Lovink è un critico olandese che insegnerà anche presso l'università di Amsterdam e sarà anche l'ideatore della mailing list olandese la quale si porrà in maniera critica nei confronti di internet e del web 2.0 . Lovink sarà anche direttore di un centro di ricerca chiamato "Institute of Network Culture"
La riflessione di Loving si manifesta a metà del boom dei blog e si avvale anche di alcuni eventi come ad esempio lo Tsunami del 2004.
Blog,wiki e social network venivano presentati come la nuova era del lavoro volontario e comunitario, tale tesi fu confermata ad esempio dallo Tsunami del 2004, evento che fu testimoniato non mai mass media, ma grazie a riprese amatoriali, da sottlineare che l'informazione da parte dei mass media circa tale evento naturale fu possibile grazie a delle riprese amatoriali, con conseguente arricchimento dei mass media.
Lovink si interroga appunto circa il fatto se questo tipo di economia sia conveniente o meno, ovvero per quale motivo condividere,postare,bloggare senza una giusta retribuzione? Le riprese amatoriali ed i contributi non sono retribuiti in quanto amatoriali e non detentori di copyright, e Lovink si interroga sul perchè di tale economia gratuita. Per Lovink in un certo senso il web 2.0 è stato creato, forse anche inconsapevolmente, da utenti i quali hanno aderito a tale economia gratuita ed hanno sopratutto creduto al mito del free. Approposito di tale mito del free Lovink ci fa capire che tale fenomeno è un qualcosa di fasullo perchè vi sarà comunque un azienda che si arricchirà grazie al nostro contributo. Inoltre il web 2.0 ed internet non sono affatto gratuiti in quanto in primis si deve disporre di un pc,cavi,connessione ecc... e pertanto si arricchirà chi ne detiene i brevetti, ed i secondo luogo il web 2.0 non è gratuito in quanto gli utenti, se non pecuniariamente, contribuiscono e spendono in altri modi come ad esempio dedicare del tempo o elargire idee e contributi gratuitamente mentre qualcuno si arricchisce alle spalle degli utenti stessi. Forse questo è un fenomeno dettato dall'ignoranza degli utenti, o forse è dettato dal fatto che fin quando un utente non mette mano al proprio portafogli non si rende conto di quando sta sborsando, tuttavia questa politica del free è come una gabbia in quanto i colossi e le aziende del così detto free non parleranno mai della propria economia e dei propri ricavi, ma parleranno sempre e comunque dei loro aggiornamenti,update,migliorie ecc... spacciandole per migliorie al fine di una maggiore e più efficiente usabilità del web. Ma come se non bastasse questo mito del free non solo non è gratuito ma in quanto le nuove generazioni ignorano sia la tematica del web 2.0 e sia il concetto di privacy molte volte si ritroveranno a ricevere anche delle pubblicità, come ad esempio in facebook ove il proprio profilo o profili di amici vengono riutilizzati a fini pubblicitari.
Vorrei inoltre aggiungere che tale politica del free viene così ben spacciata al punto tale da non far rendere conto all'utente che comunque sia in un modo o nell'altro esso paga quel che è il web 2.0.
Per quanto riguarda i blog invece Lovink ci parla anche dello "Zero Comments", dato che si manifesta nel momento in cui vi è un buio totale, una terribile verità per la quale l'argomento bloggato non è di interesse comune e pertanto non riceverà mai risposta alcuna. Ma la tragica verità è che sono molti più i blog che vengono aperti anzichè quelli che ricevono risposta, o meglio sono molte più le persone che scrivono anzichè quelle che leggono!
Innanzitutto mi congratulo con il collega Eugenio Francesco Rimo che è stato capace di riassumere il pensiero di Lovink in maniera molto efficace. Vorrei soltanto segnalare che tra le molteplici citazioni dei vari personaggi, uno in particolare mi è rimasto impresso. Mi riferisco a Danah Boyd; Personaggio importantissimo per quanto riguarda l'analisi degli spazi sociali di cui si parla ampiamente nel primo dei tre saggi di "0 comments". RIPROPONGO(poichè gia' segnato nel libro) qui il suo sito ufficiale: http://www.danah.org/
Per quanto riguarda il saggio analizzato insieme, la questione che più mi ha colpito è quella delle grandi aziende paladine del "free" che in realtà agiscono con un secondo fine, ossia, quello economico. Aziende che ci "regalano" maree di applicazioni e allo stesso tempo analizzano i nostri profili come possibili consumatori, a costo zero e con guadagni esorbitanti.
P.S. Mi scuso di non essere stato per niente partecipe al blog ma dopo aver finito di leggere il primo saggio, mi sono convinto a far parte anche io del CUORE DEL CARCIOFO.
Geert Lovink e' un critico dei media olandese, docente presso l'universita' di Amsterdam. Nel suo ultimo libro, "Zero Comments", una raccolta di tre saggi, si pone in maniera critica verso il fenomeno di internet e, nel caso esaminato al corso, verso il fenomeno della cosiddetta "economia 2.0".
Ci connettiamo ad internet e siamo pervasi dalla "febbre del free". Ci illudiamo di navigare in un mare in cui tutto e' gratis, tutto e' alla portata di tutti e in cui "regaliamo" i nostri contenuti senza aspettarci un ritorno economico. Lo facciamo per narcisismo, perche' altrimenti non avremmo modo di esprimerci, o anche semplicemente perche' si puo' fare. In realta' nessuna societa' mette a disposizione per l'utenza servizi da cui non si aspetta un guadagno. Perche' dovrebbe? Dunque, da qualche parte del web, tra un click ed un altro, c'e' qualcuno che intasca i soldi, e non solo. Forse non ce ne rendiamo conto, ma mettiamo a disposizione di terzi prodotti nostri che, non essendo protetti da copyright, potranno essere in seguito sfruttati da chiunque. Noi paghiamo per i cavi, la connettivita', gli abbonamenti, i software, l'hardware, produciamo contenuti ma siamo stati "educati" a non chiedere niente in cambio. Questo spiega anche la preferenza delle societa' per i dilettanti a discapito dei professionisti: i dilettanti non si alzeranno mai per reclamare una parte del profitto.
Lascio un link con diversi articoli riguardanti Lovink: http://georgiamada.splinder.com/tag/geert+lovink
Girovagando sul web, poi, ho trovato nientepocodimenoche un'intervista a Geert Lovink realizzata nel 2006 dal professor Campanelli. http://www.pressreleaseundercover.com/index.php?option=com_content&task=view&id=43&Itemid=39
DOPO IL COMMENTO DEL MIO COLLEGA EUGENIO SEMBRA QUASI INUTILE POSTARNE UN 'ALTRO..!!!COMPLIMENTI E' PROPRIO COMPLETO..
Lovink Geert ,nato nel 1959 ad Amsterdam, ha studiato Scienze Politiche alla University of Amsterdam. È membro della Adilkno Foundation, una libera associazione di intellettuali legati dall'interesse per i media fondata nel 1983. È stato editore di Mediamatic una rivista di arte, cultura teoria e new media (1989-94) e ha lavorato e insegnato media theory nel centro ed est Europa (Germania, Romania, Ungheria). (WIKIARTPEDIA)
Geert Lovink nel primo saggio letto in aula (orgoglio e gloria del web 2.0) fa un’analisi critica del web 2.0 e soprattutto della funzione dei blog, partendo, dalla loro nascita come conseguenza alle dot-com, fino all’incredibile picco del 2004. In una citazione iniziale li considera “sbrodolature adolescenziali senza senso”, senza senso secondo lui soprattutto interventi aventi “0 comments” appunto.. Con questo titolo ha già detto tutto.. secondo Lovink “le persone che scrivono sono molte di più di quelle che leggono” ciò vuol dire che i blog trattano argomenti che molte volte non interessano la comunità! Quando parliamo del Web 2.0 non possiamo fare a meno di pronunciare due termini importantissimi che sono: “free” e “open” .riguardo questi due termini l’autore si è preoccupato di spiegarli bene visto che (come nel mio caso) alcuni residenti di internet non sanno che sono usati come metafora! “L’ideologia free attrae e accontenta gli utenti nascondendo il fatto che i suoi promotori intascano soldi”. Come componente principale di questa ideologia si usa il forte potere del “linguaggio” che è unico “filtro” tra utente e motore. E a quanto pare funziona!!!!! La fusione più importante tra internet e la popolazione è stata chiarissima nell’esempio del assassinio del regista olandese Theo Va Gogh che ha letto la sua futura morte dai forum e blog …. O meglio shocklog. Siccome vedo che l’argomento economico è presente nella critica di Lovink ( e che sostiene che nulla è gratis basta pensare alla rete,cavi ,cnnessione che paghiamo) l’altro personaggio chiave secondo me è :Danah Boynd che analizza il valore privato che può assumere un blog o un IM(instant messaging) nei giovani di oggi ..che si sentono troppo controllati(3° fase dei suoi 3 spazi di classe :privato pubblico e controllato) !!!!la cosa che si spera è che i giovani riescano a capire che nonostante sia una vita diversa da quella “normale” bisogna pur sempre restare con i piedi sulla terra reale.. La sfida di Boynd è quella di mescolare la vita dei giovani con quella degli adulti in modo tale da trovare un collegamento che spesso non esiste nella realtà stessa .
Analizzando il nostro blog ho fatto un copia incolla di tutte le caratteristiche presenti nel primo saggio in modo da testare come Lovink sulla propria pelle l’esperienza fatta nella blog sfera.. Allora: il nostro blog rispecchia sicuramente alcune caratteristiche lette: innanzi tuttoè un blog quindi la cosa di cui stiamo parlando . . .ci sono degli interventi dove il nostro gruppo può postare comments ,a quanto pare è riuscito perché l’argomento ha interessato quasi tutti .. quindi non è “zero comments” ma sarà “ 100 comments” in più siamo stati noi molto attivi in modo da crearne un senso..e possiamo ritenerci fieri di non aver fatto la fine di DISCORDIA (chiuso dopo 16 mesi per scarsa argomentazione)…sono fiera di fare anche io parte di un buon cuore di carciofo… MARIA GRIMALDI
Questa cosa dell'economia del free credo abbia attirato l'attenzione di molti di noi, almeno di quella parte che come me, non ci hanno mai pensato più di tanto. Tant'è che l'altro giorno,entusiasta di queste scoperte, dicevo ad un mio collega che forse iniziavo a capire il vero motivo e scopo di questo corso (senza nulla togliere alla prima parte più storica e tecnica, indispensabile per comprendere certe cose) cioè quello di affrontare e vivere in maniera critica e disincantata il Web 2.0. Riflettendo su questa parola "free" e ripetandola fra me e me, tanto da creare un freescio ( potevo risparmiarmela, lo so), sono arrivato alla conclusione che qualcosa di realmente gratuito c'è! Ora non sarà propriamente legale ma la prirateria è effettivamente l'unica forma di free che ci sia. Sarebbe bello pensare che questi pirati dell'informatica rubino ai ricchi per dare ai poveri, prendendo dei contenuti riversandoli poi nella rete, ma purtroppo questa cosa tanto cara a noi "scrocconi del web" è altamente dannosa. In primo luogo questa piaga non ruba i ricchi, anzi i veri ricchi quali Google e compagnia, non solo non vengono scalfiti, siccome fondamentalmente non creano contenuti (siamo sempre noi a farlo!) ma inoltre, secondo me, ne traggono anche qualche vantaggio; quindi la pirateria danneggia, per la maggior parte dei casi, soprattutto la piccola editoria, le case discografiche e gli stessi artisti che provano ad autoprodursi, in pratica l'arte stessa. Ho trovato molto interessante, fra le pagine lette in classe del saggio di Lovink ( mi scuserete se non ho riportato anch'io la sua vita, opere e domicilio), un paio di righe a pagina 10 che vi riporto: "I professionisti di vecchia data capiscono quali implicazioni ci sarebbero per i produttori di contenuti se un gigante come google dovesse controllare i flussi di denaro al posto degli editori dei libri...". Questo saggio di Lovink pubblicato nel 2007, scritto quindi un po' prima (se non sbaglio nel 2005), ha praticamente previsto come sarà indirizzato parte del mercato dell'editoria dei libri, che nel 2009 sta iniziando a muovere i suoi primi passi, vi spiego. Alla fiera del libro di Torino di quest'anno è stato presentato "Kindle"- il dispositivo elettronico di Amazon che permette di portarsi a casa intere biblioteche- questo dispositivo non è un semplice lettore elettronico di quelli visti già da un paio di anni, ma grazie ad Amazon (in questo Lovink si è sbagliato, ma non di molto), sarà possibile acquistare i nostri libri direttamente da questo dispositivo, un po come facciamo dal sito di Amazon stesso. Fin qui nulla di allarmante, ma che succede se Amazon un domani, grazie al successo di dispositivi del genere, avrà la possibilità di guidare il mercato dei libri e di dettare i prezzi per l'editoria? Magari contrattando direttamente con gli autori e i loro agenti, tagliando fuori dal mercato una grossa parte di "investitori". Il colosso americano tenderà ad abbassare i prezzi, in conseguenza anche dal fatto che effettivamente ci sarebbe un risparmio di carta, stampa, rilagatura, etc., forse l'unica cosa positiva, però così facendo l'editoria avrebbe meno interessi, sarebbe meno motivata ad investire; gli editori falliranno; gli scrittori avranno una retribuzione ed un merito molto inferiore, che potrebbe scoraggiarli nel pubblicare le proprie opere, e tante altre cose catastrofiche di questo genere... Tornando a quanto detto prima: se la pirateria danneggia editori etc. , questi ultimi, probabilmente, per fronteggiare questo cancro, si affideranno ad Amazon che potrebbe limitare la diffusione illegale dei contenuti, sono sicuro che ci riuscirebbe molto bene, siccome tutto avverrebbe nel nostro bel dispositivo elettronico, provvisto degli appositi diritti d'autore per ogni libro, e che avrà ormai imparato a memoria il codice della nostra carta di credito. Certo tutto quello che ho detto sarà impreciso, esagerato, scopiazzato ma credo debba far riflettere, cosa che dovremmo fare sempre più spesso.
