del film, rimasto affascinato dal progetto del regista Rodriguez, un grande fan del fumetto da sempre.

    Oltre a Miller e Rodriguez, è accreditato alla regia anche Quentin Tarantino come Special Guest Director, che ha diretto la sequenza in macchina con Jackie Boy (Benicio Del Toro) dell'episodio Un'abbuffata di morte per la simbolica cifra di 1 dollaro, restituendo un favore all'amico Rodriguez che aveva composto alcune musiche per il suo Kill Bill per la stessa cifra.

    Presentato in concorso al 58° Festival di Cannes, il film è uscito nelle sale negli Stati Uniti d'America il 1° aprile 2005, mentre in Italia è stato distribuito il 1° giugno 2005, preceduto da un notevole battage pubblicitario, con anteprime nelle principali città italiane il 31 maggio 2005.

    Trama

    Il Cliente ha Sempre Ragione - The Customer is Always Right (Prologo) [modifica]
    Il film comincia con una scena ambientata in una notte di pioggia, su una balconata di un grattacielo della violenta e corrotta Sin City, una ragazza (Marley Shelton) impegnata ad ammirare il panorama notturno della città viene avvicinata e successivamente sedotta da un affascinante ragazzo (Josh Hartnett). Lei accenna al fatto che è spaventata e che è stufa di fuggire. Il suo giovane seduttore di lavoro fa il killer ed è stato assoldato per ucciderla. Il film si apre così con un omicidio, dando subito anche ai neofiti del fumetto di Frank Miller il senso dell'ambientazione noir e violenta in cui le storie si svolgono. Nel commento al DVD, Frank Miller spiega che la vittima (il cliente del titolo) si sta in realtà suicidando. Ha avuto una relazione con un gangster e quando cerca di lasciarlo lui minaccia di ucciderla nel modo più terribile possibile. Lei usa quindi i suoi agganci per assoldare un sicario (noto come il Commesso, o Salesman) per procurarle una morte veloce. Poi assistiamo all'antefatto di una delle tre storie, quella che ha per protagonista Bruce Willis (Quel bastardo giallo).


    Quel bastardo giallo (parte 1)
    Nel porto di Sin City, il poliziotto John Hartigan (Bruce Willis) sta tentando di fermare Roark Junior (Nick Stahl), un serial killer e pedofilo che ha rapito la piccola Nancy Callahan. Bob (Michael Madsen) il collega di John cerca di fermarlo, ma John lo stende con un pugno. Hartigan mette al tappeto i due criminali locali Shlubb e Klulmp che stanno facendo la guardia alla Jaguar di Roark. Junior è all'interno con la bambina e due scagnozzi. Hartigan spara e uccide questi ultimi, ma Junior afferra la bambina e fugge. Hartigan li segue e gli spara ad un orecchio, un braccio e all'inguine. Bob, che ha nel frattempo ripreso conoscenza, raggiunge Hartigan e gli spara. Mentre si sentono le sirene dei rinforzi che stanno arrivando Hartigan perde conoscenza convinto di morire ma sapendo che Nancy è salva.

    Un duro addio
    Marv (Mickey Rourke) dopo essere stato a letto con Goldie (Jaime King) l'unica donna della sua vita che l'abbia apprezzato (in realtà una prostituta), scopre che questa è stata misteriosamente uccisa e che lui sta per essere incastrato. Decide così di vendicare in ogni modo la sua morte. Fa tappa a casa di Lucille (Carla Gugino) che cerca di dissuaderlo dal vendicarsi. Marv però non le dà retta e inizia a cercare la verità, torturando ed uccidendo chiunque non riesca a dargli le informazioni che lui desidera.

    Scopre che dietro tutto ciò c'è la famiglia Roark (la più influente famiglia di Sin City, cui nessuno può mettersi contro), e riesce a risalire all'omicida. Questo è Kevin (Elijah Wood), cannibale spietato che assieme al suo lupo mangia le vittime, tranne la testa che viene conservata per trofeo. Giunto nel luogo dove risiede Kevin non riesce a fronteggiarlo e viene intrappolato.

    Risvegliatosi rinchiuso nella cella dove figurano le teste delle altre prostitute uccise trova Lucille, anche lei intrappolata e mutilata di una mano. Preso dalla rabbia più sfrenata Marv riesce a uscire dalla cella ma purtroppo in uno scontro con la polizia Lucille perde la vita. Però viene a sapere che tra quelli che lo vogliono morto c'è il Cardinale Roark (Rutger Hauer). Inizia così a pianificare il metodo migliore per uccidere Kevin.

    Si dirige prima nella Città Vecchia (controllata solo da prostitute) dove trova la sorella gemella di Goldie (Wendy), che dopo una certa titubanza iniziale decide di aiutarlo. Assieme a Wendy si dirige verso il covo di Kevin, lo immobilizza e gli taglia gambe e braccia, lasciando il suo corpo in pasto al suo lupo. Alla fine rimane solo la testa che viene portata da Marv al Cardinale Roark.

    Al cospetto del Cardinale viene a sapere che Kevin non si cibava soltanto dei corpi ma anche delle anime e che lui stesso ha provato una volta a fare altrettanto. Le vittime erano inoltre solo prostitute, obiettivi che avrebbero permesso che nessuno si preoccupasse della loro morte, visto che erano totalmente emarginate dalla società.

    A quel punto dopo averlo torturato Marv uccide il Cardinale. Non fa a tempo ad uscire dalla stanza che è catturato dalla polizia che gli spara ferendolo. L'influenza del Senatore Roark (Powers Boothe), fratello del cardinale si fa sentire. Marv viene accusato dell'omicidio del Cardinale Roark, di Kevin ma anche di Lucille e soprattutto di Goldie.

    È così destinato a morire sulla sedia elettrica, senza nessuna speranza di salvezza. In prigione però avviene l'unica cosa che riesce a sollevare il morale di Marv, ovvero la vista inaspettata della sorella di Goldie che lo ringrazia per aver vendicato Goldie: adesso è pronto a morire.


    Un'abbuffata di morte [modifica]
    Shellie (Brittany Murphy) è una barista che viene disturbata dal suo ex compagno Jackie Boy (Benicio del Toro), violento e ubriaco. Il suo attuale compagno Dwight (Clive Owen), disgustato dal comportamento di Jackie lo aggredisce dopo che Jackie ha tirato un pugno a Shellie. Jackie e i suoi compagni partono con la macchina e si dirigono verso la città vecchia. Dwight li segue, convinto che stiano per provocare guai. Mentre Jackie disturba la giovane prostituta Becky (Alexis Bledel), Dwight e Gail (Rosario Dawson) osservano la scena. Quando Jackie minaccia Becky con una pistola, entrano in azione le altre prostitute: Miho (Devon Aoki) li uccide tutti. Dwight, che raggiunge la scena con Gail si accorge che Jackie è un poliziotto e la sua morte potrebbe essere catastrofica e mettere fine al tacito patto tra la polizia e le prostitute.

    Dwight decide che i corpi devono sparire, in modo che nessuno sappia che sono stati uccisi. Il suo piano consiste nel portarli ai pozzi di catrame, dove la polizia non potrà trovarli. La macchina che Dwight chiede alle ragazze di procurargli tuttavia ha un bagagliaio piuttosto piccolo, e non riesce a contenere anche il corpo di Jackie Boy, che viene così messo sul sedile anteriore. Durante il viaggio Dwight ha una allucinazione, e vede il cadavere di Jackie Boy che gli parla. Ad un tratto un poliziotto a bordo di una moto lo insegue con le sirene per un controllo. Dwight fa una brusca frenata, che spinge in avanti il corpo di Jackie Boy, in posizione tale da sembrare addormentato. Il poliziotto infatti crede che Jackie Boy sia ubriaco e contesta a Dwight solo un fanalino bruciato. L'auto esaurisce il carburante a 400 m dai pozzi di catrame, e mentre Dwight la sta spingendo viene colpito da un'arma da fuoco. Nel frattempo Manute (Michael Clarke Duncan) giunge nella città vecchia e cattura Gail, affermando che un informatore gli ha rivelato tutto e che la città vecchia sta per essere invasa. Dwight è solo in apparenza ferito, poiché il proiettile è rimbalzato sul distintivo di Jackie Boy che Dwight teneva nella tasca della giacca. Dopo uno scontro a fuoco, Dwight cade nella pozza. Mentre i mercenari decapitano il corpo di Jackie Boy, prendendo la testa, Dwight affonda inesorabilmente nel catrame. Quando pensa che tutto sia finito, Miho e le altre ragazze uccidono alcuni mercenari e salvano Dwight. Dopo aver inseguito i mercenari per recuperare la testa di Jackie Boy, ne segue uno scontro a fuoco che termina con la morte dei mercenari, di Dallas e il recupero della testa. Dwight progetta un piano con Miho e tornano in città. Torturando Gail scoprono che l'informatore è Becky, che ha collaborato con Manute. Miho invia un messaggio a Manute che gli propone lo scambio di Gail con la testa di Jakie Boy. Il luogo dello scambio è una stretta strada, e Dwight nasconde nella bocca di Jackie Boy una granata. Liberata Gail, Dwight lancia la testa e la fa esplodere. Inoltre le ragazze della città vecchia sono appostate sui tetti e aprono il fuoco su Manute e i suoi aiutanti, uccidendoli tutti. Nell'estasi del massacro, Gail bacia appassionatamente Dwight, mentre Becky riesce a fuggire.


