Blog dedicato al corso di "Teoria e metodo dei mass media" (ABPC 65) prof. Vito Campanelli
martedì 10 maggio 2016
Alberto Abruzzese
Gli studenti sono invitati a trovare informazioni (articoli, saggi critici, notizie biografiche, immagini, video ecc.) sul mediologo Alberto Abruzzese e a pubblicarle come reply a questo post.
Si è laureato in lettere il 27 ottobre del 1967 con Natalino Sapegno e Alberto Asor Rosa presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Tra il 1972 e il 1992 ha insegnato sociologia dell'arte e della letteratura, sociologia della conoscenza e sociologia delle comunicazioni di massa presso l'Università "Federico II" di Napoli. Nel 1976 ebbe una piccola parte nel film Io sono un autarchico di Nanni Moretti e dal 1992 al 2005 è stato professore ordinario presso la cattedra di sociologia delle comunicazioni di massa presso il corso di laurea in scienze della comunicazione della facoltà di sociologia dell'università “La Sapienza” di Roma di cui è stato preside tra il 1995 e il 1999.
È stato preside della facoltà di scienze della comunicazione della stessa università tra il 2000 e il 2002. È stato presidente del master in ideazione, management e marketing degli eventi culturali (Sapienza) fino al gennaio 2008. Negli anni 1997-1999 ha coordinato il Comitato Scientifico del Summit della Comunicazione della Telecom. È stato consigliere di amministrazione del Teatro Stabile di Roma e membro della commissione cultura della Comunità europea. È stato docente di sociologia della comunicazione presso la LUISS Guido Carli, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali di Roma.
Accanto al lavoro di docente, ha svolto attività di ricerca (varietà, telefilm, palinsesto, soap-opera, ecc.) per la RAI e per Mediaset, per il CNR e per il Ministero dei Beni Culturali. Ideatore e consulente di eventi, organizza mostre, convegni e seminari nazionali e internazionali. Ha ideato e realizzato programmi radiofonici e televisivi; ha redatto sceneggiature nel campo della fiction cinematografica e televisiva; ha curato installazioni video e multivisioni. Dirige la newsletter italiana di mediologia. È iscritto al movimento politico dei Radicali Italiani. Segue come supervisore i progetti di Solstizio Project, nato nel 2008 dalle sperimentazioni artistiche di Giuseppe Stampone.
Alberto Abruzzese (Roma, 14 agosto 1942) è un sociologo, scrittore e saggista italiano. Dal 2005 al 2011 è stato professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell'istituto di comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è stato Prorettore per l'Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali, Direttore dell'Istituto di Comunicazione e Preside della Facoltà di Turismo, Eventi e Territorio.
Saggista prolifico, ha scritto di letteratura, di cinema, di sociologia della comunicazione e della pubblicità, di storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche e di mediologia.
Dalla sfera pubblica alla messa in scena: lo spazio comune si è trasformato in un'immensa bolla che neutralizza ogni presa di distanza e ogni scommessa sul senso. L'Altro - affogato nel moralismo dei diritti civili o nell'empatia delle compassioni tristi - scompare, sostituito dal "diverso": declinazione soft del barbaro di coloniale memoria, negazione di ogni reale differenza. Una riflessione a partire dall'ultimo libro di Alberto Abruzzese.
Dal discorso alla performance La sfera pubblica, ovvero la rete di discorsi che riguardavano interessi comuni e prendevano corpo nei luoghi fisici (un bar, una piazza) o mediali (un giornale, il web), appare sempre più friabile. L'umano è diventato davvero troppo umano e si sta diradando per eccesso, più che per difetto. Per proliferazione e saturazione, più che per sottrazione o contrazione.
Che cosa è accaduto? Semplicemente, le politiche occidentali hanno trasformato lo spazio comune in un'immensa bolla capace di neutralizzare ogni presa di distanza e di senso.
La scena pubblica è diventata una colossale messa in scena. Il discorso è stato sostituito dalla performance, la condivisione dalla lacrima, al punto che, scrive Alberto Abruzzese nel suo ultimo libro,Punto zero. Il crepuscolo dei barbari (Luca Sossella editore, 2015, pagine 184, euro 15):
“Il mondo in cui il cittadino-spettatore si trova immerso è una terziarietà falsificata, una finzione (fiction) scritta e sceneggiata perché funzioni da territorio sperimentale di vita per l'io che guarda la scena.”
Il legalismo, il banale chiacchiericcio sui diritti umani sempre sganciati dalla concretezza sofferente dell'umano, l'umanitarismo della lacrima e l'attivismo da poltrona - click activism o slacktivism - e, non ultimo, il campo dei diritti civili...
“Quello dei diritti civili è un campo dove è la sofferenza degli altri a fare da concime” scrive Abruzzese
Qui di seguito allego il link di un video dove Alberto Abruzzese, dal 2005 professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell`istituto di comunicazione presso l`Università IULM di Milano, risponde in studio alle domande di alcuni studenti sul futuro delle comunicazioni. Oltre a discutere del passaggio dai mezzi di comunicazione tradizionali (stampa, radio, tv generalista) ai nuovi media (tv via cavo, via satellite, Internet) e alla differenza di programmazione tra reti generaliste e canali tematici, il massmediologo affronta temi di carattere sociologico e antropologico, quali la diffusione dei "valori metropolitani", che rappresentano l`enorme utenza della televisione, oppure la possibile spersonalizzazione dell`individuo, che farebbe del linguaggio mediatico, in particolare pubblicitario, un fenomeno negativo tout court.
Vorrei segnalare questo breve intervento di Alberto Abruzzese, specialmente la parte iniziale in cui spiega la differenza fra cinema e teatro. Ho trovato la definizione della tecnica cinematografica molto vicina ad alcune asserzioni di Vilem Flusser riguardo le immagini tecniche.
Alberto Abruzzese (Roma, 14 agosto 1942) è un sociologo, scrittore e saggista italiano.
Dal 2005 al 2011 è stato professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell'istituto di comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è stato Prorettore per l'Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali, Direttore dell'Istituto di Comunicazione e Preside della Facoltà di Turismo, Eventi e Territorio.
Saggista prolifico, ha scritto di letteratura, di cinema, di sociologia della comunicazione e della pubblicità, di storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche, di mediologia, oltre ad aver pubblicato un romanzo (Anemia, 1982; da cui ha tratto successivamente un film omonimo) che è una variazione politica sul genere horror.
Qui ho trovato un articolo interessante, pubblicato proprio oggi tra l’altro, dove Abruzzese individua un paradosso nella celebrazione dell’internet.
Dice che l’uomo pur essendo un semplice fruitore dell’internet vi ha trovato la massima forma di autocelebrazione. L’uomo celebra se stesso tramite questo strumento.
Alberto Abruzzese, dal 2005 professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell`istituto di comunicazione presso l`Università IULM di Milano, risponde in studio alle domande di alcuni studenti sul futuro delle comunicazioni. Oltre a discutere del passaggio dai mezzi di comunicazione tradizionali (stampa, radio, tv generalista) ai nuovi media (tv via cavo, via satellite, Internet) e alla differenza di programmazione tra reti generaliste e canali tematici, il massmediologo affronta temi di carattere sociologico e antropologico, quali la diffusione dei "valori metropolitani", che rappresentano l`enorme utenza della televisione, oppure la possibile spersonalizzazione dell`individuo, che farebbe del linguaggio mediatico, in particolare pubblicitario, un fenomeno negativo tout court. L`intervento del filosofo Paul Virilio è incentrato sull`innovazione estrema verso la quale la nostra società si orienta al fine di velocizzare la comunicazione e sulla possibilità che la tecnologia per la comunicazione divenga parte fisiologica del corpo umano, facendo dell’idea di uomo-macchina una realtà concreta.
Oltre le istituzioni, sempre più dentro di noi. Formazione e serie tv per Alberto Abruzzese
Il professor Alberto Abruzzese, mediologo, non ha certo bisogno di presentazioni. Con lui abbiamo voluto approfondire il rapporto tra formazione e serie televisive, chiedendogli innanzitutto se le serie oggi possono essere uno strumento complementare utile per l’istruzione superiore e universitaria.
L'umano all'epoca delle compassioni tristi di Marco Dotti 15 settembre 2015
Dalla sfera pubblica alla messa in scena: lo spazio comune si è trasformato in un'immensa bolla che neutralizza ogni presa di distanza e ogni scommessa sul senso. L'Altro - affogato nel moralismo dei diritti civili o nell'empatia delle compassioni tristi - scompare, sostituito dal "diverso": declinazione soft del barbaro di coloniale memoria, negazione di ogni reale differenza. Una riflessione a partire dall'ultimo libro di Alberto Abruzzese.
Alberto Abbruzzese è un sociologo, saggista e scrittore italiano. Pubblico come prima fonte il link del suo blog: http://www.albertoabruzzese.net/
Qui un articolo interessante su un suo saggio, “La grande scimmia”: "[…] Questo saggio ha atteso molti anni prima di tornare in libreria. Il destino della piccola editoria molto spesso condanna a una rapida scomparsa alcuni lavori che si rivelano poi ricercati e godono nel tempo di una loro piccola mitologia. […] La grande scimmia è un saggio che parla di cinema, ma questa definizione non rende giustizia a un'opera che offre molto di più, accompagnando il lettore attraverso varie tappe, partendo da Piranesi, il mesmerismo, Georges Méliès, Hoffman, Poe solo per citarne alcune, per arrivare a “la macchina collettiva” ovvero Tarzan, Frankenstein e King Kong. Infine nel capitolo finale “l’immaginario tecnologico” cioè il presente tra informazione e consumo. L’autore: Alberto Abruzzese è nato a Roma nel 1942, si laurea in Lettere nel 1967 con Natalino Sapegno e Alberto Asor Rosa presso l'Università La Sapienza di Roma. È un sociologo, scrittore e saggista di fama internazionale. Dal 2005 è professore ordinario di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi e direttore dell’Istituto di Comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è anche Prorettore per l’Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali. Ha scritto molti saggi nel campo della letteratura, del cinema, della sociologia della comunicazione e della pubblicità, della storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche e di mediologia. La quarta di copertina: Onore a King Kong, il film di consumo che appena all’inizio degli anni Trenta del secolo passato aveva spettacolarmente annunciato il punto di catastrofe della civiltà occidentale, fissando in un’icona indimenticabile il rapporto tra miti e tecnologia: Kong — la “grande scimmia” delle origini preumane — precipita dall’Empire State Building, il grattacielo più alto del mondo, e celebra il suo lutto nella metropoli più potente della terra. Ecco il motivo del titolo da me scelto per questo saggio sul fantastico. Tuttavia, allora non avrei mai potuto immaginare che l’11 settembre 2001 la scena si sarebbe riprodotta nella realtà contemporanea esattamente nello stesso luogo simbolico e con il medesimo olocausto di carne umana. Non si adonti il lettore di questo accostamento tra la futilità di un film dell’industria culturale e un evento terribile come il crollo delle Due Torri di Manhattan. Sospenda almeno il giudizio, perché si appresta a leggere le ragioni di questo mio accostamento o quantomeno la sua iniziale prefigurazione, tracciata attraverso una serie di letture testuali in diversi territori mediali: letteratura, illustrazione, cinema, fumetti, persino i primi annunci della cibernetica di consumo."
Dal 2005 al 2011 è stato professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell'istituto di comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è stato Prorettore per l'Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali, Direttore dell'Istituto di Comunicazione e Preside della Facoltà di Turismo, Eventi e Territorio. Saggista prolifico, ha scritto di letteratura, di cinema, di sociologia della comunicazione e della pubblicità, di storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche, di mediologia, oltre ad aver pubblicato un romanzo (Anemia, 1982; da cui ha tratto successivamente un film omonimo) che è una variazione politica sul genere horror.
Biografia[modifica | modifica wikitesto] Si è laureato in lettere il 27 ottobre del 1967 con Natalino Sapegno e Alberto Asor Rosa presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Tra il 1972 e il 1992 ha insegnato sociologia dell'arte e della letteratura, sociologia della conoscenza e sociologia delle comunicazioni di massa presso l'Università "Federico II" di Napoli. Nel 1976 ebbe una piccola parte nel film Io sono un autarchico di Nanni Moretti e dal 1992 al 2005 è stato professore ordinario presso la cattedra di sociologia delle comunicazioni di massa presso il corso di laurea in scienze della comunicazione della facoltà di sociologia dell'università “La Sapienza” di Roma di cui è stato preside tra il 1995 e il 1999.
È stato preside della facoltà di scienze della comunicazione della stessa università tra il 2000 e il 2002. È stato presidente del master in ideazione, management e marketing degli eventi culturali (Sapienza) fino al gennaio 2008. Negli anni 1997-1999 ha coordinato il Comitato Scientifico del Summit della Comunicazione della Telecom. È stato consigliere di amministrazione del Teatro Stabile di Roma e membro della commissione cultura della Comunità europea. È stato docente di sociologia della comunicazione presso la LUISS Guido Carli, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali di Roma.
Accanto al lavoro di docente, ha svolto attività di ricerca (varietà, telefilm, palinsesto, soap-opera, ecc.) per la RAI e per Mediaset, per il CNR e per il Ministero dei Beni Culturali. Ideatore e consulente di eventi, organizza mostre, convegni e seminari nazionali e internazionali. Ha ideato e realizzato programmi radiofonici e televisivi; ha redatto sceneggiature nel campo della fiction cinematografica e televisiva; ha curato installazioni video e multivisioni. Dirige la newsletter italiana di mediologia. È iscritto al movimento politico dei Radicali Italiani. Segue come supervisore i progetti di Solstizio Project, nato nel 2008 dalle sperimentazioni artistiche di Giuseppe Stampone.
Di seguito posto una delle più recenti interviste fatte ad Abruzzese in cui gli vengono poste delle domande riguardanti la comunicazione e la ricezione del mondo digitale; è molto interessante soprattutto per cercare di intuire il suo punto di vista!
Ho trovato una recensione sul libro pubblicato nel 2006 "L'occhio di Joker-cinema e modernità" di Alberto Abruzzese.
Il cinema come parametro centrale per comprendere il ‘900 e la maturazione della Modernità e gli altri suoi elementi fondanti, come i processi di secolarizzazione e la metropoli. Ma poi ancora la letteratura e la letterarietà, la televisione, il digitale, la Rete, sono i temi dell’ultimo lavoro di Alberto Abruzzese. Argomenti trattati in passato ampiamente, ma che in L’occhio di Joker vengono rivisitati e risistemati in maniera strutturata e sintetica. Non perdono però di sistematicità, anzi, forse proprio in questo libro raggiungono una dimensione definitivamente organizzata in maniera tale da fare un punto organico sulla ricerca e le tesi attorno alle quali il sociologo romano lavora ormai da più di trent’anni. E da questo punto di vista i simboli scelti per far parlare la teoria e l’immaginario – il Joker simbolo delle istanze del disordine, e il suo avversario, Batman, dalla parte dell’ordine – funzionano benissimo per far risaltare la dimensione contraddittoria e conflittuale intrinseca nello sviluppo della società di massa, dell’immaginario collettivo, delle forme che hanno fatto da basi dei loro apparati: la metropoli, appunto, ma affianco a questa la fabbrica, quindi l’industria, il capitale (come fa anche Sergio Brancato, uno dei suoi allievi, in La città delle luci, pubblicato sempre da Carocci nel 2003 e di recente ristampato). Lateralmente a questi argomenti, è impossibile all’autore non richiamare lo spirito di fondo degli apparati della cultura ufficiale, della Accademia, da sempre e tuttora spocchiosa nei confronti dei fenomeni e delle forme di espressione della cultura di massa, perché arroccata su posizioni di presunto privilegio analitico, ma sostanzialmente incapace (solo per pigrizia?) di accogliere come oggetto di studio e comprendere questi fenomeni e queste tecnologie. Abruzzese coglie ad esempio nel segno – anche se pare farlo en passant – quando nota come ci sia un atteggiamento di fondo teso a privilegiare e nobilitare sempre le forme e le tecnologie dell’espressione precedenti – che diventano così classiche – rispetto alle successive: è successo con la letteratura verso il teatro, con quella e con questo verso il cinema, con tutti (con qualche riserva sul cinema) rispetto alla televisione e al computer. Mentre è proprio grazie al digitale – e al suo sempre più indispensabile corollario: internet – che è possibile non solo immaginare, ma sperimentare quotidianamente la possibilità di integrazione di tutte le forme e di tutte le tecnologie espressive finora sviluppate dall’umanità: immagine, scrittura, suono. Una integrazione delle tecnologie dell’espressione che agisce direttamente non solo sulle modalità della “costruzione sociale della realtà” nella postmodernità, ma anche sulla stessa definizione del Soggetto tardomoderno. Dimensione questa, che è nei fatti quella in cui si svolge la nostra vita quotidiana. Abruzzese qui capitalizza un vantaggio: quello di aver fatto oggetto della sua ricerca proprio gli apparati e i materiali che ritiene essere gli agenti fondamentali della formazione attuale. E ha condotto la sua ricerca proprio con coloro che ne sono i destinatari: le “nuove” generazioni da trent’anni ad oggi.