Mi chiedevo: "Siccome Lovink come il professore Campanelli ci hanno insegnato che dovremmo in qualche modo essere ripagati dei nostri contributi, essendo "cuore-turzo" del carciofo"; avendo trasformato un blog da scheletrico qual'era, cioè privo di contenuti, che sono poi la "polpa del blog", arricchito da interventi interessanti, noi in che modo saremo ripagati?? Io un paio di idee le avrei e se questo post sarà pubblicato, vi invito ad intervenire (mi sto giocando l'esame, lo so). Per concludere vi lascio un link (che poi è il vero motivo del mio post), è un trailer di un film che esce quest'anno, si chiama "Surrogates", surrogati cioè, e da quel che ho potuto capire è una summa della maggior parte dei film di fantascienza più conosciuti, da Blade Runner a Ghost in the Shell, da DArk city a Matrix, da Existence a Intelligenza Artificiale, etc. ma volendo anche di Second Life; sinceramente non so cosa ne uscirà, non lascitevi intimidire dal capello dell'attore (Bruce Willis). Secondo me promette bene e magari l'anno prossimo il prof. obbligherà a vedere questo di film per l'esame, chissà. Ovviamente, per voi, questo contributo è totalmente gratuito:
Zero comments, Geert Lovink Il pregio principale di questo libro è quello di porsi il problema che gli apologeti del web 2.0 cercano sempre di nascondere sotto al tappeto: «Perché gli utenti dovrebbero continuare a pubblicare tutti quei dati privati, dai quali una manciata di aziende ricava miliardi di dollari di profitti? Perché dovrebbero cedere gratuitamente i loro contenuti mentre un pugno di imprenditori del Web 2.0 sta facendo i milioni?». http://qwerty.noblogs.org/post/2008/03/24/zero-comments
Dietro la retorica sull'accesso gratuito e sulla libera condivisione delle informazioni — che induce milioni di utenti/consumatori a investire tempo ed energie per produrre la sterminata massa di contenuti «free» che loro stessi consumano — si nasconde il fatto, scrive Lovink, «che c'è sempre qualcuno che, in qualche punto della catena, intasca i soldi». Ciò che viene spacciato per libertà e democrazia dei consumi non è altro che la «nuova frontiera del lavoro volontario e gratuito ». Alimentando il risentimento verso i professionisti dei media, l'industria culturale sfrutta la creatività collettiva degli «amatori», servendosi del loro desiderio di conquistare un secondo di celebrità in un mondo dove solo chi appare nei media esiste veramente. A cascare nella trappola sono soprattutto i giovani frequentatori dei social network, che in Rete soddisfano il bisogno di interagire con il gruppo dei pari, ignorando il fatto che le loro chiacchiere non sono al riparo dagli sguardi indiscreti (e interessati!) del mondo adulto, e gli adepti dell'ingenua ideologia del blogging come pratica «progressista» di controinformazione. Ma la verità, per Lovink, è che la maggioranza dei blog veicolano una cultura conservatrice che si integra alla perfezione nel concerto dei «big media»; e che il loro ruolo è quello di cancellare i confini fra sfera pubblica e sfera privata, laddove chi non vuole rinunciare al grande sogno democratico di Internet dovrebbe, al contrario «tornare a essere utopista». http://lasestina.com/index.php?option=com_content&task=view&id=2861&Itemid=10697
Orgoglio e gloria del web 2.0 - Un saggio di Geert Lovink 31 Agosto, 2008 13:27 Geert Lovink “Benvenuti nel web 2.0!” ci dicono speaker ed opinionisti del mainstream globale e le aziende di IT da almeno un paio di anni. Come sentirsi dire “Buon appetito!” dal macabro pagliaccio di McDonald's “quando riammucchia i suoi strati di carne unta per vendere un prodotto completamente nuovo ogni sei mesi”. E allora benvenuti a McMondo, dove potete consumare prodotti standardizzati e già confezionati su misura per bisogni e desideri pensati da altri per voi. Benvenuti nel web 2.0. Geert Lovink nel breve saggio “Orgoglio e gloria del Web 2.0” ( parte del suo ultimo libro “Zero Comments" ) demolisce, senza nemmeno troppo impegno, il mito di questa tanto sbandierata “Nuova Rete”, criticandone quegli elementi che promettevano la fondazione di una nuova era informatica, e che da verità affermate ed indiscutibili, sotto le riflessioni attente e pungenti del ricercatore olandese si trasformano in palloncini colorati pronti a scoppiare tra le mani dei clown dell'industria dell'informazione... Sta forse per scoppiare un'altra bolla? Da qualsiasi punto lo si voglia vedere questo web, di 2.0 sembra avere ben poco. Secondo Lovink si tratta solo di una “paruccata”, una rivoluzione preconfezionata infarcita di linguaggio nuovista ma che propone un concetto di “new media” riciclato ad uso e consumo degli utenti della rete per il profitto delle “solite” grandi corporation. Ma forse Lovink si sbaglia. Forse noi ci sbagliamo. Forse noi Info Free Flowers, noi fiori malati dell'era dell'informazione, siamo appassiti e decadenti, incapaci di farci avvolgere dai bagliori luminosi di quest' alba della comunicazione. E allora questa volta siamo disposti a misurarci con i nostri limiti, uno per uno, e pronti ad ammettere che fino ad ora non abbiamo capito nulla e che tanto vale chiudere questo blog :-P . Tutti in religioso silenzio ed incollati agli schermi dei vostri computer adesso: ammirate estasiati il nuovo che avanza. continua...
“Il web 2.0 è ricco di nuove tecnologie” Le tecnologie ed i codici su cui si basa non sono in realtà nulla di nuovo: i blog esistono già da almeno una decina d'anni ( anche se è vero, la loro esplosione è avvenuta molto più tardi ), l'html è sempre l'html, RSS è un prodotto di Netscape e risale al '99, mentre Ajax era già diffuso nelle aziende basate sui browser ed è stato trasformato in un fenomeno sociale. “Il web 2.0 è l'evoluzione di quel sogno di democratizzazione e partecipazione globale che è proprio della rete: produce il “bene”, rafforza i legami sociali e l'identità”. Nella tollerante Olanda dopo l'assassinio del regista Theo van Gogh i forum, le chat ed i social network erano stati dei catalizzatori di odi e violenze razziste e xenofobe: un primato per i paesi bassi. Volendo restare in casa nostra potremmo, nostro malgrado, fare l'esempio di Indymedia Italia: il network di media indipendenti nazionale, che sicuramente è stato una delle avanguardie per ciò che riguarda la possibilità per gli utenti di pubblicare contenuti on line, nel 2006 purtroppo chiuse, seppur in modo momentaneo: fra le motivazioni l'uso improprio dell'open pubblishing che aveva reso il newswire un luogo carico di insulti, calunnie, informazioni non vere, minaccie, chiacchiere da bar, azzerando in questo modo non solo la discussione politica, ma anche la stessa possibilità di dialettizzarsi con chiunque. Inoltre non fa mai male ricordare che proprio le aziende occidentali che posseggono le infrastrutture di social network “aperti e democratici” sono le stesse che nei paesi del terzo mondo aiutano i regimi autoritari a costruire i firewall nazionali per permettere agli utenti di gustare l'accesso, con una spruzzatina di controllo sociale, ai servizi da cui loro trarranno profitto. Alla faccia della democrazia. Altro tasto dolente: chi è disposto davvero a partecipare on line e a creare un web cooperativo? A quanto pare sempre meno utenti: la maggior parte sembrano essere “lurkers”, bighelloni e voyeuristi di passaggio. “Il web 2.0 è free/gratuito nella fruizione di un oceano sconfinata di contenuti di qualità prodotti dagli utenti: è la fine del dominio dei professionisti!” Ma qual'è davvero il prezzo di questa gratuità? La profilazione dei comportamenti sociali di milioni e milioni di utenti. E questi profili dove andranno? Da chi verranno utilizzati? A che scopi? Come potranno essere utilizzati in futuro? Potrebbe essere spiacevole il fatto che il vostro datore di lavoro nel 2015 vi licenzi di punto in bianco perché, dopo aver fatto un po' di data mining qua e la, è in disaccordo con un opinione che avevate espresso dieci anni prima. Ma il grande inganno in tutto questo è che i promotori dell'ideologia del free, utilizzano un' arma potente come il linguaggio ( in modo tipicamente manageriale ) per nascondere il fatto che in qualche punto della catena di produzione delle informazioni ( delle informazioni che milioni e milioni di utenti producono ) qualcuno ( un' elité assai ristretta come sempre ) intasca i soldi. Con tanti ringraziamenti per il lavoro gratuito che noi gli offriamo. È bene anche interrogarsi sulla qualità di questi contenuti prodotti dal dilettantismo della rete: “ Se può farlo chiunque, questo significa che tutti sono dotati della stessa sensibilità estetica?” si chiede Lovink. E per ogni video interessante prodotto da un netizen e pubblicato su YouTube quante migliaia di video possiamo trovare presi da Italia 1 e dalla spazzatura della televisione?
“Con il web 2.0 tutti possiamo essere Dj e registi e distribuire on line i nostri podcast senza dover strisciare di fronte al dirigente di turno. Finalmente il mio lavoro di dilettante sarà valorizzato, apprezzato da tutti ed io sarò ricco”.
Contare davvero sul “web 2.0” per essere catapultati nel mainstream significa illudersi non poco. Data l'enormità di contenuti che oggi vengono prodotti e immessi in rete la dipendenza dalle piattaforme di aggregazione e filtraggio dei contenuti è più evidente che mai e su questa dipendenza si sviluppa il finanziamento e lo strapotere dei vari Google, digg, delicious ecc ecc. In questo senso insomma, chi più sembra trarre beneficio sono gli utenti finali ( godimento ) e appunto gli aggregatori e i sistemi di filtraggio ( economico ) grazie alla pubblicità on line, non certo i produttori di contenuti. Anzi a ben vedere la questione, chi produce contenuti paga per poterli mettere on line, dato che internet non è gratis. Da questa prospettiva, il “nuovo e scintillante web”, ripropone in modo quasi identico il modello economico liberista precedente alla bolla speculativa della new economy: pochi soggetti controlleranno le infrastrutture e si arricchiranno grazie ad i soggetti che cedono gratuitamente contenuti. Ed inoltre un consiglio per tutti gli aspiranti videomaker, musicisti o giornalisti che siate. Fate attenzione alle licenze sotto cui Myspace, Youtube o qualsiasi altra piattaforma di social network vi permette di pubblicare contenuti: non vorremmo mai che la melodia con cui avete decantato al mondo l'amore per la vostra compagna diventasse da un giorno all'altro il jingle di un disinfettante per cessi. Le conseguenze potrebbero essere inimmaginabili sul piano sentimentale e probabilmente potrebbe essere irritante per voi constatare che lunghe e dure notti di creatività ( anche perché durante la giornata lavorate come precario con contratto semestrale alla RAI ) faranno intascare qualche altra milionata di euro ad oscuri dirigenti d' azienda che non avete mai visto e che sopratutto non hanno la minima intenzione di darvi un solo euro per il lavoro che vi hanno espropriato. E quindi? Quindi, sostiene Lovink, i problemi rimangono gli stessi del passato: “ il controllo da parte delle corporation, la sorveglianza e la censura, i diritti di 'proprietà intellettuale', i filtri, la sostenibilità economica e la governance” e “nonostante la moda del 'nuovo new', la posizione dei new media all'interno della società non è più vicina alla soluzione di quanto non lo fosse durante la moda del 'vecchio new' della prima bolla della rete”. Ma chi vuole promuovere un uso critico e sociale dei media non può limitarsi a continue ed inutili lamentele. Una critica ideologica a Myspace, seppur sistematica e ben fatta, ne diminuirebbe forse gli acessi? Dove andrebbero quei settanta milioni di utenti? Quale piattaforma offre quella possibilità di interazione? E ancora. Dopo aver fatto questa critica ideologica che cosa ci resta in mano se non la soddisfazione di aver espresso un piano teorico interessante ( per noi ) e la certezza di non aver scalfito minimamente le strutture informatiche ed economiche liberiste su cui i “maledetti” social network si basano? “Dovremmo credere nel potere dell'argomentazione e insistere con la strategia della critica dell'ideologia sapendo che questa fallirà e fallirà ancora?”. E qui purtroppo ( aggiungiamo noi ) si annida ancora la solita fallacia positivista di cui continuiamo ad essere affetti: la critica e la controinformazione sono il primo passo essenziale, ma conoscere la natura di un problema non vuol dire avere la possibilità di controllarlo e tanto meno di risolverlo
Lovink invita quindi ad andare oltre la sterile cultura delle lamentele: “È tempo di tornare ad essere utopisti e cominciare ad edificare una sfera pubblica al di fuori degli interessi a breve termine delle corporation e delle volontà di regolamentare dei governi. È ora di investire nell'educazione, ricostruire la fiducia e svincolarsi dalla retorica securitaria post 11 settembre”. Ma è nelle righe finali di questo suo saggio che Lovink tocca quello che probabilmente è il vero punto di svolta, la vera battaglia da fare per poter mettere in atto questo ambiziose e titanico progetto: se da una parte infatti “hacker, attivisti ed artisti devono essere collettivamente più distanti dalla sfera digitale” da un'altra “i media sociali hanno l'esigenza vitale di sviluppare la propria economia. Regalare i proprio contenuti dovrebbe essere un atto generoso e volontario, non l'unica opzione disponibile. Invece di celebrare il dilettante dovremmo sviluppare una cultura di Internet che aiuti i dilettanti ( che spesso sono i giovani ) a diventare professionisti, cosa che non accade se predichiamo loro che l'unica scelta che hanno è sbarcare il lunario durante il giorno con McJob in modo da poter celebrare la loro libertà durante le lunghe ore notturne passate sulla rete”. http://infofreeflow.noblogs.org/post/2008/08/31/orgoglio-e-gloria-del-web-2.0-un-saggio-di-geert-lovink
Inoltre vi segnalo un sito su cui trovare spunti circa l'economia del web: http://www.pmi.it/marketing/articoli/4014/p1/pmi-blog-e-community-virtuali-valore-e-profitto.html
Scusate ho dovuto sezzettare il testo perchè altrimenti non potevo postrlo!