    Quel bastardo giallo (parte 2) [modifica]
    Hartigan si risveglia in un letto di ospedale. Nella stanza è presente il padre di Roark Junior (Powers Boothe), un potente politico che vuole vendicarsi per quello che ha fatto al figlio che è in coma e in bilico tra la vita e la morte. Lo informa che lo incastrerà mettendolo sotto processo con l'accusa di aver violentato Nancy e facendolo finire in carcere. Se lo dirà a qualcuno, verranno fatti uccidere tutti coloro che conosceranno la verità. Hartigan accetta e finisce in prigione, senza confessare nulla (anche se sottoposto a tortura) poiché è l'unico modo per proteggere Nancy. Lei gli scrive settimanalmente una lettera, grata per tutto quello che sta facendo per lei. Dopo otto anni, improvvisamente non riceve alcuna lettera e Hartigan si preoccupa per la sua incolumità, soprattutto quando riceve una busta con un dito mozzato. Per poter uscire dalla prigione, confessa tutti i crimini. Incontra il suo vecchio partner, Bob, che lo accompagna in città e lo informa che la moglie di Hartigan si è risposata e ha avuto due figli. Senza accorgersi che viene pedinato da un uomo deforme e con la pelle gialla, Hartigan cerca Nancy, ora diciannovenne, trovandola infine al Kadie's Bar, dove lavora come spogliarellista (Jessica Alba). Capisce immediatamente che non le hanno mozzato un dito, quindi la busta era una bluff, sapendo che Hartigan li avrebbe condotti a lei. Hartigan fugge in macchina con Nancy, ma vengono seguiti dall'uomo con la pelle gialla. Dopo uno scontro a fuoco, riescono a raggiungere un Hotel. Nancy confessa ad Hartigan di essere innamorata di lui. L'uomo giallo, che li ha raggiunti li attacca nuovamente, rivelando che è Roark Junior. Egli è stato deformato negli anni da tutti gli interventi chirurgici necessari per rigenerare e riportare alla funzionalità gli organi sessuali del suo corpo. Riesce a rapire Nancy e portarla alla fattoria Roark. Legato e immobilizzato, Hartigan raccomanda a Nancy di non urlare mai per il dolore, qualsiasi tortura Roark dovesse praticargli, poiché, solo sentendo urlare di dolore e paura le sue vittime, egli riesce ad eccitarsi. Alla fattoria Roark, il terrificante uomo giallo tortura, con frustate sulla schiena, la povera Nancy, nel tentativo di farla urlare. La giovane resiste coraggiosamente, dando il tempo ad Hartigan, nel frattempo liberatosi e messosi sulle tracce di Roark Junior, di riuscire a raggiungerli ed uccidere definitivamente il suo avversario.

    Hartigan racconta a Nancy il piano del senatore Roark di corrompere la polizia per convincerla ad allontanarsi da lei. Dopo la sua partenza, Hartigan, sapendo che Roark continuerà a dargli la caccia, si suicida per assicurare la salvezza a Nancy una volta per tutte. Poco prima di spararsi alla testa pensa che mentre un vecchio uomo muore, una giovane donna vive.


    Epilogo
    Becky, ferita, lascia l'ospedale, parlando al cellulare con la madre. Mentre è in ascensore, lei incontra il ragazzo visto nel prologo (Josh Hartnett), che le offre una sigaretta. Capendo chi è, dice alla madre di volerle bene e termina la conversazione.


    Produzione
    Le riprese del film sono iniziate il 29 marzo 2004 a Austin in Texas negli studi Green Screen della Dimension e si sono concluse a settembre 2004. Il budget per la realizzazione del film è stato di 40'000'000 $.

    Tecnicamente il film presenta due caratteristiche peculiari:

    È completamente girato in digitale, cioè non su pellicola cinematografica ma con cineprese particolari che salvano i filmati direttamente su di un supporto magnetico. Questo consente, fra l'altro, di vedere subito i risultati di una ripresa senza aspettare la stampa.
    Ha un'ambientazione quasi completamente virtuale (le sole tre scenografie realizzate realmente sono quelle del bar di Sin City, della casa di Shellie e dell'ospedale). Gli attori hanno interpretato le scene negli studi della Dimension Studios a Austin nel Texas, davanti al green screen, utilizzando la tecnica del Chroma Key, con la quale è possibile aggiungere successivamente la scenografia, che in questo caso è stata realizzata completamente in digitale.
    Come il fumetto, la pellicola è interamente in bianco e nero, con alcuni sprazzi di colore improvvisi per accentuare dei particolari importanti, un tecnica simile a quella usata da Steven Spielberg in Schindler's List e, precedentemente, da Sergej M. Ejzenštejn in La corazzata Potëmkin.

    Michael Douglas rifiutò la parte di Hartigan, poi andata a Bruce Willis. Altri attori a cui era stato proposto un ruolo nel film sono Christopher Walken e Willem Dafoe per la parte del senatore Roark, Steve Buscemi per la parte di Junior. Robert Rodríguez aveva pensato a Johnny Depp per il ruolo di Jackie Boy, poi andato a Benicio Del Toro.

    Nonostante il film sia particolarmente violento e contenga un linguaggio forte, nella versione originale non viene mai pronunciata la parola "fuck".

    Le spade usate da Miho (Devon Aoki) sono quelle che compaiono in Kill Bill vol. 1 ed appartengono alla collezione personale di Quentin Tarantino.

    Frank Miller, creatore della serie, compare in un cameo: è il prete che viene ucciso da Marv nel confessionale


    Box Office
    Sin City ha avuto un incasso internazionale di circa 253.000.000 $ non tra i piu' alti del 2005, negli USA il film è stato un fiasco ha incassato solo 74.103.820 $, mentre in Italia ha incassato circa 4.048.778€.[1]


    Edizione home video
    Il film è uscito in DVD in Italia in un'unica edizione il 21 settembre 2005[2],esiste un'ulteriore edizione in DVD del film dal titolo Sin City: Director's Cut, a differenza della versione cinematografica consta 20 minuti in più con molte scene inedite. L'edizione director's cut del film è stata messa nel mercato il 13 dicembre 2006 solo negli USA, in Canada e in Giappone.


    Sequel
    È previsto il sequel (intitolato semplicemente Sin City 2) sempre tratto dalla serie di Frank Miller. La pre-produzione di quest'ultimo si è svolta nel 2006 mentre la post-produzione e le riprese sono state rinviate da giugno 2007 a giugno 2008[3]. La ragione di questo rinvio risiede negli impegni di Miller e dello stesso Rodriguez per portare sul grande schermo altri due film: Miller si occuperà di The Spirit, mentre Rodriguez di Barbarella, entrambi previsti per il 2008.

    Miller ha smentito le voci che davano una possibile rottura tra i due registi con la Dimension Films dopo il flop con Grindhouse, quindi Sin City 2 è previsto nelle sale per il 2009, sempre diretto dal creatore Frank Miller e da Robert Rodríguez, con il cast confermato ad aprile 2007, in cui figurano nuovi attori, oltre a molti di quelli già presenti nel primo film.

    I principali interpreti saranno Clive Owen, Rosario Dawson, Devon Aoki, Jessica Alba, Rachel Weisz, Brittany Murphy, Mickey Rourke, Michael Madsen, Danny Trejo[4]. I capitoli del film saranno due, ovvero Una Donna per cui uccidere e Un duro addio. Il secondo di questi ritornerà sui fatti del primo film della storia d'amore di Marv e Goldie.

    Angelina Jolie dopo tanti rinvii dovuti alla sua vita privata e alla maternità a dicembre 2006 ha rifiutato la proposta di interpretare in Sin City 2 Ava Lord, al suo posto la produzione ha ingaggiato Rachel Weisz.

    Frank Miller in un'intervista ufficiale su MTV ha confermato che a luglio 2007 si è avviata la pre produzione del terzo film, Sin City: Hell & Back, tratto dalla graphic novel omonima. Ciò anche a causa del ritardo di produzione di Sin City 2. Miller ha confermato che alla regia ci saranno sempre lui e Rodriguez e che a settembre 2007 è stata avviata la ricerca per il nuovo cast. Il creatore della serie ha anche aggiunto che le riprese saranno girate insieme a quelle del secondo film.[5]

    I film dovrebbero uscire nelle sale rispettivamente nel 2009 (Sin City 2) e nel 2010 (Sin City: Hell & Back).

    Per la parte di Wallace, il protagonista principale del terzo film, un giovane artista con allucinazioni, il candidato numero uno potrebbe essere Johnny Depp che da tempo - come ha spiegato Miller - sarebbe interessato ad entrare a far parte del cast. Oltre a Depp pare che nel terzo film potrebbe aggiungersi al cast pure Antonio Banderas anche lui da tempo interessato a entrare nel cast.[6

    Curiosità

    Robert Rodríguez in un'intervista su MTV ha detto che ci sarebbe la possibilità di adattare Sin City al piccolo schermo in una serie a puntate.[senza fonte]
    Frank Miller creatore della serie ha dichiarato in un'intervista che se tutto andrà bene dopo Sin City 2 vorrebbe realizzare uno spin-off su Nancy Callaghan. [senza fonte]
    Alcune scene del film compaiono nel videoclip Good to Me (uscito nel febbraio 2008) del gruppo rap G.unit capitanato dal rapper 50 Cent.

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  13. Al cinema?