Secondo un articolo di “succede oggi”, Alberto Abruzzese viene inglobato nella categoria “The Americans”. Chi sono? Sono professori, giornalisti, registi, creativi etc., italiani ma relativamente atipici per il costume del nostro paese; con la loro professionalità e le loro passioni hanno cercato e cercano di ridefinire l’identità italiana ispirandosi però a principi più tipici delle società anglosassoni e in particolare di quella americana. Sono infatti antiideologici, liberi di mente, di pensiero e soprattutto trovano che l’essere al servizio dei partiti politici per avere successo sia immorale. A ispirarli viceversa sono sempre stati la passione, l’etica professionale e l’amore per il loro mestiere che guidano scelte di cui si prendono la responsabilità in prima persona. Parlare di loro e con loro in quest’epoca di conformismo e uniformità di vedute significa riportare in primo piano una caratteristica essenziale della dialettica democratica: la possibilità del conflitto ormai ridotto solo ad apparenti becchettamenti in manifestazioni televisive di pollai urlanti dove solo chi grida più forte vince. E’ proprio il loro essere eccentrici rispetto ad un centro di mediocrità generale che li rende diversi e un po’ stranieri in casa. Sono degli “outsiders”, anche se sono riusciti ad afferrarsi e ad avere successo. Uno di loro è, appunto, Albero Abruzzese: è mediologo e scrittore, giornalista e operatore culturale. A partire dai primi anni Settanta è stato docente di Sociologia della Comunicazione, negli anni novanta ha insegnato Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi e infine ha concluso la sua vita accademica presso l’Università di Milano. Egli cerca di ricostruire la storia della comunicazione occupandosi un po’ di tutto, per questo in una sua intervista, anche se risulta buffo, dice di essere un “tuttologo”, poichè uno dei difetti delle scienze, ci dice Abruzzese, è quello di costruire l’oggetto e delimitare il campo mentre chi è “figlio” della comunicazione televisiva non può fare altro che prendere il mondo in tutte le sue sfaccettature. Ci dice che la comunicazione non è altro che una relazione tra sé stesso e un altro, tra tanti e tanti, tra sé e le cose e tra tanti e le cose ma cosa molto importante, per comunicare bisogna sentire, entrare davvero in relazione. I suoi campi di ricerca sono: comunicazione di massa, cinema, televisione e nuovi media, con un interesse particolare verso i cambiamenti sociali collegati all’uso diffuso degli stessi. Ha pubblicato un libro molto interessante dal nome “Sociologie della Comunicazione”: questo manuale è stato impostato non per fornire una sintetica e opaca visione dei media moderni ma una storia lucida di questi a partire dalle origini e dalle strutture culturali o dagli eventi che li hanno determinati.
Alcuni articoli interessanti: http://www.succedeoggi.it/2014/11/notizie-dal-disastro/ ; http://libernazione.it/pop-porno-intervista-ad-alberto-abruzzese/ ; https://www.youtube.com/watch?v=VHw81FNG1h4 .
La seguente intervista mette in discussione della fuffa buona o cattiva, che cambia in base alla percezione delle persona che la ascolta o la comunica. https://www.youtube.com/watch?v=JCO79QA_lGk
Vorrei condividere con voi questo confronto di Alberto Abruzzese con alcuni giovani studenti riguardo lo sviluppo tecnologico odierno e il conseguente passaggio dai classici ai nuovi media. Discorrendone, egli oltre a illustrarne i loro vantaggi, tende a porre maggiore attenzione sugli aspetti negativi dei nuovi media; per citarne uno la televisione, evidenziandone gli aspetti di saturazione e di spersonalizzazione che può provocare nel suo pubblico.
Riporto qui un estratto di un testo "Mutazioni contro il moderno. Identità e valori tra televisione e cibernetica." pubblicato nel sito "La Grande Scimmia, il blog di Alberto Abruzzese" in data 23 febbraio 2016, ma risale a circa 20 anni prima: nei primi tempi dell'avvento di internet in Italia, il 1997. Leggendo le prime righe ci appare immediata una grande differenza tra le forme di comunicazione tradizionali e quella più moderna del computer.
"Di conseguenza, mentre i linguaggi della tv sono forme prevalentemente unidirezionali di comunicazione (uno a molti), al contrario i linguaggi del computer favoriscono forme di intrattenimento interattive (molti a molti). Ma questa non è la sola frattura che si realizza nel conflitto/integrazione tra vecchi e nuovi media. C'è molto di più e di diverso. Anche i media tradizionali realizzano infatti una loro forma di interattività per quanto lenta e limitata. Il salto di qualità ottenuto dalla cibernetica va colto laddove essa non si limita a collaborare con la qualità dei precedenti media di massa, ma entra in una dimensione comunicativa completamente inedita per le regole sociali della cultura moderna. E si apre a nuove soggettività."
Tema: EDUCARE E COMUNICARE - il suo saggio critico pone il cuore della questione sull'attenzione per il ruolo di costruzione della realtà svolto dai media.
La formazione è un sapere, un insieme di apparati incarnati in formatori (es. docenti) che producono materiali ( anche modelli di comportamento) che sono comunque dentro una tradizione in cui l'atto proprio del formare è un dispositivo basilare della società,autoritario,conservativo,determinato a far si che ci sia una continuità nei mutamenti nel mondo. Questo manuale fornisce gli strumenti per interrogare il presente e vedere l'origine dei problemi che educazione e comunicazione si trovano a fronteggiare.
"Occorre che il regime comunicativo del presente, effervescente e pluri-mediale, sia messo criticamente a raffronto con quello ricevuto dalla tradizione, fondato esclusivamente sui dispositivi alfabetici. Tutto ciò al fine di individuare elementi di continuità e differenziazione sia sul piano materiale sia sul piano concettuale. " (fonte: http://www.mondadorieducation.it)
EDUCARE E COMUNICARE. SPAZI E AZIONI DEI MEDIA Roberto Maragliano, Alberto Abruzzese MONDADORI UNIVERSITÀ
Pubblico il link del primo di sei video sulla discussione "FORME ESTETICHE E SOCIETA' DI MASSA" arte e pubblico nell'età del capitalismo, a cui ha preso parte il saggista romano.
https://www.youtube.com/watch?v=3bJS_6QxRqE
Inserisco anche il link del blog personale di Alberto Abruzzese, "La Grande Scimmia".Come un suo omonimo scritto: "La grande scimmia. Mostri, vampiri, automi, mutanti. L'immaginario collettivo dalla letteratura al cinema e all'informazione (2008), Roma: Luca Sossella editore.
http://www.albertoabruzzese.net/
Termino il mio contributo con uno spezzone del film di Nanni Moretti "Io sono un autarchico" del 1976, pellicola in cui lo stesso Alberto Abruzzese recita una piccola parte
https://atravesdelmuro.wordpress.com/2013/09/14/cultura-de-masas/ La cultura di massa è una spada a doppio taglio, omogeneizza la tradizione culturale, aprendolo a tutti gli spettatori, ma, per renderlo adatto a chiunque, si tende a degradare,trasforma la cultura in un oggetto che può essere facilmente commercializzato e corrotto.
Condivido un estratto dell'articolo "L’Occidente nella cruna dell’ago" tratto dal blog di Alberto Abruzzese. Marco Dotti ha intervistato Abruzzese per "Vita" su questioni legate al ruolo dell’Occidente e del suo destino.
Che cos’è, oggi, questo “Occidente”?
Non è più o non è più soltanto una estensione di territori geopolitici e economici, ma – in virtù delle sue capacità di astrazione e insieme radicamento – s’è fatto “spirito del tempo” dotato di una immane memoria storica e ideologica che dilaga al proprio esterno e che dall’esterno si riversa al suo interno. L’Occidente è senza misura, smisurato, sfrenato. L’Occidente – divenuto ben presto sinonimo di modernità, democrazia e imperialismo – è ora sconfinato ed è proprio questa caduta dei suoi confini, questo suo potere di contaminazione al di là di ogni sua e altrui barriera, a costituire il maggior rischio di vita anche per le civiltà, i soggetti e i sistemi che lo hanno fondato. La sua natura onnivora, necessaria alla sua stessa sopravvivenza, l’obbliga a continui giochi di guerra (simulazione di guerre che costruiscono tregue e tregue che costruiscono guerre: i regimi di pace sono stati sempre guerre condotte con armi particolari, fredde). E ora non c’è guerra di cielo o di terra che possa competere con le reti digitali, con la loro capacità di portare a compimento le matrici ancora silenti dell’Occidente, le potenzialità più nascoste del mondo di conflitti che l’Occidente ha messo a “sistema”.
"Occidente" è, solitamente, un termine in uno scenario, non particolarmente complesso, che implica la compresenza di altri due termini che, se non definiscono a pieno la questione, quanto meno ci fanno capire in che maglie o in che briglie siamo costretti: "Civiltà" e "declino".
Occidente è la parola di una forza economico-politica che ha ritagliato il suo spazio in positivo e in negativo su tutto il mondo rimanente, tempi e luoghi in attesa della sua potenza. Ed ha di molto anticipato il proprio sopravvento sull’altrove dello spazio facendovi penetrare i suoi raggi ancora prima che la sua sfera visiva, il suo globo, apparisse pienamente su tutte le terre del pianeta. Occidente è parola che s’è dissipata nel mondo al di là di ogni frontiera geopolitica e culturale. La radice universalista e assolutista della modernità (sovranità, scienza, progresso tecnologico, mondanizzazione e disincanto) – divenuta al suo stesso apparire specifica cifra dell’Occidente – ha confermato la sua originaria inclusione di tutte le culture di insopprimibile vocazione al dominio. Vocazione che da politeista, greco-romana, s’era fatta monoteista, ebraico-cristiana, poi civiltà urbana, estetica e politica dell’umanesimo. Infine, all’alba dell’industrializzazione, illuminista e di lì a poco romantica: spirito identitario delle nazioni e destino metropolitano della vita quotidiana. Al culmine, vocazione al consumo. La civilizzazione – come arma di persuasione delle moltitudini (guerre e più avanti, ora più che mai, appunto consumi) e come comunità/società ad essa sottoposte in forme dolci o violente, alternative o asservite – riguarda non solo la vita quotidiana delle genti ma ogni “cosa” del mondo: l’Occidente ha invaso anche gli oggetti d’uso; gli effetti della sua tecnologia sono entrati a modificare gli ambienti prima ancora che i loro abitanti e utenti si accorgessero di vivere di beni di sopravvivenza che non erano già più di loro proprietà. Lo spirito proprietario è il manto che – con i suoi secolari ritmi sincronici e diacronici – l’occidente ha steso sull’istinto proprietario della singola persona. Progressione civilizzatrice che né il francescanesimo della povertà né il comunismo della politica sono riusciti a impedire e tantomeno ad arrestare.
Alberto Abruzzese è mediologo e scrittore (con un romanzo: Anemia (1984), giornalista (Paese Sera, Rinascita, Espresso, il manifesto, gli Altri) e operatore culturale (eventi, convegni, seminari). A partire dai primi anni Settanta è stato docente di Sociologia della Comunicazione presso l’Università “Federico II” di Napoli, negli anni novanta ha insegnato Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l’Università “Sapienza” di Roma (dove è stato Preside della Facoltà di scienze della comunicazione) e infine ha concluso la sua vita accademica presso l’Università IULM di Milano, dove è stato Preside della Facoltà di Turismo, Culture e Territorio e pro-Rettore per le Relazioni Internazionali e l’Innovazione Tecnologica. I suoi campi di ricerca sono: comunicazione di massa, cinema, televisione e nuovi media, con un interesse particolare verso i cambiamenti sociali collegati all’uso diffuso dei media.
Tra le sue pubblicazioni: Forme estetiche e società di massa (1973), La Grande Scimmia (1979), Lo splendore della TV. Origini e destino del linguaggio audiovisivo (1995), Analfabeti di tutto il mondo uniamoci (1996), La Bellezza per te e per me (1998). L’industria culturale. Tracce e immagini di un privilegio (con Davide Borrelli 2000), Lessico della Comunicazione (2003), L’occhio di Joker (2006), Educare e comunicare. Spazi e azioni dei media (a cura, con R. Maragliano, Mondadori, 2008), Il crepuscolo dei barbari (Bevivino, 2011).
Professor Abruzzese nel 2013 lei ha scritto un piccolo pamphlet intitolato Napolitano dopo Napolitano edito da Cooper nel quale ha raccolto una serie di articoli pubblicati sul settimanale Gli Altri. In questo libricino lei lancia un grido di allarme per il futuro, anzi per l’assenza di futuro. Lei afferma che stiamo entrando «nella dimensione stabilmente incerta di una crisi permanente». Si deve dunque essere così pessimisti? E come si può sopravvivere in uno stato di crisi permanente?
Di seguito un’intervista ad Alberto Abruzzese riguardo la sua partecipazione allo “Smart human stage” tenuto a Roma nel 2010, dove fa un’interessante riflessione sui nuovi media.
Alberto Abruzzese è mediologo e scrittore (con un romanzo: Anemia (1984), giornalista (Paese Sera, Rinascita, Espresso, il manifesto, gli Altri) e operatore culturale (eventi, convegni, seminari). A partire dai primi anni Settanta è stato docente di Sociologia della Comunicazione presso l’Università “Federico II” di Napoli, negli anni novanta ha insegnato Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l’Università “Sapienza” di Roma (dove è stato Preside della Facoltà di scienze della comunicazione) e infine ha concluso la sua vita accademica presso l’Università IULM di Milano, dove è stato Preside della Facoltà di Turismo, Culture e Territorio e pro-Rettore per le Relazioni Internazionali e l’Innovazione Tecnologica. I suoi campi di ricerca sono: comunicazione di massa, cinema, televisione e nuovi media, con un interesse particolare verso i cambiamenti sociali collegati all’uso diffuso dei media.
Tra le sue pubblicazioni: Forme estetiche e società di massa (1973), La Grande Scimmia (1979), Lo splendore della TV. Origini e destino del linguaggio audiovisivo (1995), Analfabeti di tutto il mondo uniamoci (1996), La Bellezza per te e per me (1998). L’industria culturale. Tracce e immagini di un privilegio (con Davide Borrelli 2000), Lessico della Comunicazione (2003), L’occhio di Joker (2006), Educare e comunicare. Spazi e azioni dei media (a cura, con R. Maragliano, Mondadori, 2008), Il crepuscolo dei barbari (Bevivino, 2011).
Professor Abruzzese nel 2013 lei ha scritto un piccolo pamphlet intitolato Napolitano dopo Napolitano edito da Cooper nel quale ha raccolto una serie di articoli pubblicati sul settimanale Gli Altri. In questo libricino lei lancia un grido di allarme per il futuro, anzi per l’assenza di futuro. Lei afferma che stiamo entrando «nella dimensione stabilmente incerta di una crisi permanente». Si deve dunque essere così pessimisti? E come si può sopravvivere in uno stato di crisi permanente?
Un intervento-saggio di Abruzzese (in collaborazione con Manolo Faraci) riguardo alla rappresentazione del dolore in televisione e le conseguenze di ciò - forse tralasciando la lezione pasoliniana sul medium televisivo e il suo porsi ex cathedra -. Interessante soprattutto nell'analisi della rappresentazione di una storia di dolore che non appartiene più a chi la racconta ma diviene comune: non per questo, personalmente, penso diventi catartica.
Pubblico un intervista fatta da Marco Dotti ad Alberto Abruzzese nel quale si affronta il tema dello " "spirito occidentale" .
Lo “spirito occidentale” possiamo rappresentarlo come una grande Idra: mostro che avanza nel mentre le sue tante teste s’azzannano tra loro per alimentare uno stesso, unico ventre. È obbligato a intrattenersi con civiltà che, spinte da una medesima necessità di dominio, lo contrastano volendo esse stesse farsi storia del mondo, mondo della storia.
Tira una brutta aria, per capirlo basta guardarsi attorno. A Pontoglio, paese al confine tra Brescia e Bergamo, sono alcuni cartelli stradali a segnare il passo: "Paese a cultura Occidentale e di profonda tradizione Cristiana". Maiuscole e minuscole sono lì, a ricordarci con chi o con che cosa abbiamo a che fare. Ma non spetta a noi scegliere il tempo in cui vivere. Ci capitiamo dentro. A noi, però, spetta tentare di capirlo. Che cos'è, oggi, questo "Occidente"?
Non è più o non è più soltanto una estensione di territori geopolitici e economici, ma – in virtù delle sue capacità di astrazione e insieme radicamento – s’è fatto “spirito del tempo” dotato di una immane memoria storica e ideologica che dilaga al proprio esterno e che dall’esterno si riversa al suo interno. L’Occidente è senza misura, smisurato, sfrenato. L’Occidente – divenuto ben presto sinonimo di modernità, democrazia e imperialismo – è ora sconfinato ed è proprio questa caduta dei suoi confini, questo suo potere di contaminazione al di là di ogni sua e altrui barriera, a costituire il maggior rischio di vita anche per le civiltà, i soggetti e i sistemi che lo hanno fondato. La sua natura onnivora, necessaria alla sua stessa sopravvivenza, l’obbliga a continui giochi di guerra (simulazione di guerre che costruiscono tregue e tregue che costruiscono guerre: i regimi di pace sono stati sempre guerre condotte con armi particolari, fredde). E ora non c’è guerra di cielo o di terra che possa competere con le reti digitali, con la loro capacità di portare a compimento le matrici ancora silenti dell’Occidente, le potenzialità più nascoste del mondo di conflitti che l’Occidente ha messo a “sistema”. Oppure culture che, appena giunte all’alba del proprio risveglio non possono resistere alle sue seduzioni. Su questo “passaggio a occidente” di ogni Oriente che viene, s’aggrumano tante diverse narrazioni del passato e del futuro. Un pensiero immediato, tutto al presente da realizzare, è condizione di questo passaggio. Il tempo della occidentalizzazione estrema, per quanto sempre penultima, è un presente iper/temporale che accende e per ciò stesso consuma, brucia, ogni memoria e identità: locale, urbana, nazionale, istituzionale, culturale e quindi anche familiare e personale. L’Occidente si lancia in avanti per riannodarsi sempre al proprio fulcro: là dove l’essere umano ha trovato le condizioni più favorevoli e costituirsi in sovranità sul mondo. Occidente è la parola di un coacervo si visioni, di simboli invasivi, che legano tra loro natura e civiltà. La parola richiama, ammantandosene, il sole che finge di girare continuamente intorno al pianeta e in ogni suo punto celebra il tempo ciclico della natura, tempo segnato dalla necessità al pari di quello umano. La definizione geo-astrale di Occidente ha in sé l’immagine illusoria di un sole che, raggiunto il proprio culmine, è destinato infine a cadere nel proprio stesso tramonto per poi spegnersi oppure perdurare come luce diffusa, boreale. Ed essere così perso di vista sino a quando, dalla sua notte e dall’incertezza dell’alba, non emerga un nuovo sole. Il Re è morto, viva il Re. Dunque una immagine – questo sole, che appare e sul suo apparire significa le cose, in paradossale analogia con il tempo della storia occidentale, segnato sin dall’inizio dal suo necessario tramonto e ora dal suo travaglio più drammatico, appunto quello della sua perdita di orizzonte.