Innanzitutto ringrazio i miei colleghi per i meriti riconosciutimi, inoltre vorrei dare un altro contributo che dimenticai nella scorsa pubblicazione.
A sottolineare che l'economia del free non è poi così free vorrei dettare un aspetto di facebook, sito che ormai per molti di noi è pane quotidiano tra l'altro. Non so se avete mai notato che spesso in tale applicazione appaiono degli spot nei quali vengono visulaizzate o immagini personali o immagini di nostri conoscenti. Questo direi che è un classico esempio di come il free offertoci sia in qualche modo una falsità, in quanto le nostre foto, e spesso anche generalità visto che compaiono anche i nomi, vengono riutilizzate a scopi di pubblicità e quindi di conseguenza anche a scopi economici. A semplificare l'esempio aggiungo che spesso si vedono degli spot tipo "Testa il tuo quoziente intellettivo", Caterina ha ottenuto 132, Rosaria ha ottenuto 121 e così via... Questo è un classico esempio di come anche noi siamo oggetto di sfruttamento e pubblicità e quindi sottolinea come noi "vittime" del free siamo una sorta di economia per chi detiene i brevetti e diritti del così detto free.
Ma del resto su questo episodio vi sarebbe un lungo discorso da fare, ovvero quello della privacy, elemento che col web 2.0 sta venendo sempre meno, ma nella maggior parte dei casi viene meno anche per causa nostra o perchè siamo costretti a farlo venir meno, nel senso che se io voglio iscrivermi a facebook dovrò per forza accettare il contratto postomi dinanzi se preferirò utilizzate tale applicazione, dato che ho l'intenzione di utilizzare tale applicazione al 99% accetterò tale contratto, e qui siamo nel caso in cui siamo costretti ad accettare un contratto e di conseguenza, come nell'esempio sopra riportato, far venir meno la nostra privacy. In altri casi la colpa è da attribuire a noi utenti in quanto credo che dinanzi a contratti e licenze chilometriche quasi nessuno ha voglia di leggere ciò che ci vien posto dinanzi e di conseguenza accetteremo un pacchetto ad occhi bendati, o meglio dire a fiducia, anche perchè molte volte ormai si pensa "vabbè accetto tanto sono i soliti contrattini, tanto a casa non arriverà nulla da pagare!" e così anche in questo caso la nostra privacy diventa di dominio pubblico per le aziende che offrono applicazioni free.
Vorrei fare un altro appunto che credo sia più che altro una considerazione personale. Col web 2.0 noi abbiamo si avuto migliori condizioni per l'utilizzo del web, e ricordo che l'usabilità DEVE essere una delle caratteristiche principali per il web, tuttavia abbiamo avuto anche la caratteristica dell'impazienza e della frettolosità, li dove una finestra non fa neanche in tempo ad apparire che subito siam li a premere a casaccio senza leggere, siamo nell'epoca dove con le nostre mega connessioni ADSL ed a fibra ottica un ritardo di pochi secondi nell'apertura di una pagina web non è consentito perchè siam impazienti o non riteniamo sia ammissibile date le nostre connessioni mega veloci, forse è anche questo che ci porta a dare tutto per scontato, probabilmente è anche ciò che ci farà ritenere inopportuno leggere i contratti e le licenze che ci appaiono, onde evitare di perdere tempo e mettere a rischio la nostra privacy;logicamente in tale discorso è incluso anche il sottoscritto!
Riguardo il link postato dal nostro collega Adolfo trovo che sia un'anteprima molto interessante e credo che sia senz'altro un film da vedere!
Riguardo invece il discorso che facevi : "avendo trasformato un blog da scheletrico qual'era, cioè privo di contenuti, che sono poi la "polpa del blog", arricchito da interventi interessanti, noi in che modo saremo ripagati??" ... beh siam stati ripagati dal formare una comunità e dall'interagire collettivo carissimo collega eheheh! :-D P.S. ci si vede a lezione ;-)
In primis volevo scusarmi per come ho scritto l'ultimo post, direi abbastanza confusionato; Ringrazio Eugenio per avermi risposto, forse è stato uno dei pochi che avrà letto il mio post e di sicuro uno dei pochi che commenta non solo con parole sue ma soprattutto con idee sue. Giusto per parlarne, niente di personale lo voglio premettere, stavo leggendo il commento della collega Concetta e devo dire che ero rimasto proprio colpito; mentre leggevo (con non pochi complessi di inferiorità) pensavo che era doveroso farle dei complimenti, davvero notevole ma poi, quella fonte citata... Faccio quest'esempio proprio perchè lo tengo qui su, ripeto: niente di personale. L'ho trovato comunque un intervento interessante. Tornando alla mia proposta, che in fondo voleva essere una sorta di provocazione se vogliamo, per quanto stupida, quello che mi aspettavo non erano cose tipo "l'interagire collettivo" (sei troppo buono Eugè) o l'amicizia o altre cose astratte. Io mi riferisco a cose concrete. Sarò forse troppo malizioso o forse il mio intervento è completamente fuori luogo, vabè. Vorrà dire che sarò il solo a chiedere il conto al professore XD
Da quanto letto in classe, sembra che il perno su cui ruoti questo primo discorso di Lovink è il falso mito della libertà di Internet. Falso per diversi aspetti: primo perchè Il Web 2.0 è in realtà controllato da diversi organismi, secondo perché non sempre la rete è un luogo sicuro attraverso il quale poter esprimere pareri personali riguardo forti tematiche, terzo perché questo concetto di libertà è stato più volte convenientemente affiancato a quello di gratuità. Oggi Internet è una tecnologia comparabile o addirittura superiore ai media tradizionali, nessuno potrebbe immaginare di vivere senza il Web, la televisione o il telefono, ma la rete proprio perché tecnologicamente superiore, per la sua varietà e anche più pericolosa. Il problema però, come abbiamo detto, è che i suoi utenti sono sempre in continua crescita e nessuno può prevedere l’uso che essi ne faranno. Allora finchè viene utilizzata per scopi fini a se stessi non c’è nulla di male; ma quando viene usata per diffondere certe idee politiche o addirittura minacce terroristiche, materiali pedopornografici ed altro, allora si comincia a capire quanto la situazione possa diventare rischiosa. Se non ci fossero organi di controllo davvero Internet diventerebbe una jungla, ed è anche giusto che ci siano!!! Quello la maggior parte degli utenti non sa è che il Web è gratuito ma non è libero, se si va a commentare un blog dove c’è un video o un articolo sull’11 settembre, si deve avere consapevolezza di ciò che si dice, del modo e soprattutto bisogna stare attenti a non urtare la sensibilità degli altri. Bisogna saper esprimere le proprie opinioni; tutti non possono dire tutto; ecco perché le democrazia è un concetto limitato quanto la libertà! Anzi secondo me oggi c’è libertà di pensiero ma non di opinione, non si può dire una parola in più che ti ritrovi con la scorta o nei casi peggiori con una pallottola in testa. E se in tutto il mondo funziona così, Internet non è certo luogo d’eccezione. I giovani allora continuano a crearsi spazi “privati” on-line che invece sono costantemente controllati e pubblicizzati, in modo tale che quando sono adulti, nel pieno della loro carriera lavorativa, torna quella foto compromettente di vent’anni prima a farli licenziare. E’ chiaro perché allora Lovink insiste tanto su questo concetto di libertà; il potere della parola è davvero grande ma come tutti i poteri non bisogna mai abusarne.
Libertà, controllo, discorso cyber. Sfatare un mito
1. Il problema del controllo di Internet
La retorica di cui si nutre gran parte del discorso sulle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, mentre ne esalta la portata democratica, tende ad offuscare i problemi legati alle difficoltà economiche e culturali di partecipare alla cybercultura e l’intricata rete di poteri che si stanno confrontando per modellare il cyberspazio sui propri interessi e sui propri valori. E’ perciò importante dare voce alle contraddizioni e ai limiti che stanno caratterizzando questa fase della evoluzione di Internet. L’accesso al cyberspazio è una prerogativa della fascia più colta e ricca della popolazione mondiale; ancora a lungo, probabilmente, la maggioranza dell’umanità non potrà usufruire dei benefici della comunicazione telematica. Porre l’accento su questi problemi strutturali, legati alla mancanza dei presupposti materiali e culturali per partecipare alla rivoluzione informatica, però, non è sufficiente. Altre questioni, associate al controllo tecnico-amministrativo e politico–economico della Rete, sono ugualmente rilevanti. Da quando le aziende e i governi di tutti i paesi del mondo hanno acquisito consapevolezza dell'importanza strategica ed economica della Rete, le discussioni relative agli standard, alla loro evoluzione, al controllo delle tecnologie adibite all’accesso sono uscite dall’ambito strettamente tecnico per diventare argomento centrale dell’arena politica internazionale. Particolarmente importante, da questo punto di vista, è la possibilità di esercitare un controllo sull’organismo preposto all’assegnazione e alla gestione dei domini, possibilità ancora appannaggio esclusivo di un numero ristretto di poteri forti concentrati soprattutto negli Stati Uniti [1].
4. Il cyberspazio tra libertà ed accesso democratico
Ma c’è un’altra questione collegata al tema della libertà sul Web che, sollevata polemicamente da Eisenstein [14], merita di essere presa in considerazione. L’autrice, nel tentativo di smascherare alcune delle relazioni di potere che strutturano il cyberspazio, sostiene la necessità di indagare le ragioni per le quali nel discorso sul cyberspazio tanta parte venga riservata al problema della tutela della libertà di espressione. Secondo Eisenstein, la strenua difesa della libertà (di espressione, di mercato, di diffusione e circolazione dell’informazione), da parte di quelle élite tecnologica che già ha accesso al cyberspazio, sarebbe semplicemente una strategia di offuscamento per giustificare il perdurare di esclusioni e disuguaglianze in quella che viene celebrata come l’arena sociale più libera e democratica che sia mai esistita.
“The real demands that we look at the problem of equality. But the net is concerned, instead, with freedom. And freedom gets defined as unfettered speech. So instead of discussing equal access, or freedom of sexual/gender choice, a debate forms about porn” [15].
Il cyberdiscorso, continua Eisenstein, sembra approvare l’impegno neo-liberale di promuovere la libertà. Ma non è sufficiente sancire il diritto alla libertà per fare in modo che chiunque sia effettivamente messo nella condizione di esercitarlo. Ci sono delle limitazioni strutturali all’attuazione della libertà nel cyberspazio. Questo significa che è giusto impegnarsi affinché ognuno possa cercare in Internet le informazioni che maggiormente gli interessano, senza che queste siano sottoposte a censura. Ma anche che prima di questo diritto deve essere garantita a chiunque la possibilità di accedere al cyberspazio. Eisenstein, dunque, richiama l’attenzione sul problema del divario digitale ed accusa quell’élite che costituisce la popolazione del cyberspazio di ripiegarsi sterilmente su sé stessa, con discorsi pretestuosi, pur di non ascoltare l’istanza di democraticità che proviene dal mondo reale.