    Spielberg: “In pellicola, e sul grande schermo”
    Il grande regista e produttore è molto tradizionalista

    di Piero Nussio

    Desa Philadelphia, intervistatrice della rivista americana Time, ha parlato del futuro del cinema con Steven Spielberg. Il grande regista – e produttore- si è dimostrato molto poco amante del “futuro digitale”, sia come mezzi per girare e montare i film che come strumento di visione casalinga.
    Il creatore dello Squalo e dell’extraterrestre E.T., il regista di Schindler's List e di Salvate il soldato Ryan, il produttore di Jurassic Park, di Ritorno al futuro e di Indiana Jones è un nostalgico degli spezzoni di pellicola intorno al collo e della puzza della celluloide.
    Il sessantenne Spielberg difende il grande cinema, e “la magia sociale” di vedere il film in sala, misurando le proprie reazioni con quelle del resto del pubblico. Ma è anche consapevole che, invece, il futuro che si profila è fatto di macchine da presa e montaggio digitale, smaterializzazione della pellicola e diffusione via satellite, visione per lo più casalinga da DVD...
    Così, mentre il suo amico George Lucas accetta la sfida di Internet e DVD, Steven Spielberg sembra rifiutarlo decisamente. Sono, queste diverse posizioni dei due amici che hanno fatto rinascere la Hollywood degli “Studios”, l’emblema del dubbio in cui si trova oggi tutta l’industria cinematografica mondiale.
    Bisogna lottare contro il “digitale”, l’home cinema e tutto il futuro elettronico, oppure rinascere sotto le nuove spoglie, produrre film per telefonini ed iPod, per un pubblico nuovo e diverso, dimenticando la pellicola e le sale cinematografiche?

    Il futuro del cinema

    Intervista di Desa Philadelphia a Steven Spielberg
    [da Time del 14 marzo 2006]

    Perchè non gira in digitale?

    Sono uno troppo nostalgico per girare i miei film in digitale. Sono rimasto l’ultimo ad Hollywood a fare il montaggio su pellicola. Mi piace proprio il montaggio su pellicola.
    I più grandi film della nostra storia sono stati montati su pellicola, ed io tenacemente ci sono attaccato.
    “È che mi piace proprio di andare in sala moviola, sentire l’odore della fotochimica, e vedere il mio direttore del montaggio con gli spezzoni di pellicola intorno al collo.” È una questione di scelta.
    E mi sembra di rimanere un artigiano che produce con la “lavorazione a mano”.

    E perchè invece dovrà farlo?

    È triste, ma è un tramite di cui ci si dovrà servire inevitabilmente. E penso che la cosa sia proprio appena girato l’angolo. E di certo la Dreamworks si rende conto delle decine di milioni di dollari che si risparmiano nel non stampare cinque, sei, o settemila copie in pellicola 35mm –solo per parlare del mercato USA- di un film di grossa produzione.
    Fra non molto, quando il digitale sarà la regola, i film magari verranno trasmessi via satellite da un qualche deposito di produzione e da lì inviati a migliaia di sale cinematografiche, che risparmieranno milioni di dollari, se si pensa a tutte le case che distribuiscono film ed ai loro costi di laboratorio.
    L’industria ci punta non come una strada per migliorare la qualità, per quanto ci sarà anche questo, ma come un mezzo per risparmiare sui costi.
    Io posso anche essere l’ultimo ad accettarlo, in veste di regista, ma non posso essere l’ultimo ad accettarlo in veste di produttore.

    La nuova tecnologia dividerà gli spettatori?

    La sola cosa che interessi gli spettatori è la storia raccontata, i contenuti, e poi “campane e fischietti”, tutto il rumore che si fa su un film di successo anche prima che sia effettivamente un successo.
    E quindi il pubblico non sarà attirato dalla tecnologia, sarà attirato dalla storia che si racconta.
    E mi auguro che sia sempre così.

    Come reagirà Hollywood alla nuova tecnologia?

    Hollywood a suo tempo ha dato una risposta alla TV, e fu il Cinemascope.
    Ovviamente, non è che abbia fermato quel bestione che è la televisione, ma Hollywood ha sempre avuto una risposta per le esperienze del piccolo schermo, e adesso sempre più registi stanno convertendo i loro film al metodo 3D Imax, e la sale Imax sono quelle che ci fanno uscire di casa.
    La buona notizia sul cinema di oggi è che le case di produzione finanziano dei settori classici più indipendenti, e questo consente che si facciano film che solo cinque anni fa non si sarebbero potuti fare.

    Credete che sarebbe stato possibile fare Brokeback Mountain dieci anni fa?.
    Credete che Capote si sarebbe fatto notare cinque anni fa?

    Io credo che le case cinematografiche stiano permettendo alle loro strutture di produzione classiche di accollarsi dei progetti veramente a rischio.
    Utilizzare dei nuovi registi e dare delle opportunità a gente nuova, a nuovi sceneggiatori. E credo che sia veramente una potente rivoluzione.

    Come vedremo i film nel futuro?

    Credo che alla fine arriveremo ad un punto in cui il pubblico vorrà fare una scelta: andare al cinema e lasciare che il film gli scorra sopra, e poi uscirsene sentendo che un regista di cui hanno fiducia gli ha raccontato una storia veramente buona e che è stata un’esperienza piena di soddisfazione.
    Ma il futuro è anche andare in un cinema che permette al pubblico di essere membri attivi nel processo di costruzione della storia. Penso che il pubblico che si accalca sui videogiochi, che è un’esperienza interattiva, vorrà interagire con i film mentre si stanno svolgendo.
    E ci sarà spazio per ambedue le situazioni. Ci saranno delle storie che faranno decidere il finale al pubblico.
    E in un qualche giorno di un futuro non troppo distante potremo andare al cinema ed il film sarà tutto intorno a noi. Il film starà sopra la testa, ci starà intorno per 360 gradi, ed un pezzetto anche di sotto, ed il sedile avrà dei meccanismi per farlo ruotare, piegarsi all’indietro e portarsi in avanti, avere il controllo completo della poltrona per poter affiancare tutta la parte immaginativa che ci porterà in un viaggio da far scoppiare la testa.
    E mi immagino questo genere di esperienze senza che comunque si perda il racconto.

    La finestra fra la prima del film in sala e la sua pubblicazione in DVD diviene sempre più stretta?

    Sono un po’ triste, perchè quando ho cominciato a fare i film, quando ho fatto I predatori dell’arca perduta, siamo rimasti in sala per un anno.
    Adesso, se fai un grande successo, rimani in sala per tre mesi.
    Credo che ci sia un tale appetito per le varie forme di intrattenimento, che non possiamo fare conto su un grosso pubblico cinematografico che non sia distratto dall’ascoltare l’iPod, dall’usare i videogiochi interattivi, dal guardare la televisione, dall’ascoltare i concerti, o anche solo dall’andarsene a chiacchierare al ristorante.
    La gente non ha voglia di aspettare tutto il tempo fra quando esce un film e quando arriva da Blockbuster, e Hollywood vuole dare ascolto a questa impazienza.
    Anche se io voglio rimarcare che non sono d’accordo che il DVD esca insieme al film nelle sale, perchè sono convinto che i sistemi di home cinema casalinghi sono proprio inferiori a quelli delle sale cinematografiche.
    E poi c’è la magia sociale di uscire per andare al cinema, di vedere il film insieme a un sacco di gente sconosciuta, e l’esperienza condivisa.
    Io non credo che niente possa sostituire il fatto di uscir per vedere un film, che non ci sia niente che gli assomigli.




    Intervista a George Lucas

    Incontro col regista, che sta ultimando "Episode II"

    "Internet apre nuovi orizzonti, ma l'industria ha paura"

    Lucas: "Il mio impero
    di effetti speciali"

    di MARCO R. DELLA CAVA


    NICASIO (California) - George Lucas è a capo di un piccolo impero, molto potente, costruito grazie ai film della serie Guerre stellari e alla Industrial Light & Magic, cui si devono gli effetti speciali di decine di pellicole. La sua base operativa è lo Skywalker Ranch, dove hanno sede la società di postproduzione Skywalker Sound, la Thx (effetti sonori) e varie società collegate. La Ilm, società specializzata in effetti speciali vincitrice di 14 Oscar e in lizza per il prossimo, ha sede in un complesso adiacente e dovrebbe trasferirsi a San Francisco, ma Lucas, divorziato con tre figli adottivi e ora single, continuerà a lavorare dal suo isolamento.

    Quando ha iniziato a lavorare a "Star Wars", nel 1975, avrebbe mai immaginato di poter arrivare così lontano?

    "Assolutamente no. A Hollywood tutte le società specializzate in effetti speciali avevano chiuso bottega e il tentativo di sfondare con un film basato su effetti speciali in quel momento era considerato ridicolo e ingenuo. Ho messo su una squadra di ragazzini, età media 23 anni. Eravamo 3040 persone che si sono messe a fare un film di fantascienza. Non pensavo davvero di poter andare oltre".

    I problemi maggiori?

    "La grossa sfida stava nell'ottenere una certa flessibilità di movimento e di panoramica nelle sequenze con effetti speciali. Era la chiave perché Star Wars funzionasse. In contrapposizione alle lunghe riprese statiche di 2001, Odissea nello spazio, in cui l'azione trapela dal contesto e la telecamera resta fissa, John Dykstra, che lavorava per me, se ne uscì dicendo che potevamo creare una telecamera che riuscisse ad armonizzare i movimenti. Ho sposato quell'idea".

    Quando ha iniziato a pensare di girare in digitale?

    "Ai tempi del primo Guerre stellari avevo la sensazione che si andasse in direzione della tecnologia digitale. Così ho fondato una società di informatica e ho dato incarico ad un gruppo di esperti di sviluppare un certo numero di sistemi da poter utilizzare per trasportare gli effetti speciali in campo digitale. Così è nato Pixar, ad esempio, il sistema di grafica computerizzata usato in Toy Story".

    Che cosa la lega alla serie Star Wars?