Allego un ulteriore intervista di Alberto Abruzzese inserita all'interno di una rivista di critica letteraria online: Alberto Abruzzese inedito. Il crepuscolo dei barbari.
Abruzzese: “La creatività necessaria allo sviluppo” Intervista ad Alberto Abruzzese del 25 ottobre 2011 fatta in occasione dell'evento "La Classe dell’arte", in cui racconta il suo pensiero sull'arte e sulla comunicazione.
Alberto Abruzzese (Roma, 14 agosto 1942) è un sociologo, scrittore e saggista italiano. Dal 2005 al 2011 è stato professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell'istituto di comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è stato Prorettore per l'Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali, Direttore dell'Istituto di Comunicazione e Preside della Facoltà di Turismo, Eventi e Territorio. Saggista prolifico, ha scritto di letteratura, di cinema, di sociologia della comunicazione e della pubblicità, di storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche, di mediologia, oltre ad aver pubblicato un romanzo (Anemia, 1982; da cui ha tratto successivamente un film omonimo) che è una variazione politica sul genere horror.
Ho trovato poi alcune riflessioni di Alberto Abruzzese per (tentare di) uscire dall’emergenza universitaria. Abruzzese sintetizza la sua posizione su questo tema e vale la pena di riprendere queste sue parole:
“A mio avviso si tratta di ristabilire una sequenza: a) inchiodare i vertici dello Stato a anteporre ad ogni altra questione quella della scuola e dell’università, stabilendo e firmando una sorta di patto con i cittadini, patto in cui si fanno garanti del rispetto dei princìpi di assoluta priorità della formazione dei giovani; b) promuovere un ripensamento radicale dei mezzi e contenuti dell’insegnamento, poiché – senza questa operazione di giustizia e bonifica tecnica e morale dell’esistente – il terribile vincolo di almeno quaranta anni di errori e inadempienze resterebbe invalicabile e sarebbe impraticabile una prima fase di ricerca e formazione dei formatori; c) fissare le procedure e le agende di lavoro necessarie a dare inizio ad un processo innovativo in cui ragione economica e ragione sociale riescano a combinarsi insieme, accettando l’idea che dell’istruzione non si possono tagliare ed anzi vadano aumentati i costi. Sulla base naturalmente di una loro resa in termini di qualità del sistema formativo nei propri obiettivi e negli strumenti adeguati a realizzarli“.
Alberto Abruzzese parla della web tv, quindi della comunicazione attraverso l'immagine. E la cosa che più mi ha interessato è che adesso la cultura del libro, quindi della scrittura è in calo e molto spesso comunicare con le immagini rende tutto più semplice, perché più vicino all'esperienza quotidiana, anche se personalmente leggo molto, quindi penso che la comunicazione attraverso la scrittura ed attraverso le immagini dovrebbero essere differenziate, perché entrambe comunicano un qualcosa, ma in maniera differente. In seguito si ricollega alla web tv, il quale dice che, potrebbe essere utile in un contesto universitario o accademico. E sottolinea ovviamente che la web tv non deve sostituire il linguaggio di comunicazione verbale, quindi sociale, ma solo in alcuni ambiti come la ricerca.
Allego il link di un'intervista fatta ad Alberto Abruzzese da Repubblica sulla gestione delle informazioni in rete, quando è giusto o no eliminarle cercando di imporre un limite al web ma facendo attenzione all'effetto censura.
Allego una breve intervista fatta ad Alberto Abruzzese riguardante la differenza o divergenza che vi è tra sociologia e cultura digitale, concludendo l'intervista dicendo che l'universo digitale ormai costituisce il territorio in cui viviamo.
l'articolo seguente, mi ha colpito per le riflessioni che l'autore elabora riguardo la famosa serie tv "True detective". Particolarmente interessante è stata la scelta di analizzare quel preciso dialogo che in qualche modo sintetizza l'intera serie.
Tra comunicazione, immaginario, barbarie, sofferenza del mondo. Lascio il link del video in cui Alberto Abruzzese parla di "Punto Zero" il suo ultimo libro.
Alberto Abruzzese è nato a Roma nel 1942. Laureato in Lettere e Filosofia, è professore ordinario di Sociologia delle Comunicazioni di massa all'Università "La Sapienza" di Roma.
Svolge ricerche sulle comunicazione di massa e organizza indagini, convegni e seminari.
E' autore di saggi sulla comunicazione e sui nuovi media. Ha svolto un'intensa attività pubblicistica su vari quotidiani e periodici (Rinascita, Manifesto, Espresso, Mattino), intervenendo sulle strategie espressive e sulle politiche culturali di cinema, TV, informazione. Ha collaborato alla Letteratura Italiana, Einaudi con vari saggi sul rapporto tra letteratura e media e dirige collane sui mass media. E' stato curatore, insieme a Fausto Colombo, del "Dizionario della pubblicità" di Zanichelli (1994).
Pubblico un'intervista interessate a cura di Gdoweek. Alberto Abruzzese afferma che la comunicazione è "specchio, corpo e anima di un'epoca", a questo proposito, nell'intervista egli analizza il confronto ed il divario fra la comunicazione precedente (del novecento) e quella attuale, nel passaggio dalla società di massa a quella delle reti, individuando, nello scenario della comunicazione attuale, un processo di modifica dell'immaginario collettivo e di adozione di nuovi valori. Analizza inoltre i valori legati, nella comunicazione contemporanea, alla pubblicità e al marketing e la loro difficoltà di adattarsi ai bisogni, alle credenze e alle esigenze della fase attuale.
Ho trovato interessante e sintetico il testo in formato word che allego qui sotto dove emerge chiaramente il pensiero di Alberto Abruzzese nei confronti dei vari media moderni. Sono cinque pagine dense e ricche di spunti di riflessione
La cultura pubblicitaria va oggi ben al di là dei prodotti che fa vedere e degli interessi economici che la alimentano. Costituisce ormai un patrimonio espressivo, un insieme di attitudini e procedure, forme di sapere artistico e scientifico fortemente innovative e molto provocatorie [...] Certamente ha integrato tendenze storiche prima divergenti. Innanzitutto può utilmente contrastare il vago quanto sospetto idealismo della nostra tradizione letteraria ed umanistica. In secondo luogo ha una vocazione culturale, rivolta ai bisogni individuali e collettivi, che la rende certamente più duttile rispetto ad altre culture istituzionali, assai poco attente alle dinamiche dei bisogni latenti se non addirittura di quelli espressi. In terzo luogo ha una vocazione affermativa, essere nelle cose invece che porsi al loro esterno [...] Queste sue attitudini si intrecciano alla pratica di linguaggi rapidi e frantumati, sensibili a un mutamento dei valori estetici [...] E' fatta per piacere [...]: e non è poco. cit. Alberto Abruzzese in Metafore della pubblicità.
Fonte : Vendere onnipotenza: metafore pubblicitarie, tecnologie, miti del XXI secolo di Graziella Priulla
Riporto un piccolo estratto della premessa da "Lessico delle comunicazione" un libro di Alberto Abruzzese il quale cerca, toccando molti temi differenti, di dare una panoramica il quanto più ampia e completa delle logiche della comunicazione
"Tutta- via abbiamo concepito il “pacchetto” di informazioni e argomentazioni da trattare adattando il criterio di accesso lessicale a una cornice teorica che è consistita nell’individuazione di due ambiti principali. Nella scelta di questi ambiti ci ha guidato McLuhan con il suo celebre slogan “il medium è il messaggio”. un lato, infatti, abbiamo approntato le voci che hanno a che vedere con il medium e dall’altro quelle che hanno a che vedere con il messaggio. Vale a dire che i media possono provare il loro senso solo incarnando un messaggio, rivelando (il messaggero è appunto colui che, annunciando, rivela) un determinato contenuto, dunque una soggettività. Il primo ambito – quello più strettamente mediologico- riguarda prevalentemente la natura degli apparati di produzione e consumo dei media e dell’industria culturale. Qui si fa ricorso quasi sempre a una lettura storica, convinti come siamo che essa fornisca sempre un ottimo punto di partenza all’elaborazione teorica e critica, anche d’impostazione sociologica o semiotica. Il secondo ambito riguarda invece la dimensione antropologica dei contenuti che nei media si esprimono (e qui anche un certo tipo di sociologia può dare ottimi risultati). Naturalmente i confini tra questi due ambiti spesso si confondono tra loro: l’uno sfocia nell’altro, lo evoca implicitamente o esplicitamente. Nel gioco tra questi due ambiti si inseriscono alcune voci che hanno lo scopo di affrontare questioni più nettamente teoriche."
Alberto Abruzzese, dal 2005 professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell`istituto di comunicazione presso l`Università IULM di Milano, risponde in studio alle domande di alcuni studenti sul futuro delle comunicazioni. Oltre a discutere del passaggio dai mezzi di comunicazione tradizionali (stampa, radio, tv generalista) ai nuovi media (tv via cavo, via satellite, Internet) e alla differenza di programmazione tra reti generaliste e canali tematici, il massmediologo affronta temi di carattere sociologico e antropologico, quali la diffusione dei "valori metropolitani", che rappresentano l`enorme utenza della televisione, oppure la possibile spersonalizzazione dell`individuo, che farebbe del linguaggio mediatico, in particolare pubblicitario, un fenomeno negativo tout court. L`intervento del filosofo Paul Virilio è incentrato sull`innovazione estrema verso la quale la nostra società si orienta al fine di velocizzare la comunicazione e sulla possibilità che la tecnologia per la comunicazione divenga parte fisiologica del corpo umano, facendo dell’idea di uomo-macchina una realtà concreta. All'interno del sito dove ho preso questa spiegazione è presente un video dove Alberto Abbruzzese esprime la sua idea su i nuovi media e i nuovi linguaggi.
da: http://www.raiscuola.rai.it/articoli/alberto-abruzzese-nuovi-media-nuovi-linguaggi/5853/default.aspx
Qui Abruzzese parla di Ribes Sappa, amica e fotografa del mediologo. Nel link seguente accederete nel sito dell'artista dove troverete diversi ritratti di Abruzzese.
Da “Forme estetiche e società di massa. Arte e pubblico nell’età del capitalismo” di Alberto Abruzzese (Marsilio Editori 1992) Capitolo 13, L’epoca della tecnica: «L’epoca della tecnica doveva apportare le modificazioni più sensibili alle vecchie istituzioni, ma doveva anche rivelare, in maniera gigantesca, la straordinaria capacità rigenerante della borghesia nel dominare e controllare ogni suo strumento. […] “L’arte e la civiltà moderna” di Pierre Francastel (libro di molto posteriore al momento storico che ha causato il dibattito di cui intendiamo parlare), muove nell’intento di «dimostrare che l’arte è una delle funzioni permanenti dell’uomo»: con queste premesse l’arte e la tecnica non vengono viste come antagoniste, bensì la seconda viene a costituire un valido aiuto alla prima. […] Ricordare qui Francastel significa fissare un punto estremo di un atteggiamento ideologico, in cui una serie coerente di passaggi conduce ad una concezione caratteristica della cultura: «La tecnica non crea valori d’una società, ma li serve e li materializza. Nel mondo moderno sono forze di violenza e forze di relazione e d’organizzazione che si affrontano. E una tradizione artistica che riposa sulla selettività e sul montaggio delle sensazioni - per costituire sistemi in cui lo spirito anticipi i poteri attuali della tecnica - si oppone ad una determinata tecnica al servizio dei violenti, che vogliono un effetto immediato, limitato naturalmente alle momentanee capacità dell’azione» (Francastel, 1959, p.326). Tale citazione assomma in sé gli elementi tipici di un atteggiamento ideologico: tanto tipici da essere indicativi, anche di personalità ben diverse e ben lontane da Francastel. Ogni volta che si fa ritorno ad una concezione ideologica o ad una posizione interna alla cultura, il discorso, anche se apparentemente lontano da quello dello studioso francese, non può alla lunga nascondere una sostanziale affinità.
Pubblico alcune riflessioni di Alberto Abruzzese per (tentare di) uscire dall’emergenza universitaria, a mio parere interessanti:
"In un mondo come quello attuale, dove le tecnologie sono sempre più presenti nella vita quotidiana, le discipline umanistiche hanno ancora un senso e un futuro? Sì, perché danno una visione d’insieme del mondo e permettono di avere una prospettiva complessiva sui grandi fenomeni sociali e culturali che avvengono nel corso del tempo, a differenza delle scienze “dure” che definiscono con estrema precisione il proprio campo d’interesse e non sempre si spingono a considerare gli effetti sociali e culturali della scienza e della tecnologia."
"La comunicazione, poi, è diventata al giorno d’oggi la disciplina di congiunzione tra il mondo umanistico e quello delle tecnologie."
"Ora, in un Paese orientato al futuro, la scuola e l’università dovrebbero essere tra le priorità di qualsiasi classe dirigente. In Italia, sappiamo che la vicenda è diversa."
Qui riposrto un intervista ad Abruzzese sulla società di massa e la tv generalista. Ho letto l 'intervista eriporto una delle domande che mi ha più interessato.
Premessa La TV ha contribuito al processo di unificazione ed omologazione del suo pubblico; le nuove tecnologie, invece, puntano molto sulla riduzione di questa omologazione a vantaggio di una sempre maggiore differenziazione degli utenti che, secondo molti, minaccia l'identità collettiva costituitasi per merito della TV generalista.
Domanda L'idea di tempo, con le tecnologie della comunicazione, sta creando un flusso continuo nel rapporto con il lavoro: ad esempio, io lavoro mentre mi sposto.
Risposta Esatto. Di fatto, con le nuove tecnologie attraversiamo un'esperienza che ribalta esattamente il conflitto che abbiamo vissuto attraverso tutto il processo di massificazione, di collettivizzazione, di omogeneizzazione rappresentato dalla televisione. Questo processo, certo, garantisce alcune caratteristiche di omogeneizzazione: la televisione crea l'unità nazionale, la televisione che, bene o male, pur degradandola, rispetta i vecchi modelli tradizionali, crea un'unica koiné e non una lingua, ecc.; però, questo si paga a prezzo di che cosa? Della negazione delle differenze. A torto o a ragione -questa è stata la teoria ed anche la pratica che hanno caratterizzato lo sviluppo televisivo- in questa fase dello sviluppo cibernetico la preoccupazione ed il problema si ribalteranno. Noi avremo tecnologie che investono sulla diversificazione ed il problema che sarà posto, a quel punto, sarà: come salviamo l'omologazione? Questo è un problema anche relativo alla definizione del nuovo sistema; non si tratta di mettere in contrapposizione dicotomica sistema mediale generalista e nuovi sistemi di comunicazione, new media. Il problema da porsi è: come si può ridefinire un sistema generale comunicativo in cui la televisione generalista, in quanto rete connettiva, possa garantire alcune funzioni che, almeno nel passaggio da un sistema all'altro, sono necessarie ai fini di una conservazione di identità collettiva? E, contemporaneamente, garantendo ciò, non diventi l'elemento trainante, qualificante dell'intero sistema, ma sia invece una sua componente rispetto a tutte le altre componenti che sono invece centrifughe, che sono di differenziazione, che sono di moltiplicazione delle differenze all'interno di un unico consumatore?
Allego qualche riga scritta da Abruzzese nei riguardi di una giornalista indagata per diffamazione sui social media, la risposta sembra essere una diretta premonizione di ciò che sarà....
"Questa zona di con-fusione tra sfera pubblica e sfera privata è la frontiera in cui ci stiamo avventurando … si potrebbe arrivare a prefigurare (nella fantascienza è stato già fatto) un mondo in cui tutte le istituzioni e i poteri e le agenzie – che prima agivano pubblicamente nella sfera pubblica, in massima parte alla luce del giorno, cioè legittimati dalla trasparenza, negoziata e negoziabile ma comunque necessaria di un contratto sociale collettivo – si apprestino a ritirarsi in zone di segretezza assoluta, zone contraddistinte da modalità di oscuramento simili a quelle dei servizi speciali usati oggi ancora soltanto in situazioni di particolare emergenza come il terrorismo. E al contempo sarebbero i mondi della sfera privata a diventare forme di comunicazione pubblica. se questo è il futuro-presente dei social network allora c’è da attendersi una guerra tra “algoritmi di controllo” e una libertà d’espressione su cui bisognerà tuttavia tornare a riflettere…" Alberto Abruzzese
Ho trovato interessante questa rivista ad Alberto Abruzzese. La condivido oltre ad essere utile per l'informazione, perché potremmo prendere spunto dalle domande che vengono fatte durante l'intervista https://www.youtube.com/watch?v=KaQxtCiKF0g
Vorrei riportare qui alcune parole di Alberto Abruzzese affinchè pronunciandole avanti tutti gli studenti in aula, possa spiegarle. Vorrei comprendere il pensiero che ha portato Abruzzese a fare questa critica sulla grande bellezza,film molto discusso e anche pluripremiato di Sorrentino.