Provocazione accolta Adolfo! Perché, leggendo i tuoi commenti, ho capito che il tuo intento è quello di provocare, suscitare reazioni e confrontarti con il pensiero “proprio” di una persona senza che essa si celi dietro “un copia e incolla” preso qua e là nella rete. E’ vero è interessante la mia citazione e sono contenta di averla scovata e posta all’attenzione dei nostri colleghi, in quanto riassume molto bene il pensiero di Lovink riguardo il saggio da noi trattato. Vorrei anche aggiungermi se mi è consentito, e questo non è un complesso di superiorità, in quei pochi che secondo te in questo blog postano esprimendo pensieri propri: infatti molte volte il mio copia e incolla è stato accompagnato dal mio pensiero, altre volte mi sono avvalsa della mia creatività applicandola alle mie opinioni e alle mie conoscenze per postare. Ora vorrei aggiungere la mia opinione circa l’argomento principale della nostra discussione, ovvero Lovink, con la consapevolezza che le mie parole non saranno mai degne di elogio come quelle che troviamo nel Web, ma sono pur sempre le mie opinioni ed è meglio tenersele strette visto che sono preziose(come ormai abbiamo appurato). Bene, non mi sono mai posta tanti interrogativi come in questi giorni navigando in Internet. Mi ha colpito molto la storia del regista Theo van Gogh. Minacciato e offeso attraverso la stessa rete dove anche lui lavorava. Ma nessuno ha dato importanza alle parole dei fondamentalisti, perché tanto Internet è anche questo: un raccoglitore di provocazioni, che nulla però restituisce. Intanto lui è morto davvero, mentre i blog sono diventati veri e propri bigliettini d’auguri attraverso cui congratularsi per aver fatto pulizia ed eliminato il regista, mentre qualcuno guadagnava con tutte queste manifestazioni personali. Dall’altra parte insorge anche l’Olanda, che mette da parte la tanto apprezzata tolleranza, utilizzando la rete per esprimere sentimenti che altrimenti sarebbero rimasti chiusi nella’animo della gente, che invece nel Web trova il confidente giusto con cui condividerli. Prendiamo i ragazzi di cui parla Danah Boyd: il loro unico desiderio è creare uno spazio in cui sono loro a dettar legge, e poi poco importa se mentre si è troppo impegnati a chattare qualcuno analizza il loro profilo o vengono sommersi dalle pubblicità. Queste ultime si possono sempre cestinare e poi via al lavoro, pronti a creare. Adulti e ragazzi sono troppo presi dal voler sfruttare le possibilità offerte loro dalla rete: la principale è quella di poter essere qualcuno. Riflettiamo ad esempio sull’euforia di alcuni quando scoprono di essere taggati: è troppo grande come è di vitale importanza far sapere a tutti il pensiero del giorno, per pensare che mentre noi passiamo ore ed ore incollati ad uno schermo altri, pochi, nascosti, più furbi di noi creano milioni di nuovi linguaggi o slogan a regola d’arte per catturare la nostra attenzione ed assicurarsi il record di clicks del giorno. E tutto questo vuol dire denaro, denaro che i netizens( che sono coloro che partecipano attivamente alla vita di Internet offrendo, anzi regalando, i propri contributi) non riceveranno mai. (continua nel post successivo)
La domanda a questo punto nasce spontanea: ma le folle, la massa accetta tutto ciò’? Accetta di contribuire “free”? Ma credo che non sia neppure in grado di porsi tale interrogativo dal momento che i pochi furbi riescono a distrarci offrendoci link su link : e noi siamo contenti perché poi ci serviamo delle ricerche fatte in rete, anche se alla fine non pensiamo mai che è tutto un ciclo, che siamo noi a produrre i contenuti del web: io guardo il tuo video tu leggi il mio commento. Anzi pensiamo che persone molto pazienti aprono nuovi siti ed inseriscano contenuti utili, che ci divertono solo per la nostra felicità! Non è così: quelle persone che stanno dietro, i programmatori, gli organizzatori sono pazienti solo perché aspettano il nostro click! Quindi dovrebbe essere la massa ad insorgere e ad aprire gli occhi chiedendo un riconoscimento per la propria creatività: ma credo anche che senza quei pochi furbi organizzatori di cui parlo, noi non riusciremmo a gestire da soli né Internet né il Web 2.0 (come la Formula1 senza Ferrari sarebbe un’altra Formula). Detto ciò , Adolfo ti ringrazio della provocazione perché hai fatto in modo che io potessi dire la mia, anche se forse il mio pensiero non è molto critico né magari interessante rispetto alle belle parole che il Web ci offre. Ma così abbiamo fatto un po’ il "gioco"(spero che mi sia consentita tale espressione) di cui parla Lovink: tu ti sei servito di un filtro, un linguaggio che tra le righe nascondeva una chiara provocazione, ed io da brava netizen ho contribuito ad arricchire il nostro blog: non è che,però, ci guadagni di nascosto? Spero soltanto che il reale guadagno sia stato avere un confronto di opinioni!!!
I blog personali, che ormai popolano la rete, sono per la maggior parte delle vere e proprie vetrine. Molti ragazzi aprono il proprio blog per cercare di avere l'attenzione su di sé. Il risultato è come ci informa Lovink, una miriade di blog e pochissime persone che li leggono. Credo che il blog sia anche una forma di spazio pubblico e privato. Pubblico perché appunto cerco di attirare l'attenzione sul mio post ed esprimo e divulgo i miei pensieri a chiunque, magari poi se ricevo dei commenti è ancora meglio! Privato perché posso usarlo come spazio per sfogarmi e chiedere opinioni e consigli ai miei amici oppure a sconosciuti che essendo tali dovrebbero essere obiettivi. E poi c'è una parte che invece crea un blog per mostrare agli altri la propria arte, si va da lavori di grafica, a mobili realizzati riciclando, a racconti e poesie personali. E infine, ci sono coloro che scelgono di aprire un blog soltanto per moda e dopo l'euforia dei primi giorni, diventeranno spazi vuoti, abbandonati a loro stessi. Ciò che tutti noi apprezziamo della rete è proprio questo: ognuno può fare ciò che vuole (più o meno). Ci accontentiamo di questo, senza pensare che magari qualcuno più "forte" di noi, spiandoci sta semplicemente sfruttandoci per dei propri vantaggi e guadagni. Forse la maggior parte di noi nemmeno se l'è posto questo problema, o comunque lo ignoriamo perché l'importante è esprimere la nostra opinione e fin quando ci sarà permesso questo, il resto non conta. La cosa shockante è però che molto spesso si fa un uso scorretto di questo grande mezzo di comunicazione (lo so ho fatto la scoperta dell'acqua calda), si creano comunità estremiste che non si fermano ad insultare ed offendere gli altri, ma vanno oltre come nel caso del regista Theo Van Gogh. La cosa sconcertante è che sia stata probabilmente proprio questa tecnologia da noi tanto amata, ad aver "spinto" l'estremista islamico ad assassinare il regista! Nel senso che appunto i vari forum,chat e gruppi nati contro il regista abbiano contribuito notevolmente a disprezzarlo ed odiarlo, tanto che alla fine è stato brutalmente assassinato. E per di più è stato anche detto che Allah avrebbe trionfato! Non so voi, ma io sono altamente sconvolta! Alla fine l'arma che noi crediamo di avere dalla parte del manico, si è rivoltata, in questo caso ma anche in molti altri, contro: ha portato alla morte un regista soltanto per aver girato un film sulla condizione delle donne nell'Islam, e quindi per aver mostrato la realtà delle cose!
Internet è per tutti noi, e penso che questo sia appurato, un nuovo dio, un vero e proprio deus ex machina (espressione quanto mai appropriata in questo caso) che ha definito e ri-definito la vita di vecchie e nuove generazioni. L'euforia che ha accompagnato il web, in un primo momento concretizzatasi in quel folle incedere delle dot.com, si è trasferita, stando al passo coi tempi e con l'arrivo del web 2.0, a noi, singole persone. La mentalità del "free" ci ha stregato, ci ha tratto in inganno magistralmente, senza che nessuno di noi, o almeno la grande maggioranza, se ne rendesse conto. La rete è un mare infinito, e, come abbiamo potuto constatare, costituito principalmente da noia; il Web, come poteva essere stata la televisione a suo modo, è divenuto nuovo maestro e baby-sitter universale, sopratutto per le nuove generazioni, come ci conferma Danah Boyd nei suoi studi che ci mostrano degli adolescenti in fuga da una realtà "controllata" fatta di genitori e professori, che si rifugiano nel web, luogo per loro franco e libero da obblighi, ignorando il fatto che è il posto più controllato che ci sia. Sbatterci una marea di opzioni e software in faccia, a prezzi gratuiti, darci tutto e subito, a questo ci ha abituato questa linea del "free"; e noi ci siamo caduti in pieno, in questa rete, in tutti i sensi. Social Network e Blog, gigantesche entità fagocitanti emozioni e storie personali, foto, notizie shock, video insulsi, gente minacciata (e uccisa)online, vedere il caso Van Gogh. Tutto fa brodo, ormai il web fa parte delle nostre vite, della nostra quotidianità, non siamo più capaci di razionalizzare le nostre azioni sulla rete. Tutto è veloce, immediato, basta un clic li, un commento da quell'altra parte, un "mi piace" su Facebook e ci sentiamo meglio. Siamo diventati una nuova generazione di schiavi, non necessitiamo di essere deportati, lavoriamo a casa, chiusi in una prigione che non ha luogo fisico, non ha sbarre; lavoriamo per i nostri padroni e siamo felici di farlo, siamo felici di dare tutte le nostre idee in pasto a questo calderone fatto di pubblicità e grandi guadagni, alla faccia della dignità, almeno però il nostro ego è alle stelle. La gente sembra faticare a capire che il web non è un luogo fatato dove le leggi non valgono, dove le opinioni espresse non contano, dove le idee in gioco sono scherzi. Bisogna capire che questa rete, strumento incredibile, che come tutti gli strumenti può portare a risultati buoni o cattivi, a seconda dell'uso che se ne fa, è al giorno d'oggi esistene grazie a noi, utenti che la popoliamo e siamo noi, anche se non ne siamo coscienti, a tenerne le redini anche se indirettamente. Le nostre foto, ciò che scriviamo, ciò che proviamo diviene tutto a buon mercato, pubblicità, guadagno; le nostre idee vengono stuprate in funzione di ciò che servirà in futuro a chi orchestra tutto dall'altro, e noi "zitti sotto" (tanto per citare Troisi e Benigni). Ha ragione Lovink, e di certo non serviva un mio commento per capirlo, quando afferma che c'è bisogno di una presa di coscienza generale perchè questo sistema del "free" aiuta solamente chi tira le fila, i dilettanti non riescono a diventare professionisti, e le idee vengono strumentalizzate, cambiate, uniformate, e, nella maggior parte dei casi, escluse del tutto, dato che al massimo ci viene chiesto se accettare o no una amicizia su qualche network, per dare in pasto a noi stessi una bella dose di autostima; chissà, magari fra un mese avremo 40 nuovi amici in rete e allora si chepotremo vantarci, allora si che ce l'avremo lungo....il nostro pedigree 2.0.
Commenti sugli argomenti della prima parte di Zero Comments
Blog: Credo che la maggior parte dei giovani veda i blog come un’opportunità; opportunità di esprimersi liberamente, sfogarsi, essere ascoltati (?) e condividere. Cose che fino a qualche anno fa facevamo al telefono con un amico, attenti a non farci sentire dai nostri genitori, ora le facciamo su siti di social networking, sui blog, sulle chat, forse convinti che le nostre parole non potranno mai essere intercettate, le nostre foto mai essere viste, i nostri segreti mai essere scoperti… Facciamo dei blog i nostri diari, solo che qui non possiamo strappare le pagine né gettare via il “diario”: tutto resta in rete anche quando non lo vediamo più. Forse molti di noi lo sanno, eppure ci sembra indispensabile pubblicare le nostre foto su Facebook, mettere i nostri video su You Tube e avere un profilo su My Space; perché ormai la società è lì, in rete. Chi fa ancora un tradizionale album fotografico da tenere in casa e mostrare ad un amico che viene a trovarci? Nessuno. Ora siamo noi che andiamo a cercare chi guarderà le nostre foto in rete. Fondamentalmente, per noi la rete è questo: condivisione, scambio, comunicazione, svago, divertimento; ci sembrerebbe assurdo anche solo pensare che per quelle “sciocchezze” pubblicate su un blog dovremmo anche essere “pagati”. E’ come andare al supermercato, fare la spesa e alla fine andare dal cassiere che ci dice “grazie per averci scelto! Ecco a lei il denaro per il suo contributo!” Insomma, è qualcosa che non c’è nella mentalità comune. Noi non ci sentiamo “clienti”, come dice Mc Kiben, non ci sembra di acquistare ma di usufruire gratuitamente. Internet per noi è FREE. Ma in realtà FREE è l’abuso che fanno di noi. Rita Cafiero
Shocklog: una delle possibilità di Internet è quella di arrivare a miliardi di persone più o meno contemporaneamente; quando questo significa diffondere un messaggio forte che può avere ripercussioni sociali la cosa è spaventosa. Se nel faccia a faccia della vita reale abbiamo paura di esprimerci, in rete tutto è “più facile”; ed è altrettanto facile creare un’unione, un movimento di pensiero, un gruppo mosso da ideali comuni. Pensiamo ai gruppi di Facebook: alcuni sono semplici svaghi, altri sono gruppi seri, che si riuniscono, organizzano eventi, agiscono in qualche modo nel sociale; ed hanno molti più membri questi gruppi che non quelli che si creano nella vita reale. Su Facebook ci sono gruppi politici, fanclub, ultimamente vi si fa anche campagna elettorale… credo che non sia un passo molto lungo da qui agli shocklogs.