    "Non saprei (ride), non è il momento giusto per chiedermelo (nel bel mezzo della produzione di Episode II). Quando ho scritto il primo episodio ero deciso a terminare la trilogia. Poi basta, avevo già l'idea di un prologo e un seguito, però poi ho pensato che avrei finito per fare solo quello e non volevo. Così dopo i primi tre episodi ero pronto a fermarmi. Ho ricominciato con Episode I perché ormai la tecnologia mi consentiva di narrare la storia che avevo sempre voluto raccontare come se stessi scrivendo un libro. Negli altri film dovevo sempre limitarmi per via dei costi e dei problemi tecnici. Volevo raccontare la storia di Darth Vader perché ormai era diventato un'icona e mi stimolava il fatto di potermi muovere nel suo mondo attraverso la tecnologia".

    E' vero che nell'ultimo Star Wars c'è il meglio della Ilm?

    "E' difficile dirlo, oggi è tutto così veloce. Il vero punto di svolta è stato Jurassic Park, prima grande realizzazione della tecnologia digitale. Da allora si sono fatti in realtà solo piccoli passi avanti".

    Pensa che il sempre crescente utilizzo del cosiddetto "sfondo digitale" con gli attori che devono recitare contro uno schermo blu vuoto influenzerà l'arte della recitazione?

    "Tendenzialmente giro i miei film in Inghilterra, e gli attori britannici sono abituati a recitare su un palcoscenico, che poi è come recitare con uno schermo vuoto. Non parlerei di una nuova forma di recitazione, ma piuttosto di un ritorno al palcoscenico. Ma dire che i computer sostituiranno gli attori, è una sciocchezza".

    Non pensa che lo spettatore medio sarebbe sorpreso di sapere in quanti film sono presenti effetti speciali invisibili?

    "Certo. Continuo ad essere sorpreso di incontrare persone intelligenti che dicono: "Sa, il problema di questa roba digitale è che è tutto falso". Beh, è sempre stato tutto falso, che sia una finta facciata in legno o la versione digitale dello stesso edificio. I film non sono realtà. Soprattutto oggi, con tutti i programmi-verità in circolazione è difficile per la gente rendersi conto che un film è una forma d'arte progettata con grande cura e non per caso".

    Pensa che il fascino esercitato da reality-show come Survivor possa segnare una svolta nei desideri degli spettatori?

    "No. La gente vuole da sempre le stesse cose. I programmi-verità ricordano il circo. La gente è sempre andata volentieri al circo, sia che si gettassero uomini in pasto agli orsi, ai leoni o ai gladiatori. Come un incidente stradale, tutti si fermano a guardare. Io lo chiamo "effetto cucciolo sull'autostrada": butta un cucciolo in mezzo ad un'autostrada e filmalo. Molto drammatico, la gente vorrà vederlo per sempre".

    E questo per lei non significa cadere in basso?

    "No, penso che siamo in basso da 10.000 anni. Non è mai cambiato nulla e mai cambierà. Shakespeare ha corteggiato questi bassi istinti, a suo modo, naturalmente. Se vuoi raccontare una storia hai a che fare con il dramma e, non importa come vuoi narrarla, hai per forza a che fare con un minimo di basso profilo, di circo, accanto agli alti ideali e alle interessanti intuizioni circa la condizione umana".

    Si è parlato della possibilità di far tornare sullo schermo attori del passato in forma digitale. Che ne direbbe di John Wayne interprete del prossimo Indiana Jones?

    "In ogni settore c'è sempre un gruppo di persone che non è creativo come sperabile. E' questa la gente che cerca di far risorgere il passato. A parte la trovata pubblicitaria, non credo che oggi un produttore possa voler riportare John Wayne sullo schermo. Un gruppo di animatori digitali potrà anche ricreare leggende del genere ma non sarà comunque in grado di tirarne fuori prestazioni reali, perché si tratta di talenti unici".

    Che ruolo avrà Internet nella produzione dei film?

    "La banda larga ci aprirà nuovi orizzonti. Il problema sarà pagare il conto, come per Napster. Si possono anche fare piccoli film gratuiti, ma i film più importanti comportano spese che vanno coperte. La gente accetterà di dover pagare per le cose che vedrà in rete".

    E qual è la reazione di Hollywood?

    "Attualmente chi controlla l'industria cinematografica è terrorizzato di perdere spettatori paganti ed è privo di immaginazione. Così che cosa abbiamo? Esattamente quello che abbiamo già visto".


    (Copyright Usa Today/La Repubblica - Traduzione di Emi Benghi)

    (13 marzo 2001)

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  14. L'uso del digitale nel cinema italiano

    Ad un esame, anche sommario, sul totale della produzione cinematografica nostrana, risulta subito evidente quanto poco successo abbia riscosso l'utilizzo degli effetti speciali, soprattutto se paragonato alla produzione made in USA.
    Infatti, a differenza dei cineasti statunitensi che, proverbialmente intenti a confezionare film spettacolari, hanno impiegato tempo ed energie nella ricerca di soluzioni sempre più sofisticate, tra i nostri registi e produttori fino a pochi anni fa -e in parte tuttora- la concezione dominante è stata quella di impronta neorealista, che trova in Ettore Scola uno dei più accaniti sostenitori.
    Il motto di questa corrente artistica sostiene che in un film il regista debba "Parlare del portiere di casa"; ora, con questa forma mentis dalle sembianze vagamente tradizionaliste, in che modo il cinema italiano avrebbe potuto adeguarsi al cammino innovativo e sperimentale - in senso tecnologico- intrapreso negli Stati Uniti? Come sarebbe stato possibile giustificare il ricorso ad un qualunque tipo di effetto speciale, che altro non è che un'alterazione intenzionale del reale?
    Quei pochi pionieri che nel nostro paese hanno scelto la strada della trasgressione, comunque, non hanno potuto -per l'indifferenza del mondo dello spettacolo- o saputo distaccarsi da una concezione statica, primitiva, dell'idea di effetto speciale.
    Il risultato di questo insieme di circostanze sfavorevoli è stato l'impiego di trucchi artigianali, semplificati all'estremo, cristallizzati in uno stato e affatto destinati all'evoluzione: gli 'esperti' di effetti speciali si sono arrangiati con ghiaccio secco, modellini e trippa (per gli horror).
    Soltanto a partire dalla seconda metà degli anni '70 inizia faticosamente la formazione di un gruppo di veri esperti truccatori ed effettisti, costretti però ad esportare all'estero il loro talento; fra questi possiamo ricordare Carlo Rambaldi, Giannetto de Rossi e Sergio Stivaletti.
    I loro contributi nel cinema italiano, riportati qui di seguito, si contano oggi sulle dita di una mano, e sono rimasti limitati al genere horror e fantascientifico.

    Breve rassegna

    * Nel 1958 Paolo Heusch dirige La morte viene dallo spazio, il primo film di fantascienza girato in Italia; la fotografia e gli effetti speciali sono di Mario Bava.

    * Nel 1963 esce Omicron, per la regia di Ugo Gregoretti, un singolare racconto in cui la fantascienza si integra alla contestazione dell'organizzazione capitalistica. Nel 1964 è stato premiato come Miglior Film al Festival del film umoristico di Bordighera.
    * Nel 1964 Tinto Brass presenta Il disco volante: in realtà l'elemento di science fiction (un disco volante che atterra presso Asolo) è uno spunto per mettere in scena una banale satira sui vizi della provincia veneta.
    * Nel 1965 è la volta di Elio Petri con La decima vittima, la cui sceneggiatura è tratta dal racconto di R. Sheckleg. Nel cast figurano come protagonisti Marcello Mastroianni e Ursula Andress.
    * Nel 1978 Luigi Cozzi dirige Starcrash-Scontri stellari oltre la terza dimensione, imitazione di Guerre Stellari prodotto con capitali Usa e firmato dal regista con lo pseudonimo di Lewis Coates. Girato a Cinecittà con la partecipazione di alcuni tecnici italiani, negli Usa ha incassato molto bene.
    Impiego del digitale in Italia

    Soltanto in tempi recenti, a seguito delle grandissime trasformazioni occorse nell'industria cinematografica mondiale con l'introduzione degli interventi digitali in post-produzione, il mercato italiano sembra tentare i primi passi verso un progressivo -seppur lento- adeguamento.