“La grande bellezza” vince invece per le sue immagini, per la loro estetica vetero-felliniana e monumentale assai più che per la sua incerta sceneggiatura e per un dialogo a volte imbarazzante per quanto è ideologico e ostentativo. Falso. Perchè allora l’Oscar? Questa opera autoriale di vecchia maniera l’ha premiata il provincialismo americano, l’altra anima dell’immaginario imperialista hollywoodiano, quella che ha il culto delle stereotipo italano spaghetti, pizza e Colosseo. Quello per cui Benigni, facendo il giullare, si mostrò tanto felice del premio ricevuto dal mito della supremazia occidentale. E passeggiando per Roma, persino Wody Allen c’è cascato, forse soltanto per una sorta di cinismo sado-maso”
"La nuova liquidità promessa dalle innovazioni tecnologiche può essere la mossa del cavallo messa in opera da un soggetto moderno disposto ad essere terribilmente spregiudicato pur di rinascere a nuova vita. Ma può essere al tempo stesso il modo più facile che una soggettività umana in declino e senza altro possibile ricambio si è scelta per lasciarsi precipitare nella porosità della natura senza soggetti e senza oggetti dalla quale è emersa. La ragione sofferente del destino umano, alla resa dei conti, sta dimostrando di non essere riuscita nemmeno a sostenere e portare a compimento la sua limitata natura di corpo parassita. Nel ritornare in sé della natura che, vinta l’ambizione umana di farsi società fuori del mondo, si appresta a farne una sua semplice scoria, si può scorgere anche il crepuscolo dei barbari come differenza e patrimonio da far fruttare non per rianimare l’umano volere ma per liberarsene."
Allego una frase di Alberto Abruzzese, Punto zero. Il crepuscolo dei barbari, p. 166. Inutile negare che questo pericolo abbia ricadute verticali e profonde. Non è solo l'accoglienza materiale a essere messa in scacco dalla "arrivo dell'Altro". Sono le retoriche e le dinamiche di non-relazione a saltare. Saltano, in sostanza, i dispositivi per anestetizzare l'Altro. L'Europa, intesa come parte di questa anestesia, non regge più. Ed è un'occasione per tutti capire che dall'essere sulla stessa barca siamo passati all'essere nello stesso mare.
Pubblico un intervista fatta ad Alberto Abruzzese nel quale si affronta il tema delle "nuove tecnologie e nuove modalità d'insegnamento", nello specifico, ho preso due domande di quest’intervista.
Lei ha avuto anche una esperienza di educazione a distanza, di teledidattica. Ce ne può parlare? E' stata un'esperienza circoscritta, laboratoriale, quindi simulata, condotta all'interno di un progetto di studi della Fondazione Bordoni, finalizzata a valutare quale scarto qualitativo si determina tra una lezione in aula dal vivo e una tele-lezione a distanza. Gli studenti entrano abbastanza rapidamente nel set di una tele-conferenza, di una tele-lezione, perché basta familiarizzare un poco e poi la simulazione è perfetta, e si ha la sensazione di potere interagire come se si fosse dal vivo. La difficoltà è per il docente: egli possiede la consapevolezza, in quel momento, di dovere ottimizzare i tempi, di potere utilizzare tutta la tavolozza di tecnologie di cui può disporre; a questo punto è spinto a dover trovare materiale per alimentare quella tavolozza e ciò richiede uno sforzo di fantasia e delle capacità al docente che, viceversa, la lezione dal vivo non richiede. Dico questo senza, naturalmente, negare, che un docente dotato di grandi capacità comunicative può realizzare magnificamente una lezione dal vivo, senza l'ausilio di tecnologie; viceversa, una teleconferenza può anche essere poverissima. Naturalmente, anche questa difficoltà, va vista in termini di progettualità generale e di capacità di risolvere molti dei problemi drammatici della scuola, che sono quelli degli spazi, della qualità dei docenti, legati ad un'istituzione che è stata troppo a lungo trascurata e troppo intensamente superata da altri media. In questo senso la tele-conferenza e la tele-didattica possono risolvere molte cose.
Con le nuove tecnologie come deve cambiare la funzione dell'insegnante ?
Credo che l'elemento chiave sia stato vissuto qualche anno fa, seppure in un'orgia di ideologismo, da quei settori di insegnanti che cercavano di ricorrere ad altre strategie per insegnare, come all'animazione, per esempio. Cosa deve fare l'insegnante? Intanto, bisogna dire che questo è un apparato in cui l'insegnante ha sofferto sulla propria pelle il degrado delle istituzioni e del rapporto tra scuola, formazione e società. Quindi, l'insegnante, intanto, dovrebbe essere messo nella condizione di familiarizzare con le nuove tecnologie, poiché, per la prima volta, accade che i bambini e i giovani ne sanno più del docente. In secondo luogo egli deve rinunciare a quella che è l'icona, la tradizione, lo statuto all'interno del quale il docente si è sempre protetto: il fatto di essere la fonte della conoscenza. Mentre, viceversa, lavorando in rete, al massimo può essere un mediatore della conoscenza stessa. L'insegnante, in questo caso, aiuta a smistare, partecipa, si intreccia ad un lavoro. E' chiaro che, per raggiungere obiettivi di questo tipo, è necessario molto lavoro, e, forse, bisogna avere anche qualche dubbio sulla possibilità di raggiungere un risultato, a causa della mancanza di investimenti soprattutto culturali e politici. Però, mi sembra, comunque, importante pensare questo passaggio futuro.
Su Tv2000 Antonio Soviero conduce una nuova puntata de "La Vita davanti". L'ospite di questa settimana è il sociologo Alberto Abruzzese. "La Vita Davanti" è un programma-affresco sui ventenni e i trentenni italiani, le cui vite si intrecciano tra le strade di Roma. Una serie di racconti autentici nei quali ragazzi e ragazze confessano i propri sogni, le fatiche e le speranze in un paese in crisi. Il perimetro urbano della Capitale, sognata, amata, sofferta, a volte subita, fa da sfondo alle voci dei ragazzi.
https://www.youtube.com/watch?v=On28PhnrAfA http://www.cineca.it/it/video/il-futuro-delluniversita-e-della-sua-editoria Allego un' intervista di Alberto Abbruzzese che tratta la tematica dell' università e dell'editoria.
Lessico della comunicazione. Cinema, computer, comunicazione politica, critica, cultura, famiglia, internet, ma anche dono, ombra, ozio, paura, pelle: questo lessico, che pure raccoglie più di 130 voci, alcune delle quali decisamente impreviste, “eccentriche”, non ha pretesa enciclopedica o esaustiva, ma intende piuttosto proporsi al lettore come un laboratorio sperimentale, un primo approccio alla comunicazione. Non tanto alle scienze della comunicazione, quanto all’oggetto che esse trattano, non tanto ai mezzi di comunicazione, quanto piuttosto a ciò che essi comunicano. Due gli obiettivi di questo lavoro d’équipe: riuscire a focalizzare alcune delle cose che non si possono non sapere a proposito dell’origine, della natura e dello sviluppo dei media, e far funzionare i lemmi tanto come stimolo a letture di approfondimento quanto come dizionario cui di volta in volta ricorrere per comprendere quelle stesse letture o altre, persino relative a discipline diverse da quelle che si occupano strettamente di comunicazione. Un lessico così concepito si pone quindi come uno strumento utile per chi intenda riflettere sui media non solo in quanto oggetto della ricerca scientifica, ma in quanto parte del proprio ambiente di vita. Uno dei criteri di fondo nel compiere la scelta dei temi da affrontare è stato infatti proprio quello di partire da come noi stessi viviamo la comunicazione in quanto consumatori. Parte integrante di quest’articolata rete di lemmi attenti a insistere su alcuni concetti chiave, sono la Cronologia e l’Epilogo, che rappresentano una sintesi dei principali temi trattati.
Il postmodernismo è una difficile conclusione precisa da un concetto in teoria, perché i principali teorici moderni si oppongono alle varie forme della convenzione, per definire o regolare la loro dottrina. Per tutta la durata di questa teoria avere diverse versioni, tra cui uno che è dal 1960 al 1990 [1]. Attualmente, in molti campi di architettura, critica la letteratura, la psicoanalisi, la legge, l'istruzione, la sociologia, l'antropologia, scienze politiche, ecc, sono sulla situazione post-moderno immediato, proposto esposizione autosufficiente. Essi si oppongono a ogni in un modo particolare o di ereditare intrinseco concetto di stabilita.
Perché è l'integrazione di più fazioni di stile Liberty, per così postmodernismo spiegazione incisivo e stereotipata non è completa. In termini di pura prospettiva di sviluppo storico, il post-modernismo è la più antica filosofia e l'architettura. Leader tra gli altri settori, in particolare i sei decenni successivi l'architetto, al contrario di stile internazionale (International Style) la mancanza di attenzione umana, provocando la creazione di architetti audaci e diversi hanno sviluppato un programma unico e diversificato di architettura post-moderna. La filosofia è diversi studiosi è apparso simile situazione HUMANITIES è stato illustrato in cui il testo può essere postmodernismo filosofica di circa espresso, può essere considerato come una decostruzione della Francia. Esclusione concetto di "complesso", l'eterogeneità sottolineando, specificità e unicità.
A differenza di critico letterario, un filosofo non può, come grave l'uso post-modernista questo termine, perché il termine è troppo vaga e può riferirsi alle donne postmodernismo, decostruzionismo, post-colonialismo, uno o più.
Alberto Abruzzese sul suo "Punto Zero" (Luca Sossella Editore) tra comunicazione, immaginario, barbarie, sofferenza del mondo. https://www.youtube.com/watch?v=4olcCfX5K38
15 Dicembre 2015, Napoli - Cerimonia di conferimento della cittadinanza ad Alberto Abruzzese. «Credo - ha detto il sindaco di Napoli Luigi de Magistris - che non sia stato un caso che Abruzzese abbia incontrato Napoli nella sua vita e ritengo che la sua azione ci possa aiutare a superare il concetto di cittadinanza per creare comunità di convivenza superando i confini». Nelle motivazioni del conferimento della cittadinanza onoraria, figurano «il suo essere tra gli intellettuali più limpidi e lucidi; il rilevante contributo alla conoscenza di fenomeni della modernità e per aver sempre riconosciuto alla città di Napoli un fermento di idee e capacità propulsiva». Il sindaco ha consegnato all'intellettuale anche la medaglia della città. Abruzzese, come ricordato dall'assessore alla Cultura Nino Daniele, nel corso della sua carriera, ricca di incarichi accademici e non solo, è stato docente presso l'Università Federico II per venti anni, dal 1972 al 1992. Qui ha insegnato sociologia dell'arte e della letteratura, sociologia della conoscenza e delle comunicazioni di massa. «Quelli - ha detto Daniele - sono stati anni complicati e straordinari, di grandi speranze, ma anche di immani tragedie. La sua presenza è stata importante per tanti studenti come per tanti napoletani». A effettuare la laudatio, Gabriele Frasca. «Con Napoli - ha spiegato Abbruzzese - c'è stato fin da subito un rapporto simpatetico e infatti - ha aggiunto con tono ironico - solo qui poteva accadere che mi fosse conferita la cittadinanza onoraria»
"La nostra è la realtà dei miraggi. C’è un vecchio detto: vedere è credere." questo è l'intro del nuovo articolo uscito sul blog: La Grande Scimmia Dove riprende il testo che accompagnava il catalogo di un'opera di Adrian Tranquilli per la mostra "tribù della memoria".
"Modi di dire tanto saggi quanto veri per due punti di vista – appunto di vista – totalmente diversi. Il laico può accettare l’idea che vedere è credere e assai meno quella che credere è vedere, mentre l’individuo di fede si situa in una posizione esattamente rovesciata, poiché in sostanza egli crede senza vedere. Facile dunque distinguere tra una realtà che si vede e una realtà che si costruisce? Le parole la sanno lunga: nella parola teoria – che il laico convinto delle sue astrazioni cognitive pensa troppo spesso di potere gettare in faccia alle superstizioni della fede – ci sono significati che riguardano: specchi, feste religiose, spettacoli, contemplazioni. E anche ordinate schiere di culto."
continua a leggere l'articolo qui: http://www.albertoabruzzese.net/2016/06/08/credere-e-vedere-le-tribu-della-memoria-2005/
Alberto Abruzzese, dal 2005 professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell`istituto di comunicazione presso l`Università IULM di Milano, risponde in studio alle domande di alcuni studenti sul futuro delle comunicazioni. Oltre a discutere del passaggio dai mezzi di comunicazione tradizionali (stampa, radio, tv generalista) ai nuovi media (tv via cavo, via satellite, Internet) e alla differenza di programmazione tra reti generaliste e canali tematici, il massmediologo affronta temi di carattere sociologico e antropologico, quali la diffusione dei "valori metropolitani", che rappresentano l`enorme utenza della televisione, oppure la possibile spersonalizzazione dell`individuo, che farebbe del linguaggio mediatico, in particolare pubblicitario, un fenomeno negativo tout court. L`intervento del filosofo Paul Virilio è incentrato sull`innovazione estrema verso la quale la nostra società si orienta al fine di velocizzare la comunicazione e sulla possibilità che la tecnologia per la comunicazione divenga parte fisiologica del corpo umano, facendo dell’idea di uomo-macchina una realtà concreta.
Si è laureato in lettere il 27 ottobre del 1967 con Natalino Sapegno e Alberto Asor Rosa presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Tra il 1972 e il 1992 ha insegnato sociologia dell'arte e della letteratura, sociologia della conoscenza e sociologia delle comunicazioni di massa presso l'Università "Federico II" di Napoli. Nel 1976 ebbe una piccola parte nel film Io sono un autarchico di Nanni Moretti e dal 1992 al 2005 è stato professore ordinario presso la cattedra di sociologia delle comunicazioni di massa presso il corso di laurea in scienze della comunicazione della facoltà di sociologia dell'università “La Sapienza” di Roma di cui è stato preside tra il 1995 e il 1999.
RispondiEliminaÈ stato preside della facoltà di scienze della comunicazione della stessa università tra il 2000 e il 2002. È stato presidente del master in ideazione, management e marketing degli eventi culturali (Sapienza) fino al gennaio 2008. Negli anni 1997-1999 ha coordinato il Comitato Scientifico del Summit della Comunicazione della Telecom. È stato consigliere di amministrazione del Teatro Stabile di Roma e membro della commissione cultura della Comunità europea. È stato docente di sociologia della comunicazione presso la LUISS Guido Carli, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali di Roma.
Accanto al lavoro di docente, ha svolto attività di ricerca (varietà, telefilm, palinsesto, soap-opera, ecc.) per la RAI e per Mediaset, per il CNR e per il Ministero dei Beni Culturali. Ideatore e consulente di eventi, organizza mostre, convegni e seminari nazionali e internazionali. Ha ideato e realizzato programmi radiofonici e televisivi; ha redatto sceneggiature nel campo della fiction cinematografica e televisiva; ha curato installazioni video e multivisioni. Dirige la newsletter italiana di mediologia. È iscritto al movimento politico dei Radicali Italiani. Segue come supervisore i progetti di Solstizio Project, nato nel 2008 dalle sperimentazioni artistiche di Giuseppe Stampone.
fonte wikipedia
Alberto Abruzzese (Roma, 14 agosto 1942) è un sociologo, scrittore e saggista italiano.
RispondiEliminaDal 2005 al 2011 è stato professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell'istituto di comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è stato Prorettore per l'Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali, Direttore dell'Istituto di Comunicazione e Preside della Facoltà di Turismo, Eventi e Territorio.
Saggista prolifico, ha scritto di letteratura, di cinema, di sociologia della comunicazione e della pubblicità, di storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche e di mediologia.
Fonte: Wikipedia
Dalla sfera pubblica alla messa in scena: lo spazio comune si è trasformato in un'immensa bolla che neutralizza ogni presa di distanza e ogni scommessa sul senso. L'Altro - affogato nel moralismo dei diritti civili o nell'empatia delle compassioni tristi - scompare, sostituito dal "diverso": declinazione soft del barbaro di coloniale memoria, negazione di ogni reale differenza. Una riflessione a partire dall'ultimo libro di Alberto Abruzzese.
RispondiEliminaDal discorso alla performance
La sfera pubblica, ovvero la rete di discorsi che riguardavano interessi comuni e prendevano corpo nei luoghi fisici (un bar, una piazza) o mediali (un giornale, il web), appare sempre più friabile. L'umano è diventato davvero troppo umano e si sta diradando per eccesso, più che per difetto. Per proliferazione e saturazione, più che per sottrazione o contrazione.
Che cosa è accaduto? Semplicemente, le politiche occidentali hanno trasformato lo spazio comune in un'immensa bolla capace di neutralizzare ogni presa di distanza e di senso.