Spazi: è vero, i giovani in generale tendono a ricreare i propri spazi vitali sul web; quello che prima c’era nel nostro cassettino segreto ora sta nel nostro blog. Tutto avviene nelo spazio apparentemente privato di Internet, che ormai è sempre con noi: quando vogliamo e uvunque ci troviamo, ci basta un pc portatile o un cellulare di ultima generazione per entrare nel nostro mondo, dove tutto ciò che avviene non verrà mai scoperto da chi noi non vogliamo (i nostri genitori, i professori, gli adulti in genere)… a meno che “qualcuno” non renda pubbliche le nostre pubblicazioni, le nostre foto, le nostre conversazioni, i siti che visitiamo… “rischi del mestiere”. Mi ha colpita in particolare una frase di Danah Boyd: “Spesso questa dinamica distrugge il valore più importante della relazione tra genitore e figlio: la fiducia” (Zero Comments, pag. 27). Cos’è, infondo, che ci spinge a questo ossessivo controllo se non la mancanza di fiducia? E questo, prima ancora dell’avvento di Internet, avveniva anche con le telefonate (spiate, registrate, controllate), e prima ancora con le lettere e i diari (trovati nei loro posti segreti e letti a insaputa dei loro possessori); insomma, è la storia più vecchia del mondo. Ma ora in ballo c’è il web intero: per ingannare una persona possiamo fingerci qualcun altro, o mille altri; alla fine ci troveremo con mille identità, in una situazione in cui nessuno sa realmente chi siamo, e forse neanche noi lo sappiamo. Mi sembra la massima realizzazione della teoria di Pirandello: attraverso la “maschera” di Internet, possiamo essere centomila pur restando una sola persona davanti ad un monitor; ma alla fine non saremo nessuno. E se questa maschera un giorno ci verrà tolta, ed è possibilissimo, le conseguenze ci saranno eccome. Per questo è bene che si faccia un uso cosciente di questo media, e soprattutto è bene che si rifletta su qual è davvero il nostro spazio.
Economia 2.0: quando si è capito che con Internet si potevano fare soldi, la tentazione è stata irresistibile. Nello scoprire poi che le fonti di guadagno (noi) possono essere usate a proprio piacimento e a loro “insaputa”, i “crociati della free economy” si sono dati da fare. E’ chiaro che vanno ricercati modelli alternativi, ma come sarebbe possibile, visto che quelli attuali sono quasi del tutto disconosciuti dalla massa? Crediamo ancora tutti alla favola del FREE, ma è il momento di svegliarsi: “mentre la rete si assume nuovi rischi il potere è sempre più concentrato in poche mani” (Zero Comments, pag. 33). Questo è capitalismo puro. La massa, “nemmeno presa in considerazione come pubblico” (Zero Comments, pag. 21), procuce e pochi guadagnano. Intanto, forse un primo segnale di “riconoscimento” dell’importanza dei “dilettanti” c’è: il fatto che le loro notizie vengono utilizzate dai media. Ora, sta a questi “amatori” decidere: continuare a regalare contributi o farsi furbi? Una cosa è voler regalare qualcosa, una cosa è essere obbligati o peggio ancora sentirsi obbligati a farlo; che fare, allora, vendere i propri contributi? Non li comprerebbe nessuno. Però sono convinta che se la smettessimo tutti di regalarli, qualcuno li richiederebbe.
La polverizzazione delle imprese dot-com nel 2001 non ha lasciato solo macerie, ma ha alimentato la diffusione della cosiddetta blogsfera, cioè di quei siti Internet che consentono una interattività in tempo reale tra chi scrive e chi legge, consentendo così il commento al testo «postato». Nella maggioranza degli oltre cento milioni di blog i testi presentano però il perentorio messaggio zero comment, elemento che smentisce proprio quella tanto decantata interattività del cyberspazio. Ed è proprio a partire da questa aporia tra la retorica dell'interattività e la sua assenza che prende le mosse il libro di Geert Lovink Zero comment. Geert Lovink è un veterano della network culture. Con i suoi libri ha contribuito a una vera e propria «storia del presente» digitale. È stato infatti l'ispiratore di Nettime, una delle mailing list più interessanti degli anni Novanta; è stato inoltre testimone partecipe della cosiddetta media art; ha altresì analizzato puntualmente l'euforia della new economy, con la conseguente «depressione» derivata della sua crisi. La sua analisi della blogsfera è quindi in piena linea di continuità con la sua attività di media theorist, come talvolta ama definirsi. Fonte: http://www.complexlab.com/complexlab/zero-comments-il-bel-libro-di-geert-lovink/ In questo libro sono analizzati criticamente alcuni luoghi comuni dei blog. Nei primi due capitoli del suo saggio, Lovink si concentra sullo studio dei blog. In particolare ne primo capitolo “Orgoglio e gloria del Web 2.0” Lovink ripercorre lo sviluppo dei blog, partendo dalle forme di aggregazione virtuale quali le liste di distribuzione (mailing list), per arrivare al Web 2.0 che definisce il “trionfo del dilettantismo” e del gratuito. Lovink attacca proprio questa gratuità, che genera ineguaglianza sociale. Mentre i blogger amatoriali, bravi o no che siano, non riescono a fare soldi con il loro blog se non riempendolo di pubblicità, rendendolo così “troppo simile ai portali barocchi di fine anni ‘90”, pochi imprenditori riescono a sfruttare il lavoro di questi molti (blogger) e ricavarne milioni. “i blogger sono creano arcipelaghi di link interni, ma si tratta di legami molto deboli”.
MICROBLOGGING Time incorona Twitter "Cambierà il mondo" Sulla copertina il servizio di messaggistica istantanea che sta conquistando il mondo con frasi di 140 caratteri. E' ormai il più serio concorrente di Facebook di ERNESTO ASSANTE
"TWITTER cambierà il modo in cui viviamo". E' il settimanale americano Time a dirlo, portando il sito di "microblogging" sulla copertina del suo nuovo numero, celebrandone i fasti e, soprattutto, la capacità di innovare il mondo dell'informazione. Nato nel 2006 negli uffici della Obvious Corporation di San Francisco, Twitter è un servizio Internet che permette agli utenti di mandare messaggi di testo, lunghi non più di 140 caratteri, tramite il sito stesso, via sms, o utilizzando la messaggistica istantanea e l'e-mail.
Ogni messaggio appare nella pagina web dell'utente e viene, questa è la novità più rilevante, mandato istantaneamente agli altri utenti che si sono registrati per riceverli. E i messaggi possono essere ricevuti anche sul cellulare.
In pochi mesi Twitter (che prende il nome dal "tweet" il cinguettare degli uccelli) è diventato un vero e proprio fenomeno sociale, i brevi messaggi inviati in diretta sono fonte d'informazioni importanti o di comunicazioni tra amici, ci si trovano le news dei principali giornali o, come è accaduto giusto ieri, le notizie rosa come la nascita del nuovo figlio che Lance Armstrong ha voluto comunicare al mondo proprio via Twitter.
Su Twitter, insomma, c'è la frontiera del "microgiornalismo", fatto di articoli di 140 battute: "I limiti sono evidenti", dice Ana Marie Cox di Time, "ma anche i pregi. I piccoli post su Twitter catturano l'atmosfera, il momento, l'eccitazione degli eventi che stiamo seguendo, meglio di molti resoconti scritti a freddo". Secondo Time il microgiornalismo sta avendo un impatto straordinario sulle nostre vite, ci sta abituando ad un informazione che solo apparentemente è breve e sommaria ma che in realtà è nuova e diversa, immediata e emozionale. "140 caratteri non sono un limite, sono una spinta alla creatività", sostiene ancora la Cox.
I grandi giornali americani hanno già "twitterizzato" da tempo la loro informazione, e così anche le agenzie di stampa. Il principale motivo è, ovviamente, quello di raggiungere in ogni modo il pubblico, il lettore. E poi c'è il dato economico: produrre giornalismo con gli sms costa poco, distribuirlo tramite i siti di social networking costa ancora meno.
Il secondo aspetto che rende Twitter diverso dagli altri siti di social networking, è che ogni utente può seguire le sue star preferite, che quotidianamente lasciano dei piccoli "tweet" sulla loro vita. Attori e attrici, star musicali e cinematografiche, politici, personaggi pubblici, ognuno manda messaggi e ha centinaia di migliaia di "followers", che ricevono aggiornamenti continui. Un rapporto con le star che sembra familiare, personale, diretto, e che per la prima volta è totalmente senza mediazioni.
I dati segnano Twitter in grandissima ascesa, anche se i dominio di Facebook è inattaccabile: i dati della Nielsen dicono che in aprile gli utenti di Facebook sono stati collegati al sito per 14 miliardi di minuti, 5 miliardi su MySpace, 300 milioni su Twitter. Ma se il tempo speso su Facebook è cresciuto del 699% in un anno, quello su Twitter ha avuto un balzo in avanti del 3712%.
Non è un paradosso il fatto che Internet generata dai militari, di solito così gerarchici, abbia un carattere anarchico fin dagli esordi …! La rete, infatti, sin dall’inizio era priva di strutture formali di comando ed è per questo che si è sviluppato intorno ad essa il “mito della libertà” diffondendo la grande espansione di libertà (appunto) che internet rappresenta. Internet è stato ed è ancora sede di commercio, economia e presto la parola libertà è stata tradotta dal “viscido linguaggio del business” in free, lasciando trasparire in esso un senso di gratuità. Con il web 2.0 (un cambiamento non strutturale ma di approccio al web) nascono gli open source che danno la possibilità ad ognuno di noi di creare un proprio sito web, interagire su altri …; ed è proprio questo il periodo in cui nascono i blog. Ognuno quindi può partecipare al web e lo fa spinto anche dalla falsa ideologia del free ormai diffusa, “ingannando” l’utente fiducioso di tale risorsa. In realtà non si può parlare di gratuità, tant’è vero che, a parte i costi del PC, cavi, connessioni e quanto altro serve per potersi collegare ad Internet, noi sviluppiamo economia sia producendo contenuti sia visitando semplicemente un sito … Ma la cosa grave è che noi “lavoriamo” facendo inconsapevolmente intascare i soldi ai promotori e soprattutto lo facciamo gratuitamente. Ecco quello che Lovink vuole farci capire: chi offre contenuti e risorse gratis siamo noi utenti e non certamente i tanto declamati “generosi” promotori!!! Non ci illudiamo, l’etica hacker non esiste più: il nostro mondo è troppo “opportunistico” per continuarla a diffondere.
A proposito di orgoglio e gloria del web 2.0 ciò che sta accadendo in Iran è il miglior commento. giovani internauti si fanno beffa del regime e fanno sapere al resto del mondo cosa sta accadendo veramente nel paese ( gli stessi inviati sono tenuti lontani dalla piazza che protesta). Ahmadinejad mette il bavaglio e il web ancora una volta si dimostra il più potente mezzo di libertà d'espressione in un gioco "dentro-fuori" che ha dello stupefacente. C'è da augurarsi che internet sfugga ai ripetuti attacchi, non degli hacker, ma di chi lo vuole imbavagliare: Cina, Iran e ahinoi anche l'Italia con il decreto sulle intercettazioni. Molte norme limitative riguardano proprio il web.
Lovink è un critico olandese che insegnerà anche presso l'università di Amsterdam e sarà anche l'ideatore della mailing list olandese la quale si porrà in maniera critica nei confronti di internet e del web 2.0 .
RispondiEliminaLovink sarà anche direttore di un centro di ricerca chiamato "Institute of Network Culture"
La riflessione di Loving si manifesta a metà del boom dei blog e si avvale anche di alcuni eventi come ad esempio lo Tsunami del 2004.
Blog,wiki e social network venivano presentati come la nuova era del lavoro volontario e comunitario, tale tesi fu confermata ad esempio dallo Tsunami del 2004, evento che fu testimoniato non mai mass media, ma grazie a riprese amatoriali, da sottlineare che l'informazione da parte dei mass media circa tale evento naturale fu possibile grazie a delle riprese amatoriali, con conseguente arricchimento dei mass media.