    Il bisogno di definire un campo di autonomia rispetto alle issues più trite del cinema americano è rimasto comunque uno dei tratti più marcati della nostra produzione cinematografica.
    Se negli Stati Uniti il ricorso ad interventi in post-produzione gioca un ruolo primario sul piano della spettacolarità e della suggestione, in un'Italia ancora legata alla tradizione la tendenza sembra all'inverso quella di limitarne al massimo l'impiego e la visibilità: il ricorso all'effetto digitale è consentito solo nei casi in cui questo contribuisca a ridurre i costi e le difficoltà di filmare alcune riprese. Ad ogni modo, la sua 'invisibilità' è una prerogativa ineludibile.
    Per quanto riguarda il primo incontro tra industria cinematografica e visual effects, è d'obbligo citare Ritorno in casa Gori, divertente commedia di Alessandro Benvenuti: nelle scene finali assistiamo, quasi senza rendercene conto -la sequenza è infatti nulla se paragonata alle 'americanate' cui ormai siamo avvezzi- al primo intervento in post-produzione mai realizzato su una pellicola italiana. Lo spirito di Adele (Ilaria Occhini) volteggia sopra le teste degli altri protagonisti attoniti. Artefice del miracolo è la Proxima.
    In seguito a questo primo tentativo inizia timidamente a farsi strada il desiderio di sperimentare le nuove tecnologie che, da interesse esclusivo del mercato pubblicitario, si estende -pur senza superare i limiti della pura curiosità- ad alcuni registi e case di produzione.
    Nel 1996 Gabriele Salvatores tenta la rottura dallo schema tradizionale della commedia all'italiana girando Nirvana, il capolavoro che, con 17 miliardi di investimento e 80 sequenze digitali, getta le basi per un deciso processo di avvicinamento agli standard di produzione mondiali.
    Gli effetti sono stati realizzati dalla Digitalia Graphics, azienda leader in questo settore del mercato italiano, autrice di numerosi successi cinematografici e pubblicitari.
    La presentazione di Nirvana e l'enorme successo nazionale ed estero hanno innescato un rapido processo di avvicinamento tra le nuove tecnologie ed il mondo del cinema: anche i più scettici sostenitori del valore della tradizione hanno dovuto ridimensionare il loro atteggiamento di diffidenza, o almeno si sono trovati costretti a fronteggiare una realtà che in precedenza si ostinavano ad ignorare.
    I più autorevoli personaggi del panorama culturale italiano sono stati chiamati ad esprimere opinioni sulla possibilità di un connubio tra cinema e multimedialità: a tale scopo sono state organizzate varie giornate di incontri (Montecarlo Imagina e Cinecittà).
    La Camera di Commercio di Milano -sede delle più importanti imprese nazionali nel settore della multimedialità- ha promosso il Progetto DIMMI, nell'ambito del quale sono state realizzate alcune importanti iniziative.
    Successivi contributi alla realizzazione di film per il cinema sono stati apportati ancora dalla Proxima in Fuochi d'artificio di Leonardo Pieraccioni (le scene in questione sono due: il fulmine che colpisce Ceccherini ed i razzi delle scene finali) e Ovosodo di Paolo Virzì (ricostruzione digitale di una veduta panoramica) e dalla Digitalia in Porzus di Renzo Martinelli (1998; tramite accurati interventi di morphing i flashback dei protagonisti vengono resi più verosimili) e ne I piccoli maestri di Daniele Lucchetti (in programmazione; si tratta prevalentemente di contributi scenografici) .
    Recentemente, Cinecittà ha compiuto un importante passo di avvicinamento alle nuove tecnologie investendo diversi miliardi nell'acquisto di sofisticati macchinari (laser scanner e recorder Cineon Kodak per il trattamento delle pellicole e multiprocessori Onyx per il restauro delle pellicole): attualmente negli studios è in fase di programmazione il prossimo film di Giuseppe Tornatore, La leggenda del pianista sull'oceano, in cui verranno inseriti alcuni interventi realizzati dalla Proxima e dalla Zed VFX.

    http://xoomer.virgilio.it/liciabar/informatica/pag3.htm

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  15. Il digitale e la tecnica influenzano il risultato?
    di Carlo Macchiavello

    Di recente ho realizzato un paio di cortometraggi con amici, dopo quasi 10 anni dal mio ultimo cortometraggio, un’esperienza interessante e molto istruttiva.
    Queste giornate di pre e post corti mi hanno fatto riflettere molto e dopo aver fatto alcune discussioni con tante persone, alcuni appassionati di cinema, altri di effetti speciali e così via, mi sono sorte alcune perplessità di fronte a luoghi comuni e leggende metropolitane nate e cresciute intorno al cinema e non solo.
    Una delle discussioni più accese è nata dal fatto che abbiamo realizzato i cortometraggi in video, e non in pellicola, con tutte le sue conseguenze.
    In molte persone è ancora vivo il concetto che la pellicola è cinema e il video (che sia digitale come il dv, o sistemi analogici) è televisivo quindi comunque non di qualità, non bello da vedere o narrativamente valido.
    A loro prova hanno portato alcuni film recenti, come gli ultimi due episodi di Guerre Stellari, Spy Kids 3, SkyCaptain and World of Tomorrow e altri film dove sono state usate solo Cineprese Digitali e sono state fatte pesanti postproduzioni.
    La loro asserzione era che data la ripresa in digitale i film erano più freddi e brutti che altri usciti nello stesso periodo e ripresi in pellicola.
    Questi film hanno una struttura e una scelta estetica ben precisa e studiata a tavolino, perchè orientati ad un target ben preciso, che preferisce film con una certa nitidezza, con un certo tipo di inquadrature, e determinati movimenti di macchina.
    Questi prodotti sono stati pensati per un target molto giovane, che gioca molto e vede in un certo modo le immagini; da appassionato di cinema tradizionale mi hanno colpito il grande numero di piani sequenza molto lunghi, i virtuosismi classici da videogioco, una profondità di campo esaltata ed esasperata in modo da assomigliare ai videogame (cosa ancora più più evidente nei film di Lucas, che praticamente sono indistinguibili dai videogame ispirati, tranne che per il livello di dettaglio).
    Questi elementi non sono causati dalla ripresa digitale, ma da una scelta produttiva ben precisa, infatti un film recente molto bello è The Company di Robert Altman, grande regista della vecchia guardia, che ha girato in digitale tutto il film, ma la resa è quella dei film tradizionali, perchè quella era la resa che interessava ad Altman.
    Oppure prendiamo ad esempio un film più vecchio e addirittura girato in DVCAM e poi riportato in pellicola, 28 giorni dopo di Danny Boyle, questo film è completamente girato in video, tranne la sequenza finale, perché l’autore voleva cambiare completamente la percezione del finale.
    Per molte persone è un film tradizionale, e prima di saperlo, non avrebbero mai detto che era stato girato con il tanto temuto digitale.
    Spesso parlo in rete e incontro altri appassionati di cinema, che girano cortometraggi e hanno come ossessione quella di ottenere l’effetto cinematografico, la resa cinematografica rielaborando i filmati, aggiungendo filtri, manipolando le riprese, facendo mille trucchi e magie, ma insoddisfatti continuano a dare la colpa al mezzo.
    Parlando con tante persone mi sono accorto che trattando il video e il digitale in particolare, con tutte le sue possibilità e facilità di manipolazione, tendono a curare meno la fase di produzione e ripresa, pensando che poi tutta la magia venga fatta davanti al computer, con chissà quali mezzi segreti, o quali strumenti proprietari.
    Tutto questo mi ha fatto pensare, e riflettere su come il digitale ha dato la possibilità di riprendere, fotografare, riprodurre e stampare senza fatica a milioni di persone, ma allo stesso tempo li ha convinti del fatto che sia facile premere un bottone e fare… ma cosa?
    Si è sviluppato il concetto che sia altrettanto facile ottenere un risultato uguale a quello del cinema o dei grandi fotografi, o grandi artisti, avendo semplicemente attrezzature più professionali, senza fatica, senza preparazione, senza studio e dura fatica dietro.
    Quando si realizza un film ci sono dietro decine se non centinaia di persone, decine di professionalità che curano ogni minimo dettaglio, e fanno un lavoro invisibile senza il quale non potremmo vedere e apprezzare quelle meraviglie che ci fanno divertire, piangere, sognare ogni volta che siamo nella sala, in camera oscura, o semplicemente ci godiamo un film a casa, quindi illudersi che sia stato possibile rinchiudere dietro un bottone così tante esperienze è inutile.
    Prendiamo un esempio semplice: scattare una fotografia.
    Da sempre c’è una forte diatriba, adesso rinnovata con il digitale, secondo la quale solo i professionisti hanno accesso a macchine di un certo livello e quindi solo loro possono scattare belle fotografie.
    Il digitale, con l’abbassamento dei costi e con la possibilità di scattare un numero praticamente infinito di foto, ha dato la possibilità di imparare e migliorare la propria tecnica alla velocità della luce, ma questo non basta, continuo a incontrare persone che imputano alla macchina il fatto che le fotografie non vengano bene. Il fatto che loro si sia presi cura di quello che facevano, ma hanno solo premuto il bottone non li ha neanche sfiorati per un momento.
    la stessa cosa accade con le telecamere digitali, la maggior parte dei videoamatori sono convinti che se avessero una macchina migliore potrebbero fare quello che fanno i professionisti, mentre se non hanno la tal macchina o la tal funzione non hanno modo di ottenere un buon risultato.

    Nessuno viene sfiorato dall’idea di curare la composizione, l’inquadratura, guardare bene il soggetto, curare la luce, il controluce, il contrasto dell’immagine, il modo con cui si muove la macchina da presa o si costruisce l’inquadratura per piani.
    Una volta la pellicola aveva un costo (dalla semplice 8 mm e super8 alla più professionale 16mm che usavano molti amatori per i prodotti più evoluti), e questo mezzo dava dei vincoli economici, di tempo, di lavoro (dal contrasto all’esposizione, al tipo di ripresa effettuabile), agli ingombri e molto altro ancora.
    Questo portava a :
    - studiare le inquadrature, perché ripeterle all’infinito significava tanta spesa di pellicola e di sviluppo, oltre che tanto materiale da scegliere e montare in bobine di pellicola.
    - curare le luci, perché il contrasto eccessivo non poteva essere impressionato decentemente e il risultato era inguardabile.
    - curare gli stacchi perché non si potevano fare mille effetti speciali da un’inquadratura all’altra, e quindi tutto era più curato.
    - ponderare ogni scelta, non lasciandola al caso.
    - la sintesi e il montaggio era curato e non si metteva nulla di non necessario alla storia.
    Insomma la necessità aguzzava l’ingegno, mentre ora la possibilità di correggere le riprese, la possibilità di girare il materiale a costo zero o quasi, porta alla trascuratezza, al pressapochismo che spesso viene giustificato dai mezzi non professionali.
    Quindi la domanda che mi pongo è: la tecnologia libera o limita gli autori?
    Da una parte ha dato la possibilità a molte persone di realizzare cose che prima non avrebbero mai potuto creare senza, con costi accessibili a tutti, e allo stesso tempo ha creato una massa di prodotti piatti, senz’anima, che hanno travolto e in parte nascosto prodotti più belli e interessanti.
    Sono di più i vantaggi o gli svantaggi?