La scena pubblica è diventata una colossale messa in scena. Il discorso è stato sostituito dalla performance, la condivisione dalla lacrima, al punto che, scrive Alberto Abruzzese nel suo ultimo libro,Punto zero. Il crepuscolo dei barbari (Luca Sossella editore, 2015, pagine 184, euro 15):
“Il mondo in cui il cittadino-spettatore si trova immerso è una terziarietà falsificata, una finzione (fiction) scritta e sceneggiata perché funzioni da territorio sperimentale di vita per l'io che guarda la scena.”
Il legalismo, il banale chiacchiericcio sui diritti umani sempre sganciati dalla concretezza sofferente dell'umano, l'umanitarismo della lacrima e l'attivismo da poltrona - click activism o slacktivism - e, non ultimo, il campo dei diritti civili...
“Quello dei diritti civili è un campo dove è la sofferenza degli altri a fare da concime” scrive Abruzzese
http://www.vita.it/it/article/2015/09/15/lumano-allepoca-delle-compassioni-tristi/134269/
Francesco Marino
Qui di seguito allego il link di un video dove Alberto Abruzzese, dal 2005 professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell`istituto di comunicazione presso l`Università IULM di Milano, risponde in studio alle domande di alcuni studenti sul futuro delle comunicazioni. Oltre a discutere del passaggio dai mezzi di comunicazione tradizionali (stampa, radio, tv generalista) ai nuovi media (tv via cavo, via satellite, Internet) e alla differenza di programmazione tra reti generaliste e canali tematici, il massmediologo affronta temi di carattere sociologico e antropologico, quali la diffusione dei "valori metropolitani", che rappresentano l`enorme utenza della televisione, oppure la possibile spersonalizzazione dell`individuo, che farebbe del linguaggio mediatico, in particolare pubblicitario, un fenomeno negativo tout court.
RispondiEliminahttp://www.raiscuola.rai.it/articoli/alberto-abruzzese-nuovi-media-nuovi-linguaggi/5853/default.aspx
Luca Malafarina
https://www.youtube.com/watch?v=Crox_Q2_Yz8
RispondiEliminaVorrei segnalare questo breve intervento di Alberto Abruzzese, specialmente la parte iniziale in cui spiega la differenza fra cinema e teatro. Ho trovato la definizione della tecnica cinematografica molto vicina ad alcune asserzioni di Vilem Flusser riguardo le immagini tecniche.
Alberto Abruzzese (Roma, 14 agosto 1942) è un sociologo, scrittore e saggista italiano.
RispondiEliminaDal 2005 al 2011 è stato professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell'istituto di comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è stato Prorettore per l'Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali, Direttore dell'Istituto di Comunicazione e Preside della Facoltà di Turismo, Eventi e Territorio.
Saggista prolifico, ha scritto di letteratura, di cinema, di sociologia della comunicazione e della pubblicità, di storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche, di mediologia, oltre ad aver pubblicato un romanzo (Anemia, 1982; da cui ha tratto successivamente un film omonimo) che è una variazione politica sul genere horror.
https://it.wikipedia.org/wiki/Alberto_Abruzzese
IL BLOG DI ALBERTO ABRUZZESE
RispondiEliminahttp://www.albertoabruzzese.net
Qui ho trovato un articolo interessante, pubblicato proprio oggi tra l’altro, dove Abruzzese individua un paradosso nella celebrazione dell’internet.
EliminaDice che l’uomo pur essendo un semplice fruitore dell’internet vi ha trovato la massima forma di autocelebrazione. L’uomo celebra se stesso tramite questo strumento.
http://www.albertoabruzzese.net/2016/05/11/alcune-cose-che-sappiamo-di-lei-28/
ALBERTO ABRUZZESE: NUOVI MEDIA, NUOVI LINGUAGGI
RispondiEliminaAlberto Abruzzese, dal 2005 professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell`istituto di comunicazione presso l`Università IULM di Milano, risponde in studio alle domande di alcuni studenti sul futuro delle comunicazioni. Oltre a discutere del passaggio dai mezzi di comunicazione tradizionali (stampa, radio, tv generalista) ai nuovi media (tv via cavo, via satellite, Internet) e alla differenza di programmazione tra reti generaliste e canali tematici, il massmediologo affronta temi di carattere sociologico e antropologico, quali la diffusione dei "valori metropolitani", che rappresentano l`enorme utenza della televisione, oppure la possibile spersonalizzazione dell`individuo, che farebbe del linguaggio mediatico, in particolare pubblicitario, un fenomeno negativo tout court.
L`intervento del filosofo Paul Virilio è incentrato sull`innovazione estrema verso la quale la nostra società si orienta al fine di velocizzare la comunicazione e sulla possibilità che la tecnologia per la comunicazione divenga parte fisiologica del corpo umano, facendo dell’idea di uomo-macchina una realtà concreta.
http://flashedu.rai.it/ieduportale/medita/4053.mp4
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/alberto-abruzzese-nuovi-media-nuovi-linguaggi/5853/default.aspx
INTERVISTA
RispondiElimina''Un caffè con Alberto Abruzzese''
https://www.youtube.com/watch?v=06NG8FZ0v1g
Oltre le istituzioni, sempre più dentro di noi. Formazione e serie tv per Alberto Abruzzese
RispondiEliminaIl professor Alberto Abruzzese, mediologo, non ha certo bisogno di presentazioni. Con lui abbiamo voluto approfondire il rapporto tra formazione e serie televisive, chiedendogli innanzitutto se le serie oggi possono essere uno strumento complementare utile per l’istruzione superiore e universitaria.
(...)
http://www.seriouslysocial.it/oltre-le-istituzioni-sempre-piu-dentro-di-noi-formazione-e-serie-tv-per-alberto-abruzzese/
PUNTO ZERO
RispondiEliminaL'umano all'epoca delle compassioni tristi
di Marco Dotti 15 settembre 2015
Dalla sfera pubblica alla messa in scena: lo spazio comune si è trasformato in un'immensa bolla che neutralizza ogni presa di distanza e ogni scommessa sul senso. L'Altro - affogato nel moralismo dei diritti civili o nell'empatia delle compassioni tristi - scompare, sostituito dal "diverso": declinazione soft del barbaro di coloniale memoria, negazione di ogni reale differenza. Una riflessione a partire dall'ultimo libro di Alberto Abruzzese.
http://www.vita.it/it/article/2015/09/15/lumano-allepoca-delle-compassioni-tristi/134269/
Alberto Abbruzzese è un sociologo, saggista e scrittore italiano. Pubblico come prima fonte il link del suo blog: http://www.albertoabruzzese.net/
RispondiEliminaQui un articolo interessante su un suo saggio, “La grande scimmia”:
"[…] Questo saggio ha atteso molti anni prima di tornare in libreria. Il destino della piccola editoria molto spesso condanna a una rapida scomparsa alcuni lavori che si rivelano poi ricercati e godono nel tempo di una loro piccola mitologia. […] La grande scimmia è un saggio che parla di cinema, ma questa definizione non rende giustizia a un'opera che offre molto di più, accompagnando il lettore attraverso varie tappe, partendo da Piranesi, il mesmerismo, Georges Méliès, Hoffman, Poe solo per citarne alcune, per arrivare a “la macchina collettiva” ovvero Tarzan, Frankenstein e King Kong. Infine nel capitolo finale “l’immaginario tecnologico” cioè il presente tra informazione e consumo.
L’autore: Alberto Abruzzese è nato a Roma nel 1942, si laurea in Lettere nel 1967 con Natalino Sapegno e Alberto Asor Rosa presso l'Università La Sapienza di Roma.
È un sociologo, scrittore e saggista di fama internazionale. Dal 2005 è professore ordinario di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi e direttore dell’Istituto di Comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è anche Prorettore per l’Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali.
Ha scritto molti saggi nel campo della letteratura, del cinema, della sociologia della comunicazione e della pubblicità, della storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche e di mediologia.
La quarta di copertina: Onore a King Kong, il film di consumo che appena all’inizio degli anni Trenta del secolo passato aveva spettacolarmente annunciato il punto di catastrofe della civiltà occidentale, fissando in un’icona indimenticabile il rapporto tra miti e tecnologia: Kong — la “grande scimmia” delle origini preumane — precipita dall’Empire State Building, il grattacielo più alto del mondo, e celebra il suo lutto nella metropoli più potente della terra.
Ecco il motivo del titolo da me scelto per questo saggio sul fantastico. Tuttavia, allora non avrei mai potuto immaginare che l’11 settembre 2001 la scena si sarebbe riprodotta nella realtà contemporanea esattamente nello stesso luogo simbolico e con il medesimo olocausto di carne umana. Non si adonti il lettore di questo accostamento tra la futilità di un film dell’industria culturale e un evento terribile come il crollo delle Due Torri di Manhattan. Sospenda almeno il giudizio, perché si appresta a leggere le ragioni di questo mio accostamento o quantomeno la sua iniziale prefigurazione, tracciata attraverso una serie di letture testuali in diversi territori mediali: letteratura, illustrazione, cinema, fumetti, persino i primi annunci della cibernetica di consumo."
Fonte: [http://www.fantascienza.com/11338/la-grande-scimmia]
Clarice Armiento
Dal 2005 al 2011 è stato professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell'istituto di comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è stato Prorettore per l'Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali, Direttore dell'Istituto di Comunicazione e Preside della Facoltà di Turismo, Eventi e Territorio.
RispondiEliminaSaggista prolifico, ha scritto di letteratura, di cinema, di sociologia della comunicazione e della pubblicità, di storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche, di mediologia, oltre ad aver pubblicato un romanzo (Anemia, 1982; da cui ha tratto successivamente un film omonimo) che è una variazione politica sul genere horror.
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Si è laureato in lettere il 27 ottobre del 1967 con Natalino Sapegno e Alberto Asor Rosa presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Tra il 1972 e il 1992 ha insegnato sociologia dell'arte e della letteratura, sociologia della conoscenza e sociologia delle comunicazioni di massa presso l'Università "Federico II" di Napoli. Nel 1976 ebbe una piccola parte nel film Io sono un autarchico di Nanni Moretti e dal 1992 al 2005 è stato professore ordinario presso la cattedra di sociologia delle comunicazioni di massa presso il corso di laurea in scienze della comunicazione della facoltà di sociologia dell'università “La Sapienza” di Roma di cui è stato preside tra il 1995 e il 1999.
È stato preside della facoltà di scienze della comunicazione della stessa università tra il 2000 e il 2002. È stato presidente del master in ideazione, management e marketing degli eventi culturali (Sapienza) fino al gennaio 2008. Negli anni 1997-1999 ha coordinato il Comitato Scientifico del Summit della Comunicazione della Telecom. È stato consigliere di amministrazione del Teatro Stabile di Roma e membro della commissione cultura della Comunità europea. È stato docente di sociologia della comunicazione presso la LUISS Guido Carli, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali di Roma.
Accanto al lavoro di docente, ha svolto attività di ricerca (varietà, telefilm, palinsesto, soap-opera, ecc.) per la RAI e per Mediaset, per il CNR e per il Ministero dei Beni Culturali. Ideatore e consulente di eventi, organizza mostre, convegni e seminari nazionali e internazionali. Ha ideato e realizzato programmi radiofonici e televisivi; ha redatto sceneggiature nel campo della fiction cinematografica e televisiva; ha curato installazioni video e multivisioni. Dirige la newsletter italiana di mediologia. È iscritto al movimento politico dei Radicali Italiani. Segue come supervisore i progetti di Solstizio Project, nato nel 2008 dalle sperimentazioni artistiche di Giuseppe Stampone.
Di seguito posto una delle più recenti interviste fatte ad Abruzzese in cui gli vengono poste delle domande riguardanti la comunicazione e la ricezione del mondo digitale; è molto interessante soprattutto per cercare di intuire il suo punto di vista!
https://www.youtube.com/watch?v=KaQxtCiKF0g
https://www.youtube.com/watch?v=pk04ZpwpN-Y
Enrica Sacco
Ho trovato una recensione sul libro pubblicato nel 2006 "L'occhio di Joker-cinema e modernità" di Alberto Abruzzese.
RispondiEliminaIl cinema come parametro centrale per comprendere il ‘900 e la maturazione della Modernità e gli altri suoi elementi fondanti, come i processi di secolarizzazione e la metropoli. Ma poi ancora la letteratura e la letterarietà, la televisione, il digitale, la Rete, sono i temi dell’ultimo lavoro di Alberto Abruzzese. Argomenti trattati in passato ampiamente, ma che in L’occhio di Joker vengono rivisitati e risistemati in maniera strutturata e sintetica. Non perdono però di sistematicità, anzi, forse proprio in questo libro raggiungono una dimensione definitivamente organizzata in maniera tale da fare un punto organico sulla ricerca e le tesi attorno alle quali il sociologo romano lavora ormai da più di trent’anni. E da questo punto di vista i simboli scelti per far parlare la teoria e l’immaginario – il Joker simbolo delle istanze del disordine, e il suo avversario, Batman, dalla parte dell’ordine – funzionano benissimo per far risaltare la dimensione contraddittoria e conflittuale intrinseca nello sviluppo della società di massa, dell’immaginario collettivo, delle forme che hanno fatto da basi dei loro apparati: la metropoli, appunto, ma affianco a questa la fabbrica, quindi l’industria, il capitale (come fa anche Sergio Brancato, uno dei suoi allievi, in La città delle luci, pubblicato sempre da Carocci nel 2003 e di recente ristampato). Lateralmente a questi argomenti, è impossibile all’autore non richiamare lo spirito di fondo degli apparati della cultura ufficiale, della Accademia, da sempre e tuttora spocchiosa nei confronti dei fenomeni e delle forme di espressione della cultura di massa, perché arroccata su posizioni di presunto privilegio analitico, ma sostanzialmente incapace (solo per pigrizia?) di accogliere come oggetto di studio e comprendere questi fenomeni e queste tecnologie. Abruzzese coglie ad esempio nel segno – anche se pare farlo en passant – quando nota come ci sia un atteggiamento di fondo teso a privilegiare e nobilitare sempre le forme e le tecnologie dell’espressione precedenti – che diventano così classiche – rispetto alle successive: è successo con la letteratura verso il teatro, con quella e con questo verso il cinema, con tutti (con qualche riserva sul cinema) rispetto alla televisione e al computer. Mentre è proprio grazie al digitale – e al suo sempre più indispensabile corollario: internet – che è possibile non solo immaginare, ma sperimentare quotidianamente la possibilità di integrazione di tutte le forme e di tutte le tecnologie espressive finora sviluppate dall’umanità: immagine, scrittura, suono. Una integrazione delle tecnologie dell’espressione che agisce direttamente non solo sulle modalità della “costruzione sociale della realtà” nella postmodernità, ma anche sulla stessa definizione del Soggetto tardomoderno. Dimensione questa, che è nei fatti quella in cui si svolge la nostra vita quotidiana. Abruzzese qui capitalizza un vantaggio: quello di aver fatto oggetto della sua ricerca proprio gli apparati e i materiali che ritiene essere gli agenti fondamentali della formazione attuale. E ha condotto la sua ricerca proprio con coloro che ne sono i destinatari: le “nuove” generazioni da trent’anni ad oggi.
Fonte: http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero6/joker.htm
Chiara Barbera
Ecco un breve video, dove si discute sul concetto di volto nel figlio di dio. Dibattito che fa pensare molto.
RispondiEliminahttps://youtu.be/j958NKDuz6Q
Secondo un articolo di “succede oggi”, Alberto Abruzzese viene inglobato nella categoria “The Americans”. Chi sono? Sono professori, giornalisti, registi, creativi etc., italiani ma relativamente atipici per il costume del nostro paese; con la loro professionalità e le loro passioni hanno cercato e cercano di ridefinire l’identità italiana ispirandosi però a principi più tipici delle società anglosassoni e in particolare di quella americana. Sono infatti antiideologici, liberi di mente, di pensiero e soprattutto trovano che l’essere al servizio dei partiti politici per avere successo sia immorale. A ispirarli viceversa sono sempre stati la passione, l’etica professionale e l’amore per il loro mestiere che guidano scelte di cui si prendono la responsabilità in prima persona. Parlare di loro e con loro in quest’epoca di conformismo e uniformità di vedute significa riportare in primo piano una caratteristica essenziale della dialettica democratica: la possibilità del conflitto ormai ridotto solo ad apparenti becchettamenti in manifestazioni televisive di pollai urlanti dove solo chi grida più forte vince. E’ proprio il loro essere eccentrici rispetto ad un centro di mediocrità generale che li rende diversi e un po’ stranieri in casa. Sono degli “outsiders”, anche se sono riusciti ad afferrarsi e ad avere successo. Uno di loro è, appunto, Albero Abruzzese: è mediologo e scrittore, giornalista e operatore culturale. A partire dai primi anni Settanta è stato docente di Sociologia della Comunicazione, negli anni novanta ha insegnato Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi e infine ha concluso la sua vita accademica presso l’Università di Milano. Egli cerca di ricostruire la storia della comunicazione occupandosi un po’ di tutto, per questo in una sua intervista, anche se risulta buffo, dice di essere un “tuttologo”, poichè uno dei difetti delle scienze, ci dice Abruzzese, è quello di costruire l’oggetto e delimitare il campo mentre chi è “figlio” della comunicazione televisiva non può fare altro che prendere il mondo in tutte le sue sfaccettature. Ci dice che la comunicazione non è altro che una relazione tra sé stesso e un altro, tra tanti e tanti, tra sé e le cose e tra tanti e le cose ma cosa molto importante, per comunicare bisogna sentire, entrare davvero in relazione. I suoi campi di ricerca sono: comunicazione di massa, cinema, televisione e nuovi media, con un interesse particolare verso i cambiamenti sociali collegati all’uso diffuso degli stessi. Ha pubblicato un libro molto interessante dal nome “Sociologie della Comunicazione”: questo manuale è stato impostato non per fornire una sintetica e opaca visione dei media moderni ma una storia lucida di questi a partire dalle origini e dalle strutture culturali o dagli eventi che li hanno determinati.