Lovink si interroga appunto circa il fatto se questo tipo di economia sia conveniente o meno, ovvero per quale motivo condividere,postare,bloggare senza una giusta retribuzione?
Le riprese amatoriali ed i contributi non sono retribuiti in quanto amatoriali e non detentori di copyright, e Lovink si interroga sul perchè di tale economia gratuita.
Per Lovink in un certo senso il web 2.0 è stato creato, forse anche inconsapevolmente, da utenti i quali hanno aderito a tale economia gratuita ed hanno sopratutto creduto al mito del free.
Approposito di tale mito del free Lovink ci fa capire che tale fenomeno è un qualcosa di fasullo perchè vi sarà comunque un azienda che si arricchirà grazie al nostro contributo.
Inoltre il web 2.0 ed internet non sono affatto gratuiti in quanto in primis si deve disporre di un pc,cavi,connessione ecc... e pertanto si arricchirà chi ne detiene i brevetti, ed i secondo luogo il web 2.0 non è gratuito in quanto gli utenti, se non pecuniariamente, contribuiscono e spendono in altri modi come ad esempio dedicare del tempo o elargire idee e contributi gratuitamente mentre qualcuno si arricchisce alle spalle degli utenti stessi.
Forse questo è un fenomeno dettato dall'ignoranza degli utenti, o forse è dettato dal fatto che fin quando un utente non mette mano al proprio portafogli non si rende conto di quando sta sborsando, tuttavia questa politica del free è come una gabbia in quanto i colossi e le aziende del così detto free non parleranno mai della propria economia e dei propri ricavi, ma parleranno sempre e comunque dei loro aggiornamenti,update,migliorie ecc... spacciandole per migliorie al fine di una maggiore e più efficiente usabilità del web.
Ma come se non bastasse questo mito del free non solo non è gratuito ma in quanto le nuove generazioni ignorano sia la tematica del web 2.0 e sia il concetto di privacy molte volte si ritroveranno a ricevere anche delle pubblicità, come ad esempio in facebook ove il proprio profilo o profili di amici vengono riutilizzati a fini pubblicitari.
Vorrei inoltre aggiungere che tale politica del free viene così ben spacciata al punto tale da non far rendere conto all'utente che comunque sia in un modo o nell'altro esso paga quel che è il web 2.0.
Per quanto riguarda i blog invece Lovink ci parla anche dello "Zero Comments", dato che si manifesta nel momento in cui vi è un buio totale, una terribile verità per la quale l'argomento bloggato non è di interesse comune e pertanto non riceverà mai risposta alcuna.
Ma la tragica verità è che sono molti più i blog che vengono aperti anzichè quelli che ricevono risposta, o meglio sono molte più le persone che scrivono anzichè quelle che leggono!
Innanzitutto mi congratulo con il collega Eugenio Francesco Rimo che è stato capace di riassumere il pensiero di Lovink in maniera molto efficace. Vorrei soltanto segnalare che tra le molteplici citazioni dei vari personaggi, uno in particolare mi è rimasto impresso. Mi riferisco a Danah Boyd; Personaggio importantissimo per quanto riguarda l'analisi degli spazi sociali di cui si parla ampiamente nel primo dei tre saggi di "0 comments". RIPROPONGO(poichè gia' segnato nel libro) qui il suo sito ufficiale: http://www.danah.org/
RispondiEliminaPer quanto riguarda il saggio analizzato insieme, la questione che più mi ha colpito è quella delle grandi aziende paladine del "free" che in realtà agiscono con un secondo fine, ossia, quello economico. Aziende che ci "regalano" maree di applicazioni e allo stesso tempo analizzano i nostri profili come possibili consumatori, a costo zero e con guadagni esorbitanti.
P.S. Mi scuso di non essere stato per niente partecipe al blog ma dopo aver finito di leggere il primo saggio, mi sono convinto a far parte anche io del CUORE DEL CARCIOFO.
Geert Lovink e' un critico dei media olandese, docente presso l'universita' di Amsterdam. Nel suo ultimo libro, "Zero Comments", una raccolta di tre saggi, si pone in maniera critica verso il fenomeno di internet e, nel caso esaminato al corso, verso il fenomeno della cosiddetta "economia 2.0".
RispondiEliminaCi connettiamo ad internet e siamo pervasi dalla "febbre del free". Ci illudiamo di navigare in un mare in cui tutto e' gratis, tutto e' alla portata di tutti e in cui "regaliamo" i nostri contenuti senza aspettarci un ritorno economico. Lo facciamo per narcisismo, perche' altrimenti non avremmo modo di esprimerci, o anche semplicemente perche' si puo' fare. In realta' nessuna societa' mette a disposizione per l'utenza servizi da cui non si aspetta un guadagno. Perche' dovrebbe?
Dunque, da qualche parte del web, tra un click ed un altro, c'e' qualcuno che intasca i soldi, e non solo. Forse non ce ne rendiamo conto, ma mettiamo a disposizione di terzi prodotti nostri che, non essendo protetti da copyright, potranno essere in seguito sfruttati da chiunque.
Noi paghiamo per i cavi, la connettivita', gli abbonamenti, i software, l'hardware, produciamo contenuti ma siamo stati "educati" a non chiedere niente in cambio. Questo spiega anche la preferenza delle societa' per i dilettanti a discapito dei professionisti: i dilettanti non si alzeranno mai per reclamare una parte del profitto.
Lascio un link con diversi articoli riguardanti Lovink:
http://georgiamada.splinder.com/tag/geert+lovink
Girovagando sul web, poi, ho trovato nientepocodimenoche un'intervista a Geert Lovink realizzata nel 2006 dal professor Campanelli.
http://www.pressreleaseundercover.com/index.php?option=com_content&task=view&id=43&Itemid=39
DOPO IL COMMENTO DEL MIO COLLEGA EUGENIO SEMBRA QUASI INUTILE POSTARNE UN 'ALTRO..!!!COMPLIMENTI E' PROPRIO COMPLETO..
RispondiEliminaLovink Geert ,nato nel 1959 ad Amsterdam, ha studiato Scienze Politiche alla University of Amsterdam. È membro della Adilkno Foundation, una libera associazione di intellettuali legati dall'interesse per i media fondata nel 1983. È stato editore di Mediamatic una rivista di arte, cultura teoria e new media (1989-94) e ha lavorato e insegnato media theory nel centro ed est Europa (Germania, Romania, Ungheria).
(WIKIARTPEDIA)
Geert Lovink nel primo saggio letto in aula (orgoglio e gloria del web 2.0) fa un’analisi critica del web 2.0 e soprattutto della funzione dei blog, partendo, dalla loro nascita come conseguenza alle dot-com, fino all’incredibile picco del 2004.
In una citazione iniziale li considera “sbrodolature adolescenziali senza senso”, senza senso secondo lui soprattutto interventi aventi “0 comments” appunto.. Con questo titolo ha già detto tutto.. secondo Lovink “le persone che scrivono sono molte di più di quelle che leggono” ciò vuol dire che i blog trattano argomenti che molte volte non interessano la comunità!
Quando parliamo del Web 2.0 non possiamo fare a meno di pronunciare due termini importantissimi che sono: “free” e “open” .riguardo questi due termini l’autore si è preoccupato di spiegarli bene visto che (come nel mio caso) alcuni residenti di internet non sanno che sono usati come metafora!
“L’ideologia free attrae e accontenta gli utenti nascondendo il fatto che i suoi promotori intascano soldi”. Come componente principale di questa ideologia si usa il forte potere del “linguaggio” che è unico “filtro” tra utente e motore. E a quanto pare funziona!!!!!
La fusione più importante tra internet e la popolazione è stata chiarissima nell’esempio del assassinio del regista olandese Theo Va Gogh che ha letto la sua futura morte dai forum e blog ….
O meglio shocklog.
Siccome vedo che l’argomento economico è presente nella critica di Lovink ( e che sostiene che nulla è gratis basta pensare alla rete,cavi ,cnnessione che paghiamo) l’altro personaggio chiave secondo me è :Danah Boynd che analizza il valore privato che può assumere un blog o un IM(instant messaging) nei giovani di oggi ..che si sentono troppo controllati(3° fase dei suoi 3 spazi di classe :privato pubblico e controllato) !!!!la cosa che si spera è che i giovani riescano a capire che nonostante sia una vita diversa da quella “normale” bisogna pur sempre restare con i piedi sulla terra reale..
La sfida di Boynd è quella di mescolare la vita dei giovani con quella degli adulti in modo tale da trovare un collegamento che spesso non esiste nella realtà stessa .
Analizzando il nostro blog ho fatto un copia incolla di tutte le caratteristiche presenti nel primo saggio in modo da testare come Lovink sulla propria pelle l’esperienza fatta nella blog sfera..
Allora: il nostro blog rispecchia sicuramente alcune caratteristiche lette: innanzi tuttoè un blog quindi la cosa di cui stiamo parlando . . .ci sono degli interventi dove il nostro gruppo può postare comments ,a quanto pare è riuscito perché l’argomento ha interessato quasi tutti .. quindi non è “zero comments” ma sarà “ 100 comments” in più siamo stati noi molto attivi in modo da crearne un senso..e possiamo ritenerci fieri di non aver fatto la fine di DISCORDIA (chiuso dopo 16 mesi per scarsa argomentazione)…sono fiera di fare anche io parte di un buon cuore di carciofo…
MARIA GRIMALDI
Questa cosa dell'economia del free credo abbia attirato l'attenzione di molti di noi, almeno di quella parte che come me, non ci hanno mai pensato più di tanto. Tant'è che l'altro giorno,entusiasta di queste scoperte, dicevo ad un mio collega che forse iniziavo a capire il vero motivo e scopo di questo corso (senza nulla togliere alla prima parte più storica e tecnica, indispensabile per comprendere certe cose) cioè quello di affrontare e vivere in maniera critica e disincantata il Web 2.0.
RispondiEliminaRiflettendo su questa parola "free" e ripetandola fra me e me, tanto da creare un freescio ( potevo risparmiarmela, lo so), sono arrivato alla conclusione che qualcosa di realmente gratuito c'è! Ora non sarà propriamente legale ma la prirateria è
effettivamente l'unica forma di free che ci sia. Sarebbe bello pensare che questi pirati dell'informatica rubino ai ricchi per dare ai poveri, prendendo dei contenuti
riversandoli poi nella rete, ma purtroppo questa cosa tanto cara a noi "scrocconi del web" è altamente dannosa. In primo luogo questa piaga non ruba i ricchi, anzi i veri
ricchi quali Google e compagnia, non solo non vengono scalfiti, siccome fondamentalmente non creano contenuti (siamo sempre noi a farlo!) ma inoltre, secondo me, ne traggono anche qualche vantaggio; quindi la pirateria danneggia, per la maggior parte dei casi, soprattutto la piccola editoria, le case discografiche e gli stessi artisti che provano ad autoprodursi, in pratica l'arte stessa.
Ho trovato molto interessante, fra le pagine lette in classe del saggio di Lovink ( mi scuserete se non ho riportato anch'io la sua vita, opere e domicilio), un paio di righe a pagina 10 che vi riporto: "I professionisti di vecchia data capiscono quali implicazioni ci sarebbero per i produttori di contenuti se un gigante come google dovesse controllare i flussi di denaro al posto degli editori dei libri...". Questo saggio di Lovink pubblicato nel 2007, scritto quindi un po' prima (se non sbaglio nel 2005), ha praticamente previsto come sarà indirizzato parte del mercato dell'editoria dei libri, che nel 2009 sta iniziando a muovere i suoi primi passi, vi spiego.
Alla fiera del libro di Torino di quest'anno è stato presentato "Kindle"- il dispositivo elettronico di Amazon che permette di portarsi a casa intere biblioteche- questo dispositivo non è un semplice lettore elettronico di quelli visti già da un paio di anni, ma grazie ad Amazon (in questo Lovink si è sbagliato, ma non di molto), sarà possibile acquistare i nostri libri direttamente da questo dispositivo, un po come facciamo dal sito di Amazon stesso. Fin qui nulla di allarmante, ma che succede se Amazon un domani, grazie al successo di dispositivi del genere, avrà la possibilità di guidare il mercato dei libri e di dettare i prezzi per l'editoria? Magari contrattando direttamente con gli autori e i loro agenti, tagliando fuori dal mercato una grossa parte di "investitori".
Il colosso americano tenderà ad abbassare i prezzi, in conseguenza anche dal fatto che effettivamente ci sarebbe un risparmio di carta, stampa, rilagatura, etc., forse l'unica cosa positiva, però così facendo l'editoria avrebbe meno interessi, sarebbe meno motivata ad investire; gli editori falliranno; gli scrittori avranno una retribuzione ed un merito molto inferiore, che potrebbe scoraggiarli nel pubblicare le proprie opere, e tante altre cose catastrofiche di questo genere...
Tornando a quanto detto prima: se la pirateria danneggia editori etc. , questi ultimi, probabilmente, per fronteggiare questo cancro, si affideranno ad Amazon che potrebbe limitare la diffusione illegale dei contenuti, sono sicuro che ci riuscirebbe molto bene, siccome tutto avverrebbe nel nostro bel dispositivo elettronico, provvisto degli appositi diritti d'autore per ogni libro, e che avrà ormai imparato a memoria il codice della nostra carta di credito.