    http://www.cgitalia.it/2006/10/30/il-digitale-e-la-tecnica-influenzano-il-risultato/

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  16. Ettore Pasculli: una carriera full digital

    (Cutro, 5 aprile 1950,è un regista italiano ed è considerato uno dei padri storici del cinema digitale italiano.Laureato in Architettura, comincia molto presto ad interessarsi di cinema. Lavora a lungo a Cinecittà, dove assume l’incarico per le tecnologie cinematografiche avanzate ed è programmista regista per la RAI.
    Tra i suoi film: Fuga dal Paradiso (1990), Ultimo confine (1994), La Fabbrica del Vapore (1999, primo lungometraggio digitale italiano), Goliath, la bestia umana (2003).
    Ha diretto Il Viaggio (2005) e il restauro de L’Inferno, primo kolossal ad effetti speciali nella storia del cinema muto mondiale. È autore anche di svariate pubblicazioni sul cinema e sulla sua tecnica, come Il cinema dell’ingegno (Mazzotta Ed. 1990), Il grande cinema europeo (Mazzotta Ed.1992), Milano cinema prodigio - Cento anni di cinema a Milano (Ed. Canal-I Nodi, 1998). Nel 2005 ha diretto il medio-metraggio in digitale Al di là del vetro, episodio pilota di una serie ambientata nel contesto degli scambi internazionali e delle grandi Fiere.
    Le ultime opere sono il film digitale L'amico segreto in collaborazione di Fise, Apice e San Patrignano e Il tredicesimo uomo, film promosso dalla FIGC riguardante le tematiche legate ai valori e alle deviazioni del calcio italiano). http://it.wikipedia.org/wiki/Ettore_Pasculli

    È stato proiettato in anteprima, nel maestoso auditorium del nuovo polo fieristico di Milano, il film di Ettore Pasculli “Aldilà del vetro”, prodotto dalla Expo&Media Comunications.
    Il film è stato intermente girato in alta definizione digitale con la telecamera Panasonic AJ-HDC27FE. Il risultato raggiunto da Pasculli con la nuova tecnologia non ha nulla da invidiare ai film girati con la ormai consueta cinepresa, ma molte sono le domande che ci siamo posti relativamente all’uso di uno strumento, per certi aspetti, molto diverso da quelli solitamente usati.
    Abbiamo avuto la fortuna di poter girare direttamente al regista tali domande:

    Quali sono gli aspetti positivi riscontrati nell’utilizzo di un nuovo strumento come la telecamera digitale HD della Panasonic per la realizzazione del suo film ?
    Sono la leggerezza, la versatilità, la maneggevolezza e la semplicità oltre al basso costo. Inoltre
    il supporto sul quale si registra l’immagine è una cassettina grande come un pacchetto di sigarette che costa un decimo di un rullo di pellicola, ciò significa che oggi con 1.000 Euro si possono comprare 25 ore di materiale per fare un film e il costo di noleggio o di acquisto di una telecamera digitale adeguata corrisponde a un decimo del costo di una normale cinepresa.

    È corretto dire che la qualità dell’immagine digitale non è paragonabile a quella di una pellicola?
    È corretto. Quando si parla di pellicola s’intende uno standard medio che è il 35 mm, tuttavia, se si dovesse fare un confronto, nemmeno il cinema che conosciamo offre il massimo della qualità. Basterebbe girare a 70mm, come alcuni cineasti hanno fatto in passato, vedi Bertolucci, il primo è stato Hitchcock e la qualità sarebbe ancora superiore. Ma il problema maggiore non è la qualità in assoluto, ma il compromesso tra una necessità espressiva e la possibilità che questa si realizzi. Ora con il digitale ciò è possibile, con la pellicola purtroppo no, perché la pellicola ancora oggi consegna in mano a dei potentissimi trust il monopolio della produzione; il digitale invece liberalizza questo meccanismo e permette sicuramente una polverizzazione della produzione.
    Il passo successivo che può scardinare definitivamente il settore anche dal punto di vista merceologico è la distribuzione. La bada larga di rete e il conseguente aumento dei volumi che si possono scaricare nei computer sicuramente scardineranno in pochi anni tutti i vecchi meccanismi.

    Quanto l’utilizzo di questa nuova tecnologia può influire sui contenuti ?
    Sicuramente questa innovazione, che è nella sua fase “infantile”, può favorire la nascita di nuove forme espressive, di nuovi linguaggi e di nuove storie. Sarebbe uno spreco utilizzarla per rendere più economico stili e generi che ormai mostrano il segno del tempo. La difficoltà sta nell’inventare nuove storie in un rapporto più stretto col territorio, che indaghino in profondità la vita nei luoghi in cui si vive, ma con maggiore autenticità.

    La cinepresa, ormai non ha più segreti e così come il pennello e i colori per il pittore permette, se ben usata, di dare massimo sfogo alla creatività dell’artista. La nuova tecnologia digitale permette la stessa creatività?
    Ritengo che la nuova tecnologia digitale possa dare molto, molto di più, infinitamente di più.

    Con la cinepresa tradizionale si è obbligati a passaggi chimico fisici di laboratorio: praticamente ci sono dei tecnici che si frappongono tra il regista e il risultato e non è cosa da poco. In tutti i film che ho realizzato con pellicola, per trovare il cromatismo giusto, la gradazione giusta sono dovuto letteralmente impazzire, affidandomi comunque sempre all’esperienza e alla tecnica di specialisti.
    Con la nuova tecnologia digitale si recupera la dimensione artigianale non solo artistica in quanto il regista realizza direttamente il montaggio utilizzando piccoli software di costo limitato, intervenendo e manipolando l’immagine a suo uso e consumo. Il problema è opposto: sono così numerose le possibilità d’intervento che è facile cadere nell’esercizio tecnico gratuito. Bisogna avere una tale consapevolezza stilistica, una tale coerenza e fermezza artistica da rinunciare all’uso smodato delle possibilità che vengono offerte dalla nuova tecnologia per non entrare in un vortice caotico che alla fine danneggia più che favorire. L’alchimia degli elementi è tale e tanta da poter trovare soluzioni infinite davanti a qualsiasi problema.

    Quali difficoltà ha trovato e quanto tempo ha impiegato per imparare ad usare la telecamera digitale Panasonic?
    Lo strumento è semplice in sé. Chiunque può usare la telecamera senza bisogno dell’operatore. Io sono stato avvantaggiato in quanto ho sempre lavorato sugli effetti speciali nel cinema e quindi ero già a conoscenza di tutti i meccanismi, una volta imparato ad usare il software tutto è stato semplicissimo. L’ultimo film, girato a S. Patrignano sul tema del doping nello sport equestre, l’ho montato in un mese, con un grado di elaborazione estremamente complessa e sofisticata. Quindi la semplicità dell’apprendimento dell’uso dello strumento è parte integrante di questa innovazione.

    Come si pone la figura dell’operatore con l’avvento della tecnologia digitale, così facilmente utilizzabile? È sempre un collaboratore indispensabile alla buona riuscita del film?
    L’operatore oggi non si limita a venire sul set con l’esposimetro e dosare la luce; da questo punto di vista è facilitato in quanto può controllare sul monitor immediatamente quello che uscirà, non deve aspettare il giorno successivo per sapere quello che si è girato il giorno prima, ma partecipa in maniera più globale al progetto e meno alla fase specialistica del set. Quindi l’operatore collabora con il regista a tutta la fase di color correction nel computer. Lui non tocca niente, però interviene sempre insieme al regista su tutta la gradazione, il bilanciamento delle scene, sulla colorimetria e tutta la parte fotografica che in buona misura viene integrata nella fase successiva.

    Quindi ritiene di usare ancora questa tecnologia, anche se sicuramente può essere ulteriormente migliorata?
    Il nuovo film appena terminato l’ho girato con telecamera HD, ma va detto che il primo film lungometraggio della storia del cinema italiano girato in digitale lo fatto io: con una semplice DV nel 1999. Sono passati sette anni e la tecnologia ha fatto passi da gigante: ci sono state tre fasi di rivoluzione; ora siamo arrivati all’alta definizione, il prossimo passo sarà l’alta definizione non compressa a 2, 3, 4 K. Ormai il problema della capacità tecnica di uguagliare o addirittura superare la pellicola non esiste più: è solo un problema merceologico di ammortamento degli investimenti delle aziende, ma sul piano tecnologico la pellicola può essere mandata tranquillamente in soffitta e senza alcun tipo di rimpianto… Anzi con una grande soddisfazione, in quanto questa nuova tecnologia apre spazi, apre opportunità, ad esempio in luoghi dove tradizionalmente non si riesce a fare il cinema - vedi Milano-, in reti che non hanno capacità di grandi investimenti per le fiction, come ho fatto io con la RAI della Val d’Aosta e come fanno altri. Penso soprattutto ai giovani, che prima dovevano vagare con la sceneggiatura del loro “corto”sotto braccio anche per anni prima che qualcuno si accorgesse di loro, oggi invece girano un’opera “vera” e si può vedere subito se c’è del talento o meno. L’innovazione tecnologica, la creazione di storie nuove, la produzione in luoghi nuovi, le nuove possibilità che si aprono ai giovani: direi che meglio di così non si può sperare per il futuro del cinema italiano, grazie alla nuova tecnologia digitale HD. (Aldo Besozzi)
    http://www.broadcast.it/BeP/Rivista/2006/2006_5/news2.htm