RispondiEliminaAlcuni articoli interessanti:
http://www.succedeoggi.it/2014/11/notizie-dal-disastro/ ;
http://libernazione.it/pop-porno-intervista-ad-alberto-abruzzese/ ;
https://www.youtube.com/watch?v=VHw81FNG1h4 .
La seguente intervista mette in discussione della fuffa buona o cattiva, che cambia in base alla percezione delle persona che la ascolta o la comunica. https://www.youtube.com/watch?v=JCO79QA_lGk
RispondiEliminaVorrei condividere con voi questo confronto di Alberto Abruzzese con alcuni giovani studenti riguardo lo sviluppo tecnologico odierno e il conseguente passaggio dai classici ai nuovi media. Discorrendone, egli oltre a illustrarne i loro vantaggi, tende a porre maggiore attenzione sugli aspetti negativi dei nuovi media; per citarne uno la televisione, evidenziandone gli aspetti di saturazione e di spersonalizzazione che può provocare nel suo pubblico.
RispondiEliminahttp://www.raiscuola.rai.it/articoli/alberto-abruzzese-nuovi-media-nuovi-linguaggi/5853/default.aspx
Allego anche un articolo riguardante la sua ultima pubblicazione, il libro "Punto zero. Il crepuscolo dei barbari".
http://www.vita.it/it/article/2015/09/15/lumano-allepoca-delle-compassioni-tristi/134269/
Arianna Cordeschi
Riporto qui un estratto di un testo "Mutazioni contro il moderno. Identità e valori tra televisione e cibernetica." pubblicato nel sito "La Grande Scimmia, il blog di Alberto Abruzzese" in data 23 febbraio 2016, ma risale a circa 20 anni prima: nei primi tempi dell'avvento di internet in Italia, il 1997. Leggendo le prime righe ci appare immediata una grande differenza tra le forme di comunicazione tradizionali e quella più moderna del computer.
RispondiElimina"Di conseguenza, mentre i linguaggi della tv sono forme prevalentemente unidirezionali di comunicazione (uno a molti), al contrario i linguaggi del computer favoriscono forme di intrattenimento interattive (molti a molti). Ma questa non è la sola frattura che si realizza nel conflitto/integrazione tra vecchi e nuovi media. C'è molto di più e di diverso. Anche i media tradizionali realizzano infatti una loro forma di interattività per quanto lenta e limitata. Il salto di qualità ottenuto dalla cibernetica va colto laddove essa non si limita a collaborare con la qualità dei precedenti media di massa, ma entra in una dimensione comunicativa completamente inedita per le regole sociali della cultura moderna. E si apre a nuove soggettività."
fonte: http://www.albertoabruzzese.net/2016/02/23/1143/
Alessandro Buzzi
https://www.youtube.com/watch?v=fzKVteTcf30
RispondiEliminaTema: EDUCARE E COMUNICARE - il suo saggio critico pone il cuore della questione sull'attenzione per il ruolo di costruzione della realtà svolto dai media.
La formazione è un sapere, un insieme di apparati incarnati in formatori (es. docenti) che producono materiali ( anche modelli di comportamento) che sono comunque dentro una tradizione in cui l'atto proprio del formare è un dispositivo basilare della società,autoritario,conservativo,determinato a far si che ci sia una continuità nei mutamenti nel mondo.
Questo manuale fornisce gli strumenti per interrogare il presente e vedere l'origine dei problemi che educazione e comunicazione si trovano a fronteggiare.
"Occorre che il regime comunicativo del presente, effervescente e pluri-mediale, sia messo criticamente a raffronto con quello ricevuto dalla tradizione, fondato esclusivamente sui dispositivi alfabetici. Tutto ciò al fine di individuare elementi di continuità e differenziazione sia sul piano materiale sia sul piano concettuale. "
(fonte: http://www.mondadorieducation.it)
EDUCARE E COMUNICARE. SPAZI E AZIONI DEI MEDIA
Roberto Maragliano, Alberto Abruzzese
MONDADORI UNIVERSITÀ
Giada Semeraro
Pubblico il link del primo di sei video sulla discussione "FORME ESTETICHE E SOCIETA' DI MASSA" arte e pubblico nell'età del capitalismo, a cui ha preso parte il saggista romano.
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=3bJS_6QxRqE
Inserisco anche il link del blog personale di Alberto Abruzzese, "La Grande Scimmia".Come un suo omonimo scritto: "La grande scimmia. Mostri, vampiri, automi, mutanti. L'immaginario collettivo dalla letteratura al cinema e all'informazione (2008), Roma: Luca Sossella editore.
http://www.albertoabruzzese.net/
Termino il mio contributo con uno spezzone del film di Nanni Moretti "Io sono un autarchico" del 1976, pellicola in cui lo stesso Alberto Abruzzese recita una piccola parte
Eugenio De Magistris
https://atravesdelmuro.wordpress.com/2013/09/14/cultura-de-masas/
RispondiEliminaLa cultura di massa è una spada a doppio taglio, omogeneizza la tradizione culturale, aprendolo a tutti gli spettatori, ma, per renderlo adatto a chiunque, si tende a degradare,trasforma la cultura in un oggetto che può essere facilmente commercializzato e corrotto.
http://www.meltemieditore.it/PDFfiles/Lessico_della_comunicazione.pdf
RispondiEliminaCondivido un estratto dell'articolo "L’Occidente nella cruna dell’ago" tratto dal blog di Alberto Abruzzese. Marco Dotti ha intervistato Abruzzese per "Vita" su questioni legate al ruolo dell’Occidente e del suo destino.
RispondiEliminaChe cos’è, oggi, questo “Occidente”?
Non è più o non è più soltanto una estensione di territori geopolitici e economici, ma – in virtù delle sue capacità di astrazione e insieme radicamento – s’è fatto “spirito del tempo” dotato di una immane memoria storica e ideologica che dilaga al proprio esterno e che dall’esterno si riversa al suo interno. L’Occidente è senza misura, smisurato, sfrenato. L’Occidente – divenuto ben presto sinonimo di modernità, democrazia e imperialismo – è ora sconfinato ed è proprio questa caduta dei suoi confini, questo suo potere di contaminazione al di là di ogni sua e altrui barriera, a costituire il maggior rischio di vita anche per le civiltà, i soggetti e i sistemi che lo hanno fondato. La sua natura onnivora, necessaria alla sua stessa sopravvivenza, l’obbliga a continui giochi di guerra (simulazione di guerre che costruiscono tregue e tregue che costruiscono guerre: i regimi di pace sono stati sempre guerre condotte con armi particolari, fredde). E ora non c’è guerra di cielo o di terra che possa competere con le reti digitali, con la loro capacità di portare a compimento le matrici ancora silenti dell’Occidente, le potenzialità più nascoste del mondo di conflitti che l’Occidente ha messo a “sistema”.
"Occidente" è, solitamente, un termine in uno scenario, non particolarmente complesso, che implica la compresenza di altri due termini che, se non definiscono a pieno la questione, quanto meno ci fanno capire in che maglie o in che briglie siamo costretti: "Civiltà" e "declino".
Occidente è la parola di una forza economico-politica che ha ritagliato il suo spazio in positivo e in negativo su tutto il mondo rimanente, tempi e luoghi in attesa della sua potenza. Ed ha di molto anticipato il proprio sopravvento sull’altrove dello spazio facendovi penetrare i suoi raggi ancora prima che la sua sfera visiva, il suo globo, apparisse pienamente su tutte le terre del pianeta. Occidente è parola che s’è dissipata nel mondo al di là di ogni frontiera geopolitica e culturale. La radice universalista e assolutista della modernità (sovranità, scienza, progresso tecnologico, mondanizzazione e disincanto) – divenuta al suo stesso apparire specifica cifra dell’Occidente – ha confermato la sua originaria inclusione di tutte le culture di insopprimibile vocazione al dominio. Vocazione che da politeista, greco-romana, s’era fatta monoteista, ebraico-cristiana, poi civiltà urbana, estetica e politica dell’umanesimo. Infine, all’alba dell’industrializzazione, illuminista e di lì a poco romantica: spirito identitario delle nazioni e destino metropolitano della vita quotidiana. Al culmine, vocazione al consumo. La civilizzazione – come arma di persuasione delle moltitudini (guerre e più avanti, ora più che mai, appunto consumi) e come comunità/società ad essa sottoposte in forme dolci o violente, alternative o asservite – riguarda non solo la vita quotidiana delle genti ma ogni “cosa” del mondo: l’Occidente ha invaso anche gli oggetti d’uso; gli effetti della sua tecnologia sono entrati a modificare gli ambienti prima ancora che i loro abitanti e utenti si accorgessero di vivere di beni di sopravvivenza che non erano già più di loro proprietà. Lo spirito proprietario è il manto che – con i suoi secolari ritmi sincronici e diacronici – l’occidente ha steso sull’istinto proprietario della singola persona. Progressione civilizzatrice che né il francescanesimo della povertà né il comunismo della politica sono riusciti a impedire e tantomeno ad arrestare.
Fonte: http://www.albertoabruzzese.net/2015/12/18/loccidente-nella-cruna-dellago/
Articolo intero: http://www.vita.it/it/interview/2015/12/17/loccidente-nella-cruna-dellago-intervista-con-alberto-abruzzese/23/
Pubblico un interessante e accattivante articolo riguardante il rapporto tra Alberto Abruzzese e Sorrentino pubblicato su Wired:
RispondiEliminahttp://www.wired.it/attualita/2014/03/06/sorrentino-e-le-polemiche-su-la-grande-bellezza-lettera-ad-alberto-abruzzese-da-un-allievo-un-po-deluso/
Divertentissimo!
EliminaAlberto Abruzzese è mediologo e scrittore (con un romanzo: Anemia (1984), giornalista (Paese Sera, Rinascita, Espresso, il manifesto, gli Altri) e operatore culturale (eventi, convegni, seminari). A partire dai primi anni Settanta è stato docente di Sociologia della Comunicazione presso l’Università “Federico II” di Napoli, negli anni novanta ha insegnato Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l’Università “Sapienza” di Roma (dove è stato Preside della Facoltà di scienze della comunicazione) e infine ha concluso la sua vita accademica presso l’Università IULM di Milano, dove è stato Preside della Facoltà di Turismo, Culture e Territorio e pro-Rettore per le Relazioni Internazionali e l’Innovazione Tecnologica. I suoi campi di ricerca sono: comunicazione di massa, cinema, televisione e nuovi media, con un interesse particolare verso i cambiamenti sociali collegati all’uso diffuso dei media.
RispondiEliminaTra le sue pubblicazioni: Forme estetiche e società di massa (1973), La Grande Scimmia (1979), Lo splendore della TV. Origini e destino del linguaggio audiovisivo (1995), Analfabeti di tutto il mondo uniamoci (1996), La Bellezza per te e per me (1998). L’industria culturale. Tracce e immagini di un privilegio (con Davide Borrelli 2000), Lessico della Comunicazione (2003), L’occhio di Joker (2006), Educare e comunicare. Spazi e azioni dei media (a cura, con R. Maragliano, Mondadori, 2008), Il crepuscolo dei barbari (Bevivino, 2011).
Professor Abruzzese nel 2013 lei ha scritto un piccolo pamphlet intitolato Napolitano dopo Napolitano edito da Cooper nel quale ha raccolto una serie di articoli pubblicati sul settimanale Gli Altri. In questo libricino lei lancia un grido di allarme per il futuro, anzi per l’assenza di futuro. Lei afferma che stiamo entrando «nella dimensione stabilmente incerta di una crisi permanente». Si deve dunque essere così pessimisti? E come si può sopravvivere in uno stato di crisi permanente?
Di seguito un’intervista ad Alberto Abruzzese riguardo la sua partecipazione allo “Smart human stage” tenuto a Roma nel 2010, dove fa un’interessante riflessione sui nuovi media.
RispondiEliminahttp://www.digicult.it/it/digimag/issue-056/smart-urban-stage-the-media-in-the-future-city-meeting-alberto-abruzzese/
fonti: http://www.digicult.it/
Guendalina Fazioli
Alberto Abruzzese è mediologo e scrittore (con un romanzo: Anemia (1984), giornalista (Paese Sera, Rinascita, Espresso, il manifesto, gli Altri) e operatore culturale (eventi, convegni, seminari). A partire dai primi anni Settanta è stato docente di Sociologia della Comunicazione presso l’Università “Federico II” di Napoli, negli anni novanta ha insegnato Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l’Università “Sapienza” di Roma (dove è stato Preside della Facoltà di scienze della comunicazione) e infine ha concluso la sua vita accademica presso l’Università IULM di Milano, dove è stato Preside della Facoltà di Turismo, Culture e Territorio e pro-Rettore per le Relazioni Internazionali e l’Innovazione Tecnologica. I suoi campi di ricerca sono: comunicazione di massa, cinema, televisione e nuovi media, con un interesse particolare verso i cambiamenti sociali collegati all’uso diffuso dei media.
RispondiEliminaTra le sue pubblicazioni: Forme estetiche e società di massa (1973), La Grande Scimmia (1979), Lo splendore della TV. Origini e destino del linguaggio audiovisivo (1995), Analfabeti di tutto il mondo uniamoci (1996), La Bellezza per te e per me (1998). L’industria culturale. Tracce e immagini di un privilegio (con Davide Borrelli 2000), Lessico della Comunicazione (2003), L’occhio di Joker (2006), Educare e comunicare. Spazi e azioni dei media (a cura, con R. Maragliano, Mondadori, 2008), Il crepuscolo dei barbari (Bevivino, 2011).
Professor Abruzzese nel 2013 lei ha scritto un piccolo pamphlet intitolato Napolitano dopo Napolitano edito da Cooper nel quale ha raccolto una serie di articoli pubblicati sul settimanale Gli Altri. In questo libricino lei lancia un grido di allarme per il futuro, anzi per l’assenza di futuro. Lei afferma che stiamo entrando «nella dimensione stabilmente incerta di una crisi permanente». Si deve dunque essere così pessimisti? E come si può sopravvivere in uno stato di crisi permanente?
Un intervento-saggio di Abruzzese (in collaborazione con Manolo Faraci) riguardo alla rappresentazione del dolore in televisione e le conseguenze di ciò - forse tralasciando la lezione pasoliniana sul medium televisivo e il suo porsi ex cathedra -. Interessante soprattutto nell'analisi della rappresentazione di una storia di dolore che non appartiene più a chi la racconta ma diviene comune: non per questo, personalmente, penso diventi catartica.
RispondiEliminahttp://www.minimaetmoralia.it/wp/tracce-il-dolore/
Pubblico un intervista fatta da Marco Dotti ad Alberto Abruzzese nel quale si affronta il tema dello " "spirito occidentale" .
RispondiEliminaLo “spirito occidentale” possiamo rappresentarlo come una grande Idra: mostro che avanza nel mentre le sue tante teste s’azzannano tra loro per alimentare uno stesso, unico ventre. È obbligato a intrattenersi con civiltà che, spinte da una medesima necessità di dominio, lo contrastano volendo esse stesse farsi storia del mondo, mondo della storia.
Tira una brutta aria, per capirlo basta guardarsi attorno. A Pontoglio, paese al confine tra Brescia e Bergamo, sono alcuni cartelli stradali a segnare il passo: "Paese a cultura Occidentale e di profonda tradizione Cristiana". Maiuscole e minuscole sono lì, a ricordarci con chi o con che cosa abbiamo a che fare. Ma non spetta a noi scegliere il tempo in cui vivere. Ci capitiamo dentro. A noi, però, spetta tentare di capirlo.
Che cos'è, oggi, questo "Occidente"?
Non è più o non è più soltanto una estensione di territori geopolitici e economici, ma – in virtù delle sue capacità di astrazione e insieme radicamento – s’è fatto “spirito del tempo” dotato di una immane memoria storica e ideologica che dilaga al proprio esterno e che dall’esterno si riversa al suo interno. L’Occidente è senza misura, smisurato, sfrenato. L’Occidente – divenuto ben presto sinonimo di modernità, democrazia e imperialismo – è ora sconfinato ed è proprio questa caduta dei suoi confini, questo suo potere di contaminazione al di là di ogni sua e altrui barriera, a costituire il maggior rischio di vita anche per le civiltà, i soggetti e i sistemi che lo hanno fondato. La sua natura onnivora, necessaria alla sua stessa sopravvivenza, l’obbliga a continui giochi di guerra (simulazione di guerre che costruiscono tregue e tregue che costruiscono guerre: i regimi di pace sono stati sempre guerre condotte con armi particolari, fredde). E ora non c’è guerra di cielo o di terra che possa competere con le reti digitali, con la loro capacità di portare a compimento le matrici ancora silenti dell’Occidente, le potenzialità più nascoste del mondo di conflitti che l’Occidente ha messo a “sistema”.
Oppure culture che, appena giunte all’alba del proprio risveglio non possono resistere alle sue seduzioni. Su questo “passaggio a occidente” di ogni Oriente che viene, s’aggrumano tante diverse narrazioni del passato e del futuro. Un pensiero immediato, tutto al presente da realizzare, è condizione di questo passaggio. Il tempo della occidentalizzazione estrema, per quanto sempre penultima, è un presente iper/temporale che accende e per ciò stesso consuma, brucia, ogni memoria e identità: locale, urbana, nazionale, istituzionale, culturale e quindi anche familiare e personale. L’Occidente si lancia in avanti per riannodarsi sempre al proprio fulcro: là dove l’essere umano ha trovato le condizioni più favorevoli e costituirsi in sovranità sul mondo.