Certo tutto quello che ho detto sarà impreciso, esagerato, scopiazzato ma credo debba far riflettere, cosa che dovremmo fare sempre più spesso.
Mi chiedevo: "Siccome Lovink come il professore Campanelli ci hanno insegnato che dovremmo in qualche modo essere ripagati dei nostri contributi, essendo "cuore-turzo" del carciofo"; avendo trasformato un blog da scheletrico qual'era, cioè privo di contenuti, che sono poi la "polpa del blog", arricchito da interventi interessanti, noi in che modo saremo ripagati?? Io un paio di idee le avrei e se questo post sarà pubblicato, vi invito ad intervenire (mi sto giocando l'esame, lo so).
RispondiEliminaPer concludere vi lascio un link (che poi è il vero motivo del mio post), è un trailer di un film che esce quest'anno, si chiama "Surrogates", surrogati cioè, e da quel che ho potuto capire è una summa della maggior parte dei film di fantascienza più conosciuti, da Blade Runner a Ghost in the Shell, da DArk city a Matrix, da Existence a Intelligenza Artificiale, etc. ma volendo anche di Second Life; sinceramente non so cosa ne uscirà, non lascitevi intimidire dal capello dell'attore (Bruce Willis). Secondo me promette bene e magari l'anno prossimo il prof. obbligherà a vedere questo di film per l'esame, chissà.
Ovviamente, per voi, questo contributo è totalmente gratuito:
http://www.firstshowing.net/2009/05/21/must-watch-first-full-trailer-for-bruce-willis-surrogates/
Zero comments, Geert Lovink
RispondiEliminaIl pregio principale di questo libro è quello di porsi il problema che gli apologeti del web 2.0 cercano sempre di nascondere sotto al tappeto: «Perché gli utenti dovrebbero continuare a pubblicare tutti quei dati privati, dai quali una manciata di aziende ricava miliardi di dollari di profitti? Perché dovrebbero cedere gratuitamente i loro contenuti mentre un pugno di imprenditori del Web 2.0 sta facendo i milioni?».
http://qwerty.noblogs.org/post/2008/03/24/zero-comments
Dietro la retorica sull'accesso gratuito e sulla libera condivisione delle informazioni — che induce milioni di utenti/consumatori a investire tempo ed energie per produrre la sterminata massa di contenuti «free» che loro stessi consumano — si nasconde il fatto, scrive Lovink, «che c'è sempre qualcuno che, in qualche punto della catena, intasca i soldi». Ciò che viene spacciato per libertà e democrazia dei consumi non è altro che la «nuova frontiera del lavoro volontario e gratuito ». Alimentando il risentimento verso i professionisti dei media, l'industria culturale sfrutta la creatività collettiva degli «amatori», servendosi del loro desiderio di conquistare un secondo di celebrità in un mondo dove solo chi appare nei media esiste veramente. A cascare nella trappola sono soprattutto i giovani frequentatori dei social network, che in Rete soddisfano il bisogno di interagire con il gruppo dei pari, ignorando il fatto che le loro chiacchiere non sono al riparo dagli sguardi indiscreti (e interessati!) del mondo adulto, e gli adepti dell'ingenua ideologia del blogging come pratica «progressista» di controinformazione. Ma la verità, per Lovink, è che la maggioranza dei blog veicolano una cultura conservatrice che si integra alla perfezione nel concerto dei «big media»; e che il loro ruolo è quello di cancellare i confini fra sfera pubblica e sfera privata, laddove chi non vuole rinunciare al grande sogno democratico di Internet dovrebbe, al contrario «tornare a essere utopista».
http://lasestina.com/index.php?option=com_content&task=view&id=2861&Itemid=10697
Orgoglio e gloria del web 2.0 - Un saggio di Geert Lovink
RispondiElimina31 Agosto, 2008 13:27
Geert Lovink “Benvenuti nel web 2.0!” ci dicono speaker ed opinionisti del mainstream globale e le aziende di IT da almeno un paio di anni. Come sentirsi dire “Buon appetito!” dal macabro pagliaccio di McDonald's “quando riammucchia i suoi strati di carne unta per vendere un prodotto completamente nuovo ogni sei mesi”. E allora benvenuti a McMondo, dove potete consumare prodotti standardizzati e già confezionati su misura per bisogni e desideri pensati da altri per voi. Benvenuti nel web 2.0.
Geert Lovink nel breve saggio “Orgoglio e gloria del Web 2.0” ( parte del suo ultimo libro “Zero Comments" ) demolisce, senza nemmeno troppo impegno, il mito di questa tanto sbandierata “Nuova Rete”, criticandone quegli elementi che promettevano la fondazione di una nuova era informatica, e che da verità affermate ed indiscutibili, sotto le riflessioni attente e pungenti del ricercatore olandese si trasformano in palloncini colorati pronti a scoppiare tra le mani dei clown dell'industria dell'informazione... Sta forse per scoppiare un'altra bolla? Da qualsiasi punto lo si voglia vedere questo web, di 2.0 sembra avere ben poco.
Secondo Lovink si tratta solo di una “paruccata”, una rivoluzione preconfezionata infarcita di linguaggio nuovista ma che propone un concetto di “new media” riciclato ad uso e consumo degli utenti della rete per il profitto delle “solite” grandi corporation.
Ma forse Lovink si sbaglia. Forse noi ci sbagliamo. Forse noi Info Free Flowers, noi fiori malati dell'era dell'informazione, siamo appassiti e decadenti, incapaci di farci avvolgere dai bagliori luminosi di quest' alba della comunicazione.
E allora questa volta siamo disposti a misurarci con i nostri limiti, uno per uno, e pronti ad ammettere che fino ad ora non abbiamo capito nulla e che tanto vale chiudere questo blog :-P . Tutti in religioso silenzio ed incollati agli schermi dei vostri computer adesso: ammirate estasiati il nuovo che avanza.
continua...
“Il web 2.0 è ricco di nuove tecnologie”
RispondiEliminaLe tecnologie ed i codici su cui si basa non sono in realtà nulla di nuovo: i blog esistono già da almeno una decina d'anni ( anche se è vero, la loro esplosione è avvenuta molto più tardi ), l'html è sempre l'html, RSS è un prodotto di Netscape e risale al '99, mentre Ajax era già diffuso nelle aziende basate sui browser ed è stato trasformato in un fenomeno sociale. “Il web 2.0 è l'evoluzione di quel sogno di democratizzazione e partecipazione globale che è proprio della rete: produce il “bene”, rafforza i legami sociali e l'identità”. Nella tollerante Olanda dopo l'assassinio del regista Theo van Gogh i forum, le chat ed i social network erano stati dei catalizzatori di odi e violenze razziste e xenofobe: un primato per i paesi bassi. Volendo restare in casa nostra potremmo, nostro malgrado, fare l'esempio di Indymedia Italia: il network di media indipendenti nazionale, che sicuramente è stato una delle avanguardie per ciò che riguarda la possibilità per gli utenti di pubblicare contenuti on line, nel 2006 purtroppo chiuse, seppur in modo momentaneo: fra le motivazioni l'uso improprio dell'open pubblishing che aveva reso il newswire un luogo carico di insulti, calunnie, informazioni non vere, minaccie, chiacchiere da bar, azzerando in questo modo non solo la discussione politica, ma anche la stessa possibilità di dialettizzarsi con chiunque. Inoltre non fa mai male ricordare che proprio le aziende occidentali che posseggono le infrastrutture di social network “aperti e democratici” sono le stesse che nei paesi del terzo mondo aiutano i regimi autoritari a costruire i firewall nazionali per permettere agli utenti di gustare l'accesso, con una spruzzatina di controllo sociale, ai servizi da cui loro trarranno profitto. Alla faccia della democrazia. Altro tasto dolente: chi è disposto davvero a partecipare on line e a creare un web cooperativo? A quanto pare sempre meno utenti: la maggior parte sembrano essere “lurkers”, bighelloni e voyeuristi di passaggio.
“Il web 2.0 è free/gratuito nella fruizione di un oceano sconfinata di contenuti di qualità prodotti dagli utenti: è la fine del dominio dei professionisti!”
Ma qual'è davvero il prezzo di questa gratuità? La profilazione dei comportamenti sociali di milioni e milioni di utenti. E questi profili dove andranno? Da chi verranno utilizzati? A che scopi? Come potranno essere utilizzati in futuro? Potrebbe essere spiacevole il fatto che il vostro datore di lavoro nel 2015 vi licenzi di punto in bianco perché, dopo aver fatto un po' di data mining qua e la, è in disaccordo con un opinione che avevate espresso dieci anni prima. Ma il grande inganno in tutto questo è che i promotori dell'ideologia del free, utilizzano un' arma potente come il linguaggio ( in modo tipicamente manageriale ) per nascondere il fatto che in qualche punto della catena di produzione delle informazioni ( delle informazioni che milioni e milioni di utenti producono ) qualcuno ( un' elité assai ristretta come sempre ) intasca i soldi. Con tanti ringraziamenti per il lavoro gratuito che noi gli offriamo. È bene anche interrogarsi sulla qualità di questi contenuti prodotti dal dilettantismo della rete: “ Se può farlo chiunque, questo significa che tutti sono dotati della stessa sensibilità estetica?” si chiede Lovink. E per ogni video interessante prodotto da un netizen e pubblicato su YouTube quante migliaia di video possiamo trovare presi da Italia 1 e dalla spazzatura della televisione?
“Con il web 2.0 tutti possiamo essere Dj e registi e distribuire on line i nostri podcast senza dover strisciare di fronte al dirigente di turno. Finalmente il mio lavoro di dilettante sarà valorizzato, apprezzato da tutti ed io sarò ricco”.
Contare davvero sul “web 2.0” per essere catapultati nel mainstream significa illudersi non poco. Data l'enormità di contenuti che oggi vengono prodotti e immessi in rete la dipendenza dalle piattaforme di aggregazione e filtraggio dei contenuti è più evidente che mai e su questa dipendenza si sviluppa il finanziamento e lo strapotere dei vari Google, digg, delicious ecc ecc. In questo senso insomma, chi più sembra trarre beneficio sono gli utenti finali ( godimento ) e appunto gli aggregatori e i sistemi di filtraggio ( economico ) grazie alla pubblicità on line, non certo i produttori di contenuti. Anzi a ben vedere la questione, chi produce contenuti paga per poterli mettere on line, dato che internet non è gratis. Da questa prospettiva, il “nuovo e scintillante web”, ripropone in modo quasi identico il modello economico liberista precedente alla bolla speculativa della new economy: pochi soggetti controlleranno le infrastrutture e si arricchiranno grazie ad i soggetti che cedono gratuitamente contenuti. Ed inoltre un consiglio per tutti gli aspiranti videomaker, musicisti o giornalisti che siate. Fate attenzione alle licenze sotto cui Myspace, Youtube o qualsiasi altra piattaforma di social network vi permette di pubblicare contenuti: non vorremmo mai che la melodia con cui avete decantato al mondo l'amore per la vostra compagna diventasse da un giorno all'altro il jingle di un disinfettante per cessi. Le conseguenze potrebbero essere inimmaginabili sul piano sentimentale e probabilmente potrebbe essere irritante per voi constatare che lunghe e dure notti di creatività ( anche perché durante la giornata lavorate come precario con contratto semestrale alla RAI ) faranno intascare qualche altra milionata di euro ad oscuri dirigenti d' azienda che non avete mai visto e che sopratutto non hanno la minima intenzione di darvi un solo euro per il lavoro che vi hanno espropriato. E quindi? Quindi, sostiene Lovink, i problemi rimangono gli stessi del passato: “ il controllo da parte delle corporation, la sorveglianza e la censura, i diritti di 'proprietà intellettuale', i filtri, la sostenibilità economica e la governance” e “nonostante la moda del 'nuovo new', la posizione dei new media all'interno della società non è più vicina alla soluzione di quanto non lo fosse durante la moda del 'vecchio new' della prima bolla della rete”. Ma chi vuole promuovere un uso critico e sociale dei media non può limitarsi a continue ed inutili lamentele. Una critica ideologica a Myspace, seppur sistematica e ben fatta, ne diminuirebbe forse gli acessi? Dove andrebbero quei settanta milioni di utenti? Quale piattaforma offre quella possibilità di interazione? E ancora. Dopo aver fatto questa critica ideologica che cosa ci resta in mano se non la soddisfazione di aver espresso un piano teorico interessante ( per noi ) e la certezza di non aver scalfito minimamente le strutture informatiche ed economiche liberiste su cui i “maledetti” social network si basano? “Dovremmo credere nel potere dell'argomentazione e insistere con la strategia della critica dell'ideologia sapendo che questa fallirà e fallirà ancora?”. E qui purtroppo ( aggiungiamo noi ) si annida ancora la solita fallacia positivista di cui continuiamo ad essere affetti: la critica e la controinformazione sono il primo passo essenziale, ma conoscere la natura di un problema non vuol dire avere la possibilità di controllarlo e tanto meno di risolverlo
RispondiEliminaLovink invita quindi ad andare oltre la sterile cultura delle lamentele: “È tempo di tornare ad essere utopisti e cominciare ad edificare una sfera pubblica al di fuori degli interessi a breve termine delle corporation e delle volontà di regolamentare dei governi. È ora di investire nell'educazione, ricostruire la fiducia e svincolarsi dalla retorica securitaria post 11 settembre”. Ma è nelle righe finali di questo suo saggio che Lovink tocca quello che probabilmente è il vero punto di svolta, la vera battaglia da fare per poter mettere in atto questo ambiziose e titanico progetto: se da una parte infatti “hacker, attivisti ed artisti devono essere collettivamente più distanti dalla sfera digitale” da un'altra “i media sociali hanno l'esigenza vitale di sviluppare la propria economia. Regalare i proprio contenuti dovrebbe essere un atto generoso e volontario, non l'unica opzione disponibile. Invece di celebrare il dilettante dovremmo sviluppare una cultura di Internet che aiuti i dilettanti ( che spesso sono i giovani ) a diventare professionisti, cosa che non accade se predichiamo loro che l'unica scelta che hanno è sbarcare il lunario durante il giorno con McJob in modo da poter celebrare la loro libertà durante le lunghe ore notturne passate sulla rete”.