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  17. Il cinema passa al digitale
    Si sente spesso parlare di cinema digitale, espressione a volte impropriamente associata ai film d’animazione oppure che fanno largo uso di effetti speciali realizzati al computer; in realtà si tratta dell’uso della tecnologia digitale nell’intero processo produttivo cinematografico: registrazione del flusso audiovisivo, archiviazione, post-produzione, distribuzione e infine proiezione del film nelle sale. Questo nuovo sistema non prevede più che i film vengano registrati sulla classica pellicola, bensì, grazie alle moderne cineprese, che suoni e immagini siano archiviati direttamente in formato digitale su un supporto fisico, come un hard disk.
    I vantaggi di questa nuova tecnologia sono soprattutto economici: l’archiviazione su supporti digitali è infatti meno costosa rispetto alla pellicola e permette di migliorare e velocizzare tutto il processo di montaggio e soprattutto di distribuzione dei film. Non è infatti più necessario creare centinaia di copie fisiche della pellicola, in quanto il film può essere consegnato alle sale cinematografiche direttamente in forma di file. Inoltre, mentre le pellicole convenzionali si degradano, i supporti digitali garantiscono una qualità costante, come pure tecniche antipirateria più sicure.
    Tuttavia, anche se un film viene interamente registrato e montato in digitale, spesso per poter essere proiettato nei cinema necessita comunque una riconversione su pellicola, in quanto la maggior parte delle sale utilizzano ancora il classico proiettore analogico. In Ticino ad esempio ancora nessun cinema si è dotato di proiettori digitali, in quanto per ottenere una qualità visiva paragonabile a quella della pellicola sono necessarie apparecchiature estremamente costose. In fondo, si tratta di un investimento che porta più benefici alle case di distribuzione piuttosto che ai gestori delle sale.
    Fonte:
    http://www.rsi.ch/home/channels/techscienze/nuovetecnologie/2009/03/11/cinema-digitale.html

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  18. Il cinema digitale, chiamato anche D-Cinema, è ormai una realtà anche in Italia. Nonostante il notevole ritardo con cui le nuove tecnologie digitali si stanno introducendo nel nostro paese, iniziano a comparire sul mercato i primi prodotti cinematografici italiani in digitale. E` il caso di Stefano Landini, regista e autore romano che ha realizzato il primo film italiano interamente in digitale 2k non compresso. Cinemonitor lo ha intervistato per raccogliere la sua testimonianza sull`utilizzo delle nuove tecnologie nella produzione del suo ultimo lungometraggio “7/8(setteottavi)”,vincitore della 61^ edizione del Festival del Cinema di Salerno come Miglior Film Indipendente. E` un film in costume che racconta la censura, l`ostracismo e la diffidenza che circondavano i musicisti e gli attori del mondo del jazz in Italia durante l`epoca fascista.


    Il cinema digitale, chiamato anche D-Cinema, è ormai una realtà anche in Italia. Nonostante il notevole ritardo con cui le nuove tecnologie digitali si stanno introducendo nel nostro paese, iniziano a comparire sul mercato i primi prodotti cinematografici italiani in digitale. E` il caso di Stefano Landini, regista e autore romano che ha realizzato il primo film italiano interamente in digitale 2k non compresso. Cinemonitor lo ha intervistato per raccogliere la sua testimonianza sull`utilizzo delle nuove tecnologie nella produzione del suo ultimo lungometraggio “7/8(setteottavi)”,vincitore della 61^ edizione del Festival del Cinema di Salerno come Miglior Film Indipendente. E` un film in costume che racconta la censura, l`ostracismo e la diffidenza che circondavano i musicisti e gli attori del mondo del jazz in Italia durante l`epoca fascista.




    Parte I

    1) Parlaci del tuo film 7/8 e di com`è nato questo progetto

    Dunque, 7/8 è un film che nasce con la collaborazione della Film Commission e nasce come film d`interesse culturale presso il Ministero dei Beni e le Attività Culturali, il famoso Art. 8, famoso nel bene o nel male, in questo caso devo dire nel bene, perché i soldi che sono stati dati dal Ministero erano pochi, ma sono stati tutti restituiti.
    E` un progetto che riguarda una serie di vicende realmente avvenute negli anni 40, quindi una scommessa difficile perché si tratta di un film in costume, e fare un film in costume con un budget basso è comunque molto difficile. Io sono soddisfatto del risultato finale, non è stato facile portalo a termine e molto spesso abbiamo temuto di non farcela.
    Naturalmente si cono state, come spesso accade nella lavorazione di film piccoli, dei miracoli, uno di questi miracoli si chiama Paolo Fresu, che è un grandissimo artista, autore della colonna sonora, su cui si basa gran parte del film stesso, quindi è in qualche modo il primo film italiano sul Jazz. Anche se ci sono stati dei precedenti, come i film di Pupi Avati, dove la colonna sonora jazz aveva una parte preponderante, però ho riscontrato che soprattutto gli amanti del jazz hanno apprezzato molto questo film, perché è un po` un referente anche per loro, ed è anche giusto che anche loro avessero il proprio film.

    2) 7/8 è il primo e unico film italiano che rispecchia le Specifiche DCI, cosa ti ha portato a fare questa scelta?

    Inizialmente pensavamo di girare il film in pellicola, io vengo dal mondo dei cortometraggi, sono circa vent`anni che realizzo cortometraggi in pellicola, sia in 35mm e poi anche in super16mm, e poi di nuovo in 35mm, perché mi sono diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia nel lontano 1990. Sono entrato nel 1988, e da lì in poi ho realizzato tutta una serie di cortometraggi, documentari e altre cose, spesso in pellicola. Il video è arrivato dopo. Io ho 45 anni e la mia generazione non è quella del video digitale, sono arrivato dopo al video, quindi la sfida di iniziare un lavoro in un modo in cui in Italia nessun` altro aveva potuto fare era una sfida forte, un` incoraggiamento in qualche modo. Una grande curiosità che mi ha portato, già da diversi anni, a testare tutti i sistemi digitali. Considerando che ormai il film è stato realizzato da quasi tre anni per quanto riguarda la parte tecnica, e se vogliamo essere appunto un po` più tecnici per gli addetti ai lavori, abbiamo tesato sia la Red che la CineAlta , e tutte le camere che in quel momento, anche se sono passati degli anni, e ci sono state delle evoluzioni, erano il non-plusultra della tecnologia digitale per quanto riguarda l`alta definizione vera.

    3) Il tuo film è stato vincitore della 61ma edizione del Festival del Cinema di Salerno. Credi che sia stato scelto di premiare le caratteristiche tecniche o i contenuti?

    7/8 ha vinto la 61ma edizione del Festival del Cinema di Salerno, un Festival poco conosciuto per i non addetti ai lavori, io stesso non sapevo che è il secondo Festival italiano per quanto riguarda l`anzianità; il primo è il Festival del Cinema di Venezia, e poi al terzo posto c`è il Torino Film Festival.
    Il film è stato valutato principalmente per quanto riguarda i suoi contenuti, cioè raccontare una storia di esigenza di libertà durante un periodo di limitazioni di libertà; ricordo che il mio film è ambientato durante il fascismo, e il collegamento a una serie di personaggi realmente vissuti, come il musicologo Massimo Mila, e altri personaggi, musicisti, jazzisti, che non solo a Torino, ma anche nel resto dell`Italia vennero arrestati perché suonavano Jazz contro le disposizioni di Mussolini.
    Credo che il premio come miglior film indipendente alla 61ma edizione del Festival di Salerno sia nato dall`esigenza di far emergere la necessità di raccontare attraverso il cinema questo tipo di problematiche che francamente mi sembrano attualissime.

    Parte II

    4) Vantaggi e svantaggi del girare un film in digitale

    Girare un film in 2k, seguendo le specifiche DCI, che molto probabilmente tra pochi anni saranno obbligatorie anche in Italia, e sostituiranno definitivamente la pellicola, presentava degli enormi svantaggi. Innanzitutto perché 7/8 in assoluto è stato il primo film che si avvaleva di questa tecnica, e francamente adesso tirando un po` le somme, girarlo in 35mm sarebbe costato di meno. In ogni caso a necessità di sperimentare nuove tecnologie, la curiosità che credo sia un fattore importante per un filmaker vero, naturalmente senza mai dimenticare l`aspetto del contenuto del film. Si può girare tranquillamente qualcosa di straordinario dal punto di vista tecnologico, dove però gli attori non siano convincenti, la storia non sia convincente, e la colonna sonora, come in questo caso, non sia convincente.

    Cinemonitor: Quindi un giusto mix di questi elementi?

    Si, credo che non bisogna assolutamente farsi prendere troppo la mano dalla tecnologia. Bisogna dare alla tecnologia il giusto spazio, sapere che la tecnologia è uno strumento per consentire agli autori di esprimersi.
    Poi, soprattutto chi ha fatto una scuola di cinema importante come il Centro Sperimentale di Cinematografia, o altre scuole di cinema fuori dall`Italia, sa benissimo che quello che conta è il contenuto all`interno del film, indipendentemente che il film venga girato con una piccola camera o piuttosto che da una grande troupe. Il linguaggio è importante, ma non deve prendere troppo la mano.


    5) Come hai affrontato il problema della distribuzione e dell`archiviazione del tuo film?