Occidente è la parola di un coacervo si visioni, di simboli invasivi, che legano tra loro natura e civiltà. La parola richiama, ammantandosene, il sole che finge di girare continuamente intorno al pianeta e in ogni suo punto celebra il tempo ciclico della natura, tempo segnato dalla necessità al pari di quello umano.
La definizione geo-astrale di Occidente ha in sé l’immagine illusoria di un sole che, raggiunto il proprio culmine, è destinato infine a cadere nel proprio stesso tramonto per poi spegnersi oppure perdurare come luce diffusa, boreale. Ed essere così perso di vista sino a quando, dalla sua notte e dall’incertezza dell’alba, non emerga un nuovo sole. Il Re è morto, viva il Re. Dunque una immagine – questo sole, che appare e sul suo apparire significa le cose, in paradossale analogia con il tempo della storia occidentale, segnato sin dall’inizio dal suo necessario tramonto e ora dal suo travaglio più drammatico, appunto quello della sua perdita di orizzonte.
fonti : http://www.vita.it/it/interview/2015/12/17/loccidente-nella-cruna-dellago-intervista-con-alberto-abruzzese/23/
Allego un ulteriore intervista di Alberto Abruzzese inserita all'interno di una rivista di critica letteraria online: Alberto Abruzzese inedito. Il crepuscolo dei barbari.
RispondiEliminahttp://www.satisfiction.me/alberto-abruzzese-inedito-il-crepuscolo-dei-barbari/
Abruzzese: “La creatività necessaria allo sviluppo”
RispondiEliminaIntervista ad Alberto Abruzzese del 25 ottobre 2011 fatta in occasione dell'evento "La Classe dell’arte", in cui racconta il suo pensiero sull'arte e sulla comunicazione.
http://franzmagazine.com/2011/10/25/abruzzese-la-creativita-necessaria-allo-sviluppo/
Alberto Abruzzese (Roma, 14 agosto 1942) è un sociologo, scrittore e saggista italiano.
RispondiEliminaDal 2005 al 2011 è stato professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell'istituto di comunicazione presso l'Università IULM di Milano, dove è stato Prorettore per l'Innovazione Tecnologica e le Relazioni Internazionali, Direttore dell'Istituto di Comunicazione e Preside della Facoltà di Turismo, Eventi e Territorio. Saggista prolifico, ha scritto di letteratura, di cinema, di sociologia della comunicazione e della pubblicità, di storia sociale dell'industria culturale e delle innovazioni tecnologiche, di mediologia, oltre ad aver pubblicato un romanzo (Anemia, 1982; da cui ha tratto successivamente un film omonimo) che è una variazione politica sul genere horror.
Ho trovato poi alcune riflessioni di Alberto Abruzzese per (tentare di) uscire dall’emergenza universitaria. Abruzzese sintetizza la sua posizione su questo tema e vale la pena di riprendere queste sue parole:
“A mio avviso si tratta di ristabilire una sequenza: a) inchiodare i vertici dello Stato a anteporre ad ogni altra questione quella della scuola e dell’università, stabilendo e firmando una sorta di patto con i cittadini, patto in cui si fanno garanti del rispetto dei princìpi di assoluta priorità della formazione dei giovani; b) promuovere un ripensamento radicale dei mezzi e contenuti dell’insegnamento, poiché – senza questa operazione di giustizia e bonifica tecnica e morale dell’esistente – il terribile vincolo di almeno quaranta anni di errori e inadempienze resterebbe invalicabile e sarebbe impraticabile una prima fase di ricerca e formazione dei formatori; c) fissare le procedure e le agende di lavoro necessarie a dare inizio ad un processo innovativo in cui ragione economica e ragione sociale riescano a combinarsi insieme, accettando l’idea che dell’istruzione non si possono tagliare ed anzi vadano aumentati i costi. Sulla base naturalmente di una loro resa in termini di qualità del sistema formativo nei propri obiettivi e negli strumenti adeguati a realizzarli“.
Alberto Abruzzese parla della web tv, quindi della comunicazione attraverso l'immagine.
RispondiEliminaE la cosa che più mi ha interessato è che adesso la cultura del libro, quindi della scrittura è in calo e molto spesso comunicare con le immagini rende tutto più semplice, perché più vicino all'esperienza quotidiana, anche se personalmente leggo molto, quindi penso che la comunicazione attraverso la scrittura ed attraverso le immagini dovrebbero essere differenziate, perché entrambe comunicano un qualcosa, ma in maniera differente.
In seguito si ricollega alla web tv, il quale dice che, potrebbe essere utile in un contesto universitario o accademico. E sottolinea ovviamente che la web tv non deve sostituire il linguaggio di comunicazione verbale, quindi sociale, ma solo in alcuni ambiti come la ricerca.
LINK: https://www.youtube.com/watch?v=u_HZnU8Y4Ho
CAROLINA MONACO
Allego il link di un'intervista fatta ad Alberto Abruzzese da Repubblica sulla gestione delle informazioni in rete, quando è giusto o no eliminarle cercando di imporre un limite al web ma facendo attenzione all'effetto censura.
RispondiEliminahttp://www.repubblica.it/cronaca/2014/08/08/news/abruzzese_diritto_all_oblio_e_google_giusto_imporre_un_limite_al_web_ma_attenzione_all_effetto_censura-93386277/?refresh_ce
Allego una breve intervista fatta ad Alberto Abruzzese riguardante la differenza o divergenza che vi è tra sociologia e cultura digitale, concludendo l'intervista dicendo che l'universo digitale ormai costituisce il territorio in cui viviamo.
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=ThRb7GjGzps
Giovanni Scaglione
l'articolo seguente, mi ha colpito per le riflessioni che l'autore elabora riguardo la famosa serie tv "True detective". Particolarmente interessante è stata la scelta di analizzare quel preciso dialogo che in qualche modo sintetizza l'intera serie.
RispondiEliminahttp://www.albertoabruzzese.net/2014/04/02/true-post-human-detective/
Tra comunicazione, immaginario, barbarie, sofferenza del mondo.
RispondiEliminaLascio il link del video in cui Alberto Abruzzese parla di "Punto Zero" il suo ultimo libro.
https://www.youtube.com/watch?v=4olcCfX5K38
Nadia Minerba
Alberto Abruzzese è nato a Roma nel 1942. Laureato in Lettere e Filosofia, è professore ordinario di Sociologia delle Comunicazioni di massa all'Università "La Sapienza" di Roma.
RispondiEliminaSvolge ricerche sulle comunicazione di massa e organizza indagini, convegni e seminari.
E' autore di saggi sulla comunicazione e sui nuovi media. Ha svolto un'intensa attività pubblicistica su vari quotidiani e periodici (Rinascita, Manifesto, Espresso, Mattino), intervenendo sulle strategie espressive e sulle politiche culturali di cinema, TV, informazione. Ha collaborato alla Letteratura Italiana, Einaudi con vari saggi sul rapporto tra letteratura e media e dirige collane sui mass media. E' stato curatore, insieme a Fausto Colombo, del "Dizionario della pubblicità" di Zanichelli (1994).
Pubblico un'intervista interessate a cura di Gdoweek. Alberto Abruzzese afferma che la comunicazione è "specchio, corpo e anima di un'epoca", a questo proposito, nell'intervista egli analizza il confronto ed il divario fra la comunicazione precedente (del novecento) e quella attuale, nel passaggio dalla società di massa a quella delle reti, individuando, nello scenario della comunicazione attuale, un processo di modifica dell'immaginario collettivo e di adozione di nuovi valori. Analizza inoltre i valori legati, nella comunicazione contemporanea, alla pubblicità e al marketing e la loro difficoltà di adattarsi ai bisogni, alle credenze e alle esigenze della fase attuale.
RispondiEliminafonte: http://www.gdoweek.it/alberto-abruzzese-i-nuovi-valori-profondamente-anti-moderni/
Federica Grasso
posto un'intervista interessante fatta ad Alberto Abruzzese:
RispondiEliminahttp://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero37/bussole/q37_b01.html
Ho trovato interessante e sintetico il testo in formato word che allego qui sotto dove emerge chiaramente il pensiero di Alberto Abruzzese nei confronti dei vari media moderni.
RispondiEliminaSono cinque pagine dense e ricche di spunti di riflessione
https://www.google.it/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2005-01/11-36/Abruzzese.doc&ved=0ahUKEwj16vXo8dLMAhWHL8AKHckJBJUQFggoMAU&usg=AFQjCNHTNpUhCasI_qF2Pw6PVd4OTi5Vww&sig2=x0Hee2ETlc5ZQMHYN7fydA
Spero il formato sia leggibile
Mariateresa Gilbo
La cultura pubblicitaria va oggi ben al di là dei prodotti che fa vedere e degli interessi economici che la alimentano. Costituisce ormai un patrimonio espressivo, un insieme di attitudini e procedure, forme di sapere artistico e scientifico fortemente innovative e molto provocatorie [...] Certamente ha integrato tendenze storiche prima divergenti. Innanzitutto può utilmente contrastare il vago quanto sospetto idealismo della nostra tradizione letteraria ed umanistica. In secondo luogo ha una vocazione culturale, rivolta ai bisogni individuali e collettivi, che la rende certamente più duttile rispetto ad altre culture istituzionali, assai poco attente alle dinamiche dei bisogni latenti se non addirittura di quelli espressi. In terzo luogo ha una vocazione affermativa, essere nelle cose invece che porsi al loro esterno [...] Queste sue attitudini si intrecciano alla pratica di linguaggi rapidi e frantumati, sensibili a un mutamento dei valori estetici [...] E' fatta per piacere [...]: e non è poco.
RispondiEliminacit. Alberto Abruzzese
in Metafore della pubblicità.
Fonte : Vendere onnipotenza: metafore pubblicitarie, tecnologie, miti del XXI secolo di Graziella Priulla
Riporto un piccolo estratto della premessa da "Lessico delle comunicazione" un libro di Alberto Abruzzese il quale cerca, toccando molti temi differenti, di dare una panoramica il quanto più ampia e completa delle logiche della comunicazione
RispondiElimina"Tutta- via abbiamo concepito il “pacchetto” di informazioni e argomentazioni da trattare adattando il criterio di accesso lessicale a una cornice teorica che è consistita nell’individuazione di due ambiti principali.
Nella scelta di questi ambiti ci ha guidato McLuhan con il suo celebre slogan “il medium è il messaggio”.
un lato, infatti, abbiamo approntato le voci che hanno a che vedere con il medium e dall’altro quelle che hanno a che vedere con il messaggio. Vale a dire che i media possono provare il loro senso solo incarnando un messaggio, rivelando (il messaggero è appunto colui che, annunciando, rivela) un determinato contenuto, dunque una soggettività. Il primo ambito – quello più strettamente mediologico- riguarda prevalentemente la natura degli apparati di produzione e consumo dei media e dell’industria culturale. Qui si fa ricorso quasi sempre a una lettura storica, convinti come siamo che essa fornisca sempre un ottimo punto di partenza all’elaborazione teorica e critica, anche d’impostazione sociologica o semiotica. Il secondo ambito riguarda invece la dimensione antropologica dei contenuti che nei media si esprimono (e qui anche un certo tipo di sociologia può dare ottimi risultati). Naturalmente i confini tra questi due ambiti spesso si confondono tra loro: l’uno sfocia nell’altro, lo evoca implicitamente o esplicitamente. Nel gioco tra questi due ambiti si inseriscono alcune voci che hanno lo scopo di affrontare questioni più nettamente teoriche."
Alberto Abruzzese, dal 2005 professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell`istituto di comunicazione presso l`Università IULM di Milano, risponde in studio alle domande di alcuni studenti sul futuro delle comunicazioni. Oltre a discutere del passaggio dai mezzi di comunicazione tradizionali (stampa, radio, tv generalista) ai nuovi media (tv via cavo, via satellite, Internet) e alla differenza di programmazione tra reti generaliste e canali tematici, il massmediologo affronta temi di carattere sociologico e antropologico, quali la diffusione dei "valori metropolitani", che rappresentano l`enorme utenza della televisione, oppure la possibile spersonalizzazione dell`individuo, che farebbe del linguaggio mediatico, in particolare pubblicitario, un fenomeno negativo tout court.
RispondiEliminaL`intervento del filosofo Paul Virilio è incentrato sull`innovazione estrema verso la quale la nostra società si orienta al fine di velocizzare la comunicazione e sulla possibilità che la tecnologia per la comunicazione divenga parte fisiologica del corpo umano, facendo dell’idea di uomo-macchina una realtà concreta.
All'interno del sito dove ho preso questa spiegazione è presente un video dove Alberto Abbruzzese esprime la sua idea su i nuovi media e i nuovi linguaggi.
da:
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/alberto-abruzzese-nuovi-media-nuovi-linguaggi/5853/default.aspx
http://artcomunicazione.blogspot.it/2012/12/presentazione-dartista-ribes-sappa.html?m=1
RispondiEliminaQui Abruzzese parla di Ribes Sappa, amica e fotografa del mediologo.
Nel link seguente accederete nel sito dell'artista dove troverete diversi ritratti di Abruzzese.
http://ribesphoto.com/galleria_48/ALBERTO+ABRUZZESE
Da “Forme estetiche e società di massa. Arte e pubblico nell’età del capitalismo” di Alberto Abruzzese (Marsilio Editori 1992)
RispondiEliminaCapitolo 13, L’epoca della tecnica:
«L’epoca della tecnica doveva apportare le modificazioni più sensibili alle vecchie istituzioni, ma doveva anche rivelare, in maniera gigantesca, la straordinaria capacità rigenerante della borghesia nel dominare e controllare ogni suo strumento. […] “L’arte e la civiltà moderna” di Pierre Francastel (libro di molto posteriore al momento storico che ha causato il dibattito di cui intendiamo parlare), muove nell’intento di «dimostrare che l’arte è una delle funzioni permanenti dell’uomo»: con queste premesse l’arte e la tecnica non vengono viste come antagoniste, bensì la seconda viene a costituire un valido aiuto alla prima.
[…] Ricordare qui Francastel significa fissare un punto estremo di un atteggiamento ideologico, in cui una serie coerente di passaggi conduce ad una concezione caratteristica della cultura: «La tecnica non crea valori d’una società, ma li serve e li materializza. Nel mondo moderno sono forze di violenza e forze di relazione e d’organizzazione che si affrontano. E una tradizione artistica che riposa sulla selettività e sul montaggio delle sensazioni - per costituire sistemi in cui lo spirito anticipi i poteri attuali della tecnica - si oppone ad una determinata tecnica al servizio dei violenti, che vogliono un effetto immediato, limitato naturalmente alle momentanee capacità dell’azione» (Francastel, 1959, p.326).
Tale citazione assomma in sé gli elementi tipici di un atteggiamento ideologico: tanto tipici da essere indicativi, anche di personalità ben diverse e ben lontane da Francastel. Ogni volta che si fa ritorno ad una concezione ideologica o ad una posizione interna alla cultura, il discorso, anche se apparentemente lontano da quello dello studioso francese, non può alla lunga nascondere una sostanziale affinità.
Ilaria Restivo
Pubblico alcune riflessioni di Alberto Abruzzese per (tentare di) uscire dall’emergenza universitaria, a mio parere interessanti:
RispondiElimina"In un mondo come quello attuale, dove le tecnologie sono sempre più presenti nella vita quotidiana, le discipline umanistiche hanno ancora un senso e un futuro? Sì, perché danno una visione d’insieme del mondo e permettono di avere una prospettiva complessiva sui grandi fenomeni sociali e culturali che avvengono nel corso del tempo, a differenza delle scienze “dure” che definiscono con estrema precisione il proprio campo d’interesse e non sempre si spingono a considerare gli effetti sociali e culturali della scienza e della tecnologia."
"La comunicazione, poi, è diventata al giorno d’oggi la disciplina di congiunzione tra il mondo umanistico e quello delle tecnologie."
"Ora, in un Paese orientato al futuro, la scuola e l’università dovrebbero essere tra le priorità di qualsiasi classe dirigente. In Italia, sappiamo che la vicenda è diversa."
Qui riposrto un intervista ad Abruzzese sulla società di massa e la tv generalista. Ho letto l 'intervista eriporto una delle domande che mi ha più interessato.
RispondiEliminaPremessa
La TV ha contribuito al processo di unificazione ed omologazione del suo pubblico; le nuove tecnologie, invece, puntano molto sulla riduzione di questa omologazione a vantaggio di una sempre maggiore differenziazione degli utenti che, secondo molti, minaccia l'identità collettiva costituitasi per merito della TV generalista.
Domanda
L'idea di tempo, con le tecnologie della comunicazione, sta creando un flusso continuo nel rapporto con il lavoro: ad esempio, io lavoro mentre mi sposto.
Risposta
Esatto. Di fatto, con le nuove tecnologie attraversiamo un'esperienza che ribalta esattamente il conflitto che abbiamo vissuto attraverso tutto il processo di massificazione, di collettivizzazione, di omogeneizzazione rappresentato dalla televisione. Questo processo, certo, garantisce alcune caratteristiche di omogeneizzazione: la televisione crea l'unità nazionale, la televisione che, bene o male, pur degradandola, rispetta i vecchi modelli tradizionali, crea un'unica koiné e non una lingua, ecc.; però, questo si paga a prezzo di che cosa? Della negazione delle differenze. A torto o a ragione -questa è stata la teoria ed anche la pratica che hanno caratterizzato lo sviluppo televisivo- in questa fase dello sviluppo cibernetico la preoccupazione ed il problema si ribalteranno. Noi avremo tecnologie che investono sulla diversificazione ed il problema che sarà posto, a quel punto, sarà: come salviamo l'omologazione? Questo è un problema anche relativo alla definizione del nuovo sistema; non si tratta di mettere in contrapposizione dicotomica sistema mediale generalista e nuovi sistemi di comunicazione, new media. Il problema da porsi è: come si può ridefinire un sistema generale comunicativo in cui la televisione generalista, in quanto rete connettiva, possa garantire alcune funzioni che, almeno nel passaggio da un sistema all'altro, sono necessarie ai fini di una conservazione di identità collettiva? E, contemporaneamente, garantendo ciò, non diventi l'elemento trainante, qualificante dell'intero sistema, ma sia invece una sua componente rispetto a tutte le altre componenti che sono invece centrifughe, che sono di differenziazione, che sono di moltiplicazione delle differenze all'interno di un unico consumatore?
Allego qualche riga scritta da Abruzzese nei riguardi di una giornalista indagata per diffamazione sui social media, la risposta sembra essere una diretta premonizione di ciò che sarà....
RispondiElimina"Questa zona di con-fusione tra sfera pubblica e sfera privata è la frontiera in cui ci stiamo avventurando … si potrebbe arrivare a prefigurare (nella fantascienza è stato già fatto) un mondo in cui tutte le istituzioni e i poteri e le agenzie – che prima agivano pubblicamente nella sfera pubblica, in massima parte alla luce del giorno, cioè legittimati dalla trasparenza, negoziata e negoziabile ma comunque necessaria di un contratto sociale collettivo – si apprestino a ritirarsi in zone di segretezza assoluta, zone contraddistinte da modalità di oscuramento simili a quelle dei servizi speciali usati oggi ancora soltanto in situazioni di particolare emergenza come il terrorismo. E al contempo sarebbero i mondi della sfera privata a diventare forme di comunicazione pubblica. se questo è il futuro-presente dei social network allora c’è da attendersi una guerra tra “algoritmi di controllo” e una libertà d’espressione su cui bisognerà tuttavia tornare a riflettere…"
Alberto Abruzzese
Ho trovato interessante questa rivista ad Alberto Abruzzese. La condivido oltre ad essere utile per l'informazione, perché potremmo prendere spunto dalle domande che vengono fatte durante l'intervista https://www.youtube.com/watch?v=KaQxtCiKF0g
RispondiEliminaHo cercato notizie inerenti al signor alberto abruzzese e condivido qui sotto il link:
RispondiEliminaNotizie inerenti alla sua carriera all' IULM;
http://www.iulm.it/wps/wcm/connect/iulmit/iulm-it/news-e-eventi/notizie/alberto-abruzzese-professore-emerito
Blog di alberto abruzzese;
http://www.albertoabruzzese.net
Mattia Corvini
Internet va celebrata o no? Un post di Alberto Abruzzese del 11/05/2016.
RispondiEliminahttp://www.albertoabruzzese.net/2016/05/11/alcune-cose-che-sappiamo-di-lei-28/
Giovanni Di Pede
Vorrei riportare qui alcune parole di Alberto Abruzzese affinchè pronunciandole avanti tutti gli studenti in aula, possa spiegarle. Vorrei comprendere il pensiero che ha portato Abruzzese a fare questa critica sulla grande bellezza,film molto discusso e anche pluripremiato di Sorrentino.
RispondiElimina“La grande bellezza” vince invece per le sue immagini, per la loro estetica vetero-felliniana e monumentale assai più che per la sua incerta sceneggiatura e per un dialogo a volte imbarazzante per quanto è ideologico e ostentativo. Falso. Perchè allora l’Oscar? Questa opera autoriale di vecchia maniera l’ha premiata il provincialismo americano, l’altra anima dell’immaginario imperialista hollywoodiano, quella che ha il culto delle stereotipo italano spaghetti, pizza e Colosseo. Quello per cui Benigni, facendo il giullare, si mostrò tanto felice del premio ricevuto dal mito della supremazia occidentale. E passeggiando per Roma, persino Wody Allen c’è cascato, forse soltanto per una sorta di cinismo sado-maso”
"La nuova liquidità promessa dalle innovazioni tecnologiche può essere la mossa del cavallo messa in opera da un soggetto moderno disposto ad essere terribilmente spregiudicato pur di rinascere a nuova vita. Ma può essere al tempo stesso il modo più facile che una soggettività umana in declino e senza altro possibile ricambio si è scelta per lasciarsi precipitare nella porosità della natura senza soggetti e senza oggetti dalla quale è emersa. La ragione sofferente del destino umano, alla resa dei conti, sta dimostrando di non essere riuscita nemmeno a sostenere e portare a compimento la sua limitata natura di corpo parassita. Nel ritornare in sé della natura che, vinta l’ambizione umana di farsi società fuori del mondo, si appresta a farne una sua semplice scoria, si può scorgere anche il crepuscolo dei barbari come differenza e patrimonio da far fruttare non per rianimare l’umano volere ma per liberarsene."
RispondiEliminaAllego una frase di Alberto Abruzzese, Punto zero. Il crepuscolo dei barbari, p. 166.
Inutile negare che questo pericolo abbia ricadute verticali e profonde. Non è solo l'accoglienza materiale a essere messa in scacco dalla "arrivo dell'Altro". Sono le retoriche e le dinamiche di non-relazione a saltare. Saltano, in sostanza, i dispositivi per anestetizzare l'Altro. L'Europa, intesa come parte di questa anestesia, non regge più. Ed è un'occasione per tutti capire che dall'essere sulla stessa barca siamo passati all'essere nello stesso mare.
Pubblico un intervista fatta ad Alberto Abruzzese nel quale si affronta il tema delle "nuove tecnologie e nuove modalità d'insegnamento", nello specifico, ho preso due domande di quest’intervista.
RispondiEliminaLei ha avuto anche una esperienza di educazione a distanza, di teledidattica. Ce ne può parlare?
E' stata un'esperienza circoscritta, laboratoriale, quindi simulata, condotta all'interno di un progetto di studi della Fondazione Bordoni, finalizzata a valutare quale scarto qualitativo si determina tra una lezione in aula dal vivo e una tele-lezione a distanza. Gli studenti entrano abbastanza rapidamente nel set di una tele-conferenza, di una tele-lezione, perché basta familiarizzare un poco e poi la simulazione è perfetta, e si ha la sensazione di potere interagire come se si fosse dal vivo. La difficoltà è per il docente: egli possiede la consapevolezza, in quel momento, di dovere ottimizzare i tempi, di potere utilizzare tutta la tavolozza di tecnologie di cui può disporre; a questo punto è spinto a dover trovare materiale per alimentare quella tavolozza e ciò richiede uno sforzo di fantasia e delle capacità al docente che, viceversa, la lezione dal vivo non richiede. Dico questo senza, naturalmente, negare, che un docente dotato di grandi capacità comunicative può realizzare magnificamente una lezione dal vivo, senza l'ausilio di tecnologie; viceversa, una teleconferenza può anche essere poverissima. Naturalmente, anche questa difficoltà, va vista in termini di progettualità generale e di capacità di risolvere molti dei problemi drammatici della scuola, che sono quelli degli spazi, della qualità dei docenti, legati ad un'istituzione che è stata troppo a lungo trascurata e troppo intensamente superata da altri media. In questo senso la tele-conferenza e la tele-didattica possono risolvere molte cose.
Con le nuove tecnologie come deve cambiare la funzione dell'insegnante ?
Credo che l'elemento chiave sia stato vissuto qualche anno fa, seppure in un'orgia di ideologismo, da quei settori di insegnanti che cercavano di ricorrere ad altre strategie per insegnare, come all'animazione, per esempio. Cosa deve fare l'insegnante? Intanto, bisogna dire che questo è un apparato in cui l'insegnante ha sofferto sulla propria pelle il degrado delle istituzioni e del rapporto tra scuola, formazione e società. Quindi, l'insegnante, intanto, dovrebbe essere messo nella condizione di familiarizzare con le nuove tecnologie, poiché, per la prima volta, accade che i bambini e i giovani ne sanno più del docente. In secondo luogo egli deve rinunciare a quella che è l'icona, la tradizione, lo statuto all'interno del quale il docente si è sempre protetto: il fatto di essere la fonte della conoscenza. Mentre, viceversa, lavorando in rete, al massimo può essere un mediatore della conoscenza stessa. L'insegnante, in questo caso, aiuta a smistare, partecipa, si intreccia ad un lavoro. E' chiaro che, per raggiungere obiettivi di questo tipo, è necessario molto lavoro, e, forse, bisogna avere anche qualche dubbio sulla possibilità di raggiungere un risultato, a causa della mancanza di investimenti soprattutto culturali e politici. Però, mi sembra, comunque, importante pensare questo passaggio futuro.
fonte: http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/a/abruzz02.htm
INTERVISTA:
RispondiEliminaSu Tv2000 Antonio Soviero conduce una nuova puntata de "La Vita davanti". L'ospite di questa settimana è il sociologo Alberto Abruzzese. "La Vita Davanti" è un programma-affresco sui ventenni e i trentenni italiani, le cui vite si intrecciano tra le strade di Roma. Una serie di racconti autentici nei quali ragazzi e ragazze confessano i propri sogni, le fatiche e le speranze in un paese in crisi. Il perimetro urbano della Capitale, sognata, amata, sofferta, a volte subita, fa da sfondo alle voci dei ragazzi.
https://www.youtube.com/watch?v=Vt6QGJTTC10
https://www.youtube.com/watch?v=On28PhnrAfA
RispondiEliminahttp://www.cineca.it/it/video/il-futuro-delluniversita-e-della-sua-editoria
Allego un' intervista di Alberto Abbruzzese che tratta la tematica dell' università e dell'editoria.
Espedito Iannini
Lessico della comunicazione.
RispondiEliminaCinema, computer, comunicazione politica, critica, cultura, famiglia, internet, ma anche dono, ombra, ozio, paura, pelle: questo lessico, che pure raccoglie più di 130 voci, alcune delle quali decisamente impreviste, “eccentriche”, non ha pretesa enciclopedica o esaustiva, ma intende piuttosto proporsi al lettore come un laboratorio sperimentale, un primo approccio alla comunicazione. Non tanto alle scienze della comunicazione, quanto all’oggetto che esse trattano, non tanto ai mezzi di comunicazione, quanto piuttosto a ciò che essi comunicano. Due gli obiettivi di questo lavoro d’équipe: riuscire a focalizzare alcune delle cose che non si possono non sapere a proposito dell’origine, della natura e dello sviluppo dei media, e far funzionare i lemmi tanto come stimolo a letture di approfondimento quanto come dizionario cui di volta in volta ricorrere per comprendere quelle stesse letture o altre, persino relative a discipline diverse da quelle che si occupano strettamente di comunicazione. Un lessico così concepito si pone quindi come uno strumento utile per chi intenda riflettere sui media non solo in quanto oggetto della ricerca scientifica, ma in quanto parte del proprio ambiente di vita. Uno dei criteri di fondo nel compiere la scelta dei temi da affrontare è stato infatti proprio quello di partire da come noi stessi viviamo la comunicazione in quanto consumatori. Parte integrante di quest’articolata rete di lemmi attenti a insistere su alcuni concetti chiave, sono la Cronologia e l’Epilogo, che rappresentano una sintesi dei principali temi trattati.
http://www.scienzepostmoderne.org/Libri/LessicoDellaComunicazione.html
Il postmodernismo è una difficile conclusione precisa da un concetto in teoria, perché i principali teorici moderni si oppongono alle varie forme della convenzione, per definire o regolare la loro dottrina. Per tutta la durata di questa teoria avere diverse versioni, tra cui uno che è dal 1960 al 1990 [1]. Attualmente, in molti campi di architettura, critica la letteratura, la psicoanalisi, la legge, l'istruzione, la sociologia, l'antropologia, scienze politiche, ecc, sono sulla situazione post-moderno immediato, proposto esposizione autosufficiente. Essi si oppongono a ogni in un modo particolare o di ereditare intrinseco concetto di stabilita.
RispondiEliminaPerché è l'integrazione di più fazioni di stile Liberty, per così postmodernismo spiegazione incisivo e stereotipata non è completa. In termini di pura prospettiva di sviluppo storico, il post-modernismo è la più antica filosofia e l'architettura. Leader tra gli altri settori, in particolare i sei decenni successivi l'architetto, al contrario di stile internazionale (International Style) la mancanza di attenzione umana, provocando la creazione di architetti audaci e diversi hanno sviluppato un programma unico e diversificato di architettura post-moderna. La filosofia è diversi studiosi è apparso simile situazione HUMANITIES è stato illustrato in cui il testo può essere postmodernismo filosofica di circa espresso, può essere considerato come una decostruzione della Francia. Esclusione concetto di "complesso", l'eterogeneità sottolineando, specificità e unicità.
A differenza di critico letterario, un filosofo non può, come grave l'uso post-modernista questo termine, perché il termine è troppo vaga e può riferirsi alle donne postmodernismo, decostruzionismo, post-colonialismo, uno o più.
Alberto Abruzzese sul suo "Punto Zero" (Luca Sossella Editore) tra comunicazione, immaginario, barbarie, sofferenza del mondo.
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=4olcCfX5K38
Morena Foglia
http://www.chefuturo.it/tag/alberto-abruzzese/
RispondiEliminaLink agli articoli pubblicati da abruzzese per il magazine online chefuturo.
15 Dicembre 2015, Napoli - Cerimonia di conferimento della cittadinanza ad Alberto Abruzzese.
RispondiElimina«Credo - ha detto il sindaco di Napoli Luigi de Magistris - che non sia stato un caso che Abruzzese abbia incontrato Napoli nella sua vita e ritengo che la sua azione ci possa aiutare a superare il concetto di cittadinanza per creare comunità di convivenza superando i confini». Nelle motivazioni del conferimento della cittadinanza onoraria, figurano «il suo essere tra gli intellettuali più limpidi e lucidi; il rilevante contributo alla conoscenza di fenomeni della modernità e per aver sempre riconosciuto alla città di Napoli un fermento di idee e capacità propulsiva». Il sindaco ha consegnato all'intellettuale anche la medaglia della città. Abruzzese, come ricordato dall'assessore alla Cultura Nino Daniele, nel corso della sua carriera, ricca di incarichi accademici e non solo, è stato docente presso l'Università Federico II per venti anni, dal 1972 al 1992. Qui ha insegnato sociologia dell'arte e della letteratura, sociologia della conoscenza e delle comunicazioni di massa. «Quelli - ha detto Daniele - sono stati anni complicati e straordinari, di grandi speranze, ma anche di immani tragedie. La sua presenza è stata importante per tanti studenti come per tanti napoletani». A effettuare la laudatio, Gabriele Frasca. «Con Napoli - ha spiegato Abbruzzese - c'è stato fin da subito un rapporto simpatetico e infatti - ha aggiunto con tono ironico - solo qui poteva accadere che mi fosse conferita la cittadinanza onoraria»
http://www.ilmattino.it/napoli/cultura/alberto_abruzzese_cittadino_onorario_citt_agrave_di_napoli-1402649.html
Arianna Pompilio
"La nostra è la realtà dei miraggi. C’è un vecchio detto: vedere è credere."
RispondiEliminaquesto è l'intro del nuovo articolo uscito sul blog: La Grande Scimmia
Dove riprende il testo che accompagnava il catalogo di un'opera di Adrian Tranquilli per la mostra "tribù della memoria".
"Modi di dire tanto saggi quanto veri per due punti di vista – appunto di vista – totalmente diversi. Il laico può accettare l’idea che vedere è credere e assai meno quella che credere è vedere, mentre l’individuo di fede si situa in una posizione esattamente rovesciata, poiché in sostanza egli crede senza vedere. Facile dunque distinguere tra una realtà che si vede e una realtà che si costruisce? Le parole la sanno lunga: nella parola teoria – che il laico convinto delle sue astrazioni cognitive pensa troppo spesso di potere gettare in faccia alle superstizioni della fede – ci sono significati che riguardano: specchi, feste religiose, spettacoli, contemplazioni. E anche ordinate schiere di culto."
continua a leggere l'articolo qui:
http://www.albertoabruzzese.net/2016/06/08/credere-e-vedere-le-tribu-della-memoria-2005/
Jessica Grandola
Alberto Abruzzese, dal 2005 professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi e direttore dell`istituto di comunicazione presso l`Università IULM di Milano, risponde in studio alle domande di alcuni studenti sul futuro delle comunicazioni. Oltre a discutere del passaggio dai mezzi di comunicazione tradizionali (stampa, radio, tv generalista) ai nuovi media (tv via cavo, via satellite, Internet) e alla differenza di programmazione tra reti generaliste e canali tematici, il massmediologo affronta temi di carattere sociologico e antropologico, quali la diffusione dei "valori metropolitani", che rappresentano l`enorme utenza della televisione, oppure la possibile spersonalizzazione dell`individuo, che farebbe del linguaggio mediatico, in particolare pubblicitario, un fenomeno negativo tout court.
RispondiEliminaL`intervento del filosofo Paul Virilio è incentrato sull`innovazione estrema verso la quale la nostra società si orienta al fine di velocizzare la comunicazione e sulla possibilità che la tecnologia per la comunicazione divenga parte fisiologica del corpo umano, facendo dell’idea di uomo-macchina una realtà concreta.
Valentina Valanzano