RispondiEliminahttp://infofreeflow.noblogs.org/post/2008/08/31/orgoglio-e-gloria-del-web-2.0-un-saggio-di-geert-lovink
Inoltre vi segnalo un sito su cui trovare spunti circa l'economia del web:
http://www.pmi.it/marketing/articoli/4014/p1/pmi-blog-e-community-virtuali-valore-e-profitto.html
Scusate ho dovuto sezzettare il testo perchè altrimenti non potevo postrlo!
Innanzitutto ringrazio i miei colleghi per i meriti riconosciutimi, inoltre vorrei dare un altro contributo che dimenticai nella scorsa pubblicazione.
RispondiEliminaA sottolineare che l'economia del free non è poi così free vorrei dettare un aspetto di facebook, sito che ormai per molti di noi è pane quotidiano tra l'altro.
Non so se avete mai notato che spesso in tale applicazione appaiono degli spot nei quali vengono visulaizzate o immagini personali o immagini di nostri conoscenti.
Questo direi che è un classico esempio di come il free offertoci sia in qualche modo una falsità, in quanto le nostre foto, e spesso anche generalità visto che compaiono anche i nomi, vengono riutilizzate a scopi di pubblicità e quindi di conseguenza anche a scopi economici.
A semplificare l'esempio aggiungo che spesso si vedono degli spot tipo "Testa il tuo quoziente intellettivo", Caterina ha ottenuto 132, Rosaria ha ottenuto 121 e così via...
Questo è un classico esempio di come anche noi siamo oggetto di sfruttamento e pubblicità e quindi sottolinea come noi "vittime" del free siamo una sorta di economia per chi detiene i brevetti e diritti del così detto free.
Ma del resto su questo episodio vi sarebbe un lungo discorso da fare, ovvero quello della privacy, elemento che col web 2.0 sta venendo sempre meno, ma nella maggior parte dei casi viene meno anche per causa nostra o perchè siamo costretti a farlo venir meno, nel senso che se io voglio iscrivermi a facebook dovrò per forza accettare il contratto postomi dinanzi se preferirò utilizzate tale applicazione, dato che ho l'intenzione di utilizzare tale applicazione al 99% accetterò tale contratto, e qui siamo nel caso in cui siamo costretti ad accettare un contratto e di conseguenza, come nell'esempio sopra riportato, far venir meno la nostra privacy.
In altri casi la colpa è da attribuire a noi utenti in quanto credo che dinanzi a contratti e licenze chilometriche quasi nessuno ha voglia di leggere ciò che ci vien posto dinanzi e di conseguenza accetteremo un pacchetto ad occhi bendati, o meglio dire a fiducia, anche perchè molte volte ormai si pensa "vabbè accetto tanto sono i soliti contrattini, tanto a casa non arriverà nulla da pagare!" e così anche in questo caso la nostra privacy diventa di dominio pubblico per le aziende che offrono applicazioni free.
Vorrei fare un altro appunto che credo sia più che altro una considerazione personale.
Col web 2.0 noi abbiamo si avuto migliori condizioni per l'utilizzo del web, e ricordo che l'usabilità DEVE essere una delle caratteristiche principali per il web, tuttavia abbiamo avuto anche la caratteristica dell'impazienza e della frettolosità, li dove una finestra non fa neanche in tempo ad apparire che subito siam li a premere a casaccio senza leggere, siamo nell'epoca dove con le nostre mega connessioni ADSL ed a fibra ottica un ritardo di pochi secondi nell'apertura di una pagina web non è consentito perchè siam impazienti o non riteniamo sia ammissibile date le nostre connessioni mega veloci, forse è anche questo che ci porta a dare tutto per scontato, probabilmente è anche ciò che ci farà ritenere inopportuno leggere i contratti e le licenze che ci appaiono, onde evitare di perdere tempo e mettere a rischio la nostra privacy;logicamente in tale discorso è incluso anche il sottoscritto!
Riguardo il link postato dal nostro collega Adolfo trovo che sia un'anteprima molto interessante e credo che sia senz'altro un film da vedere!
Riguardo invece il discorso che facevi : "avendo trasformato un blog da scheletrico qual'era, cioè privo di contenuti, che sono poi la "polpa del blog", arricchito da interventi interessanti, noi in che modo saremo ripagati??" ... beh siam stati ripagati dal formare una comunità e dall'interagire collettivo carissimo collega eheheh! :-D
P.S. ci si vede a lezione ;-)
In primis volevo scusarmi per come ho scritto l'ultimo post, direi abbastanza confusionato; Ringrazio Eugenio per avermi risposto, forse è stato uno dei pochi che avrà letto il mio post e di sicuro uno dei pochi che commenta non solo con parole sue ma soprattutto con idee sue. Giusto per parlarne, niente di personale lo voglio premettere, stavo leggendo il commento della collega Concetta e devo dire che ero rimasto proprio colpito; mentre leggevo (con non pochi complessi di inferiorità) pensavo che era doveroso farle dei complimenti, davvero notevole ma poi, quella fonte citata... Faccio quest'esempio proprio perchè lo tengo qui su, ripeto: niente di personale. L'ho trovato comunque un intervento interessante.
RispondiEliminaTornando alla mia proposta, che in fondo voleva essere una sorta di provocazione se vogliamo, per quanto stupida, quello che mi aspettavo non erano cose tipo "l'interagire collettivo" (sei troppo buono Eugè) o l'amicizia o altre cose astratte. Io mi riferisco a cose concrete. Sarò forse troppo malizioso o forse il mio intervento è completamente fuori luogo, vabè. Vorrà dire che sarò il solo a chiedere il conto al professore XD
Da quanto letto in classe, sembra che il perno su cui ruoti questo primo discorso di Lovink è il falso mito della libertà di Internet. Falso per diversi aspetti: primo perchè Il Web 2.0 è in realtà controllato da diversi organismi, secondo perché non sempre la rete è un luogo sicuro attraverso il quale poter esprimere pareri personali riguardo forti tematiche, terzo perché questo concetto di libertà è stato più volte convenientemente affiancato a quello di gratuità.
RispondiEliminaOggi Internet è una tecnologia comparabile o addirittura superiore ai media tradizionali, nessuno potrebbe immaginare di vivere senza il Web, la televisione o il telefono, ma la rete proprio perché tecnologicamente superiore, per la sua varietà e anche più pericolosa. Il problema però, come abbiamo detto, è che i suoi utenti sono sempre in continua crescita e nessuno può prevedere l’uso che essi ne faranno. Allora finchè viene utilizzata per scopi fini a se stessi non c’è nulla di male; ma quando viene usata per diffondere certe idee politiche o addirittura minacce terroristiche, materiali pedopornografici ed altro, allora si comincia a capire quanto la situazione possa diventare rischiosa. Se non ci fossero organi di controllo davvero Internet diventerebbe una jungla, ed è anche giusto che ci siano!!! Quello la maggior parte degli utenti non sa è che il Web è gratuito ma non è libero, se si va a commentare un blog dove c’è un video o un articolo sull’11 settembre, si deve avere consapevolezza di ciò che si dice, del modo e soprattutto bisogna stare attenti a non urtare la sensibilità degli altri. Bisogna saper esprimere le proprie opinioni; tutti non possono dire tutto; ecco perché le democrazia è un concetto limitato quanto la libertà! Anzi secondo me oggi c’è libertà di pensiero ma non di opinione, non si può dire una parola in più che ti ritrovi con la scorta o nei casi peggiori con una pallottola in testa. E se in tutto il mondo funziona così, Internet non è certo luogo d’eccezione. I giovani allora continuano a crearsi spazi “privati” on-line che invece sono costantemente controllati e pubblicizzati, in modo tale che quando sono adulti, nel pieno della loro carriera lavorativa, torna quella foto compromettente di vent’anni prima a farli licenziare. E’ chiaro perché allora Lovink insiste tanto su questo concetto di libertà; il potere della parola è davvero grande ma come tutti i poteri non bisogna mai abusarne.
Libertà, controllo, discorso cyber. Sfatare un mito
RispondiElimina1. Il problema del controllo di Internet
La retorica di cui si nutre gran parte del discorso sulle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, mentre ne esalta la portata democratica, tende ad offuscare i problemi legati alle difficoltà economiche e culturali di partecipare alla cybercultura e l’intricata rete di poteri che si stanno confrontando per modellare il cyberspazio sui propri interessi e sui propri valori.
E’ perciò importante dare voce alle contraddizioni e ai limiti che stanno caratterizzando questa fase della evoluzione di Internet.
L’accesso al cyberspazio è una prerogativa della fascia più colta e ricca della popolazione mondiale; ancora a lungo, probabilmente, la maggioranza dell’umanità non potrà usufruire dei benefici della comunicazione telematica. Porre l’accento su questi problemi strutturali, legati alla mancanza dei presupposti materiali e culturali per partecipare alla rivoluzione informatica, però, non è sufficiente. Altre questioni, associate al controllo tecnico-amministrativo e politico–economico della Rete, sono ugualmente rilevanti.
Da quando le aziende e i governi di tutti i paesi del mondo hanno acquisito consapevolezza dell'importanza strategica ed economica della Rete, le discussioni relative agli standard, alla loro evoluzione, al controllo delle tecnologie adibite all’accesso sono uscite dall’ambito strettamente tecnico per diventare argomento centrale dell’arena politica internazionale. Particolarmente importante, da questo punto di vista, è la possibilità di esercitare un controllo sull’organismo preposto all’assegnazione e alla gestione dei domini, possibilità ancora appannaggio esclusivo di un numero ristretto di poteri forti concentrati soprattutto negli Stati Uniti [1].
4. Il cyberspazio tra libertà ed accesso democratico
RispondiEliminaMa c’è un’altra questione collegata al tema della libertà sul Web che, sollevata polemicamente da Eisenstein [14], merita di essere presa in considerazione.
L’autrice, nel tentativo di smascherare alcune delle relazioni di potere che strutturano il cyberspazio, sostiene la necessità di indagare le ragioni per le quali nel discorso sul cyberspazio tanta parte venga riservata al problema della tutela della libertà di espressione.
Secondo Eisenstein, la strenua difesa della libertà (di espressione, di mercato, di diffusione e circolazione dell’informazione), da parte di quelle élite tecnologica che già ha accesso al cyberspazio, sarebbe semplicemente una strategia di offuscamento per giustificare il perdurare di esclusioni e disuguaglianze in quella che viene celebrata come l’arena sociale più libera e democratica che sia mai esistita.
“The real demands that we look at the problem of equality. But the net is concerned, instead, with freedom. And freedom gets defined as unfettered speech. So instead of discussing equal access, or freedom of sexual/gender choice, a debate forms about porn” [15].
Il cyberdiscorso, continua Eisenstein, sembra approvare l’impegno neo-liberale di promuovere la libertà.
Ma non è sufficiente sancire il diritto alla libertà per fare in modo che chiunque sia effettivamente messo nella condizione di esercitarlo. Ci sono delle limitazioni strutturali all’attuazione della libertà nel cyberspazio. Questo significa che è giusto impegnarsi affinché ognuno possa cercare in Internet le informazioni che maggiormente gli interessano, senza che queste siano sottoposte a censura. Ma anche che prima di questo diritto deve essere garantita a chiunque la possibilità di accedere al cyberspazio.
Eisenstein, dunque, richiama l’attenzione sul problema del divario digitale ed accusa quell’élite che costituisce la popolazione del cyberspazio di ripiegarsi sterilmente su sé stessa, con discorsi pretestuosi, pur di non ascoltare l’istanza di democraticità che proviene dal mondo reale.
http://www.tramanti.it/conten/testi/cyberspazio
RispondiEliminaProvocazione accolta Adolfo