    Il primo svantaggio che presenta un film realizzato con tecnologia assolutamente nuova per il proprio paese è naturalmente quello che riguarda la distribuzione di questo film. In Italia ci troviamo, in questo momento preciso, di fronte a due strade da seguire; un cinema indipendente che utilizza le nuove tecnologie digitali da una cinematografia molto d`assalto, di autori spesso improvvisati che non vengono da scuole di cinema, e non hanno esperienza, ma che hanno il diritto di esprimersi, perché comunque è un paese democratico, ma molto spesso i prodotti di questi filmaker più o meno improvvisati deludono, e quindi, in un certo senso posso anche capire le distribuzioni che non vogliono questi prodotti. Però è anche vero che le distribuzioni, molto spesso in Italia, sono una vera e propria lobby, non ho problemi a dichiararlo visto che passo gran parte del mio tempo a bussare le porte di praticamente tutti i distributori italiani, cercando, non solo per 7/8, ma anche per altri film e molti altri cortometraggi che ho realizzato, di trovare una collocazione degna. L`altra sponda è quella del cinema ufficiale,della distribuzione ufficiale, che quasi sempre è in pellicola, al di là dei contenuti, parliamo solo dell`aspetto tecnico. Però quando si realizza un film e si vuole portare fino all`ultimo anello della catena produttiva, il cosiddetto workflow, il fatto che il film debba restare in digitale, allora anche questa è una scommessa molto difficile da vincere. Noi l`abbiamo vinta in qualche modo, in maniera piccola, però disseminata su tutto il territorio italiano. Io sono di Roma e naturalmente ho grande rammarico del fatto che Roma non ha ben recepito questo discorso. In altre città italiane il film è uscito regolarmente nelle sale e ha avuto la sua distribuzione, e, devo dire un` ottimo riscontro di pubblico, ha fatto dei veri e propri pienoni e degli incassi anche abbastanza buoni.


    6) Quali sono i tuoi progetti futuri? Continuerai a scommettere sulle nuove tecnologie?

    Io credo che comunque il fatto di utilizzare delle nuove tecnologie sia uno stimolo in più, che non deve far trascurare il contenuto del film, e per quanto mi riguarda, oltre a essere una strada all`assenza di budget molto tangibile della produzione italiana, dovrebbe essere in qualche modo un must per le nuove generazioni di autori.
    Dal mio punto di vista posso dire di aver utilizzato un sistema che probabilmente utilizzerò di nuovo, la Viper, alla quale siamo arrivati dopo lunghissimi e moltissimi test che hanno incluso anche altri sistemi, dalla Red alla CineAlta, e siamo soddisfatti. A breve, l`associazione A.I.C; l`associazione dei direttori della fotografia, di cui fa parta anche Vittorio Storaro, ci ha invitato in una sala ad altissimo livello, la Technicolor, con direttori della fotografia italiani e non solo, a proiettare il nostro film in formato nativo, cioè il 2k non compresso, con specifica DCI, che addirittura genera un flusso di 880 megabytes al secondo, quando in questo momento gran parte dei prodotti italiani girati in video non superano i 122-180 megabyte al secondo.
    Rispetto a nuove tecnologie non ancora utilizzate in Italia, mi riferisco al cinema stereoscopico (il3D), che tra l`altro è possibile da realizzare unicamente attraverso il digitale. La realizzazione di un film in 3D, che consiglio di andare a vedere ai pochi fortunati che vivono nelle poche città che hanno sale attrezzate per il 3D, che è un prodotto ad altissima spettacolarità. Il cinema italiano, soprattutto quello che potremmo fare noi, quello molto indipendente a povero, non ha i mezzi per realizzare prodotti come Viaggio al Centro della Terra, Monsters vs Aliens, in questi giorni nelle sale, o Ice Age 3, che sta per uscire nelle sale; che sono prodotti realizzati in 3D stereoscopico, per non parlare del film che in assoluto alla fine dell`anno, a novembre o dicembre uscirà in Italia, che standardizzerà definitivamente questo nuovo futuro del cinema che è Avatar di James Cameron, di cui già si favoleggia tantissimo.
    Posso dire che ormai gran parte del cinema americano si sta spostando verso la produzione in 3D. Sta accadendo che una stessa sala se proietta un film in 3D rispetto a un film “normale”, ottiene degli incassi molto più alti, e siccome gli esercenti l`unica lingua che capiscono è quella di quanto incassa il film, direi che questa è una scommessa già vinta in partenza. Ormai l`hanno capito molte majors americane, tant`è che la Pixar, la grossa società che realizza ormai film di animazione in collaborazione con la Disney, ha deciso di realizzare unicamente per il futuro film in 3D stereoscopico.
    Quello che stiamo preparando è un film molto italiano, quindi con le caratteristiche che stiamo studiando da molto tempo, che non hanno attinenza con le caratteristiche di un film in 3D americano, perché noi siamo italiani ed è giusto che sposiamo la storia del cinema che ci contraddistingue con le nuove tecnologie e la spettacolarità che potenzialmente potrà dare questo nuovissimo mezzo.

    http://www.cinemonitor.it/contenuto.asp?uid=1AGIDJ5IKMUAK57335UF5XZUNYAZJXQLQ7GFVCKNR

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  19. Mi permetto di dire che ormai non è propriamente corretto parlare di "casi" per quanto riguarda i film girati in digitale. Nonostante numerosi registi continuino a girare in pellicola( qualche particina sarà comunque girata in digitale,ci scommetto la casa di secon life ), il digitale, "caso dopo caso", si è affermato ed è diventato una "commodity"; inoltre il cinema essendo un medium è di per sé soggetto ad evoluzioni ed il digitale lo è.
    Il digitale secondo me è un esigenza per il cinema, qualcosa che mancava, di cui se ne sentiva il bisogno; già dagli anni '50 si giravano film che volevano palesemente rappresentare cose al di là dei propri mezzi tecnici.
    L'immagine che mi sono fatto è tipo quella di un bambino che cerca di raggiungere quel cassetto troppo in alto senza ottenere risultati, quando poi basterebbe una sedia o una scaletta per poterlo raggiungere. Così nel cinema, anche se una scala è un tantino differente dalla tecnologia digitale.
    Ultimamente ho visto qualche spezzone del film "La guerra dei mondi" del '54 e non vi dico come sono rappresentate le navicelle spaziali; ci sarebbe da fare una lunga fila degli ormai famosissimi B-movie ma più semplicemente credo basti pensare ad un qualsiasi film che abbiamo visto, anche degli anni '90, per renderci conto di quegli effetti speciali a dir poco grotteschi. Certo ce ne sono moltissimi altri con degli ottimi effetti speciali, il professore citò Odissea nello spazio o anche Blade Runner per esempio, ma ad ogni modo il digitale è o sarà a breve, una vera e propria rivoluzone nel cinema e mi riferisco più in particolare al 3D. E' interessante un'articolo sul Sole24ore di Mercoledì scorso pag.31, non so quanti l'abbiano letto, non starò qui a riportarlo - anche se a quanto pare è diventato un abituè - è intitolato "Cannes battezza la svolta 3D" riferendosi al cartone animato "Up" che ha aperto il festival. Sono riportati alcuni pareri di quattro personaggi che lavorano nel cinema e fanno il cinema, e praticamente se ne deduce che il 3D sarà il futuro dei film ma sarà soprattutto il futuro del cinema, cioè sarà il mezzo con cui si riuscirà a contrastare "l'home video" che ha praticamente soppiantato il Cinema. E se a contrastare il digitale, come il 3D, ci sono quei registi tradizionalisti e dogmatici come LarsVonTrier (il suo ultimo film Antichrist è stato super contestato e fischiato), con tutto il rispetto ma credo che il futuro è proprio alle porte.

    http://www.nonhofattocopia-incolla.org/adolfovico

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  20. Fare Cinema. Le prospettive del digitale - Macerata - 16 ottobre 2008
    Alessandro Valori, regista maceratese, con la scuola di cinema Digital Desk e un gruppo di studenti di cinque licei romani ha portato a termine un progetto che, toccando diversi municipi, scandisce le cinque parti della sceneggiatura di “ Chi Nasce Tondo… ” , ovvero le avventure di Mario e Righetto (Valerio Mastandrea e Raffaele Vannoli) che, tra strade romane e ricordi di un’infanzia in bianco e nero, cercano nonna Italia , fuggita dalla tranquilla casa di cura, con in tasca un bottino di diecimila euro. L’obiettivo è stato quello di realizzare un film su Roma, e lasciarlo realizzare agli stessi romani. Da quei ragazzi della capitale che scelgono di abbandonare le tematiche adolescenziali e lasciar posto alla storia di una nonna che, fedina penale sporca a parte, potrebbe essere la burbera nonna di chiunque. Un traguardo raggiunto attraverso una produzione tutta digitale che in cinque settimane di riprese, e con poco più di trecentomila euro di budget, ha realizzato un film pronto alla distribuzione nelle sale e al giro dei festival. Se ne parlerà questa sera a Macerata nel corso del dibattito titolato “Fare Cinema. Le prospettive del digitale”. Interverranno: Giorgio Meschini (Sindaco di Macerata), Massimiliano Bianchini (Assessore alla cultura del Comune di Macerata), Alessandro Valori (regista del film), Pier Giorgio Bellocchio (produttore), Pierpaolo Piciarelli (sceneggiatore), Anna Olivucci (Marche Film Commission).

    Giovedì 16 Ottobre 2008 ore 20.30: Cinema Multiplex 2000 via Velluti Piediripa (MC)

    ore 20.30 Proiezione backstage di “Chi nasce tondo…”(23 min) ore 21.00 Proiezione del Film “Chi nasce Tondo…”(90 min) A seguire : dibattito con il regista “ Fare Cinema. Le prospettive del digitale ” e presentazione di digital desk che ha coinvolto cinque scuole romane

    spettacoli macerata

    http://news.kataweb.it/item/503735/fare-cinema-le-prospettive-del-digitale-macerata-16-ottobre-2008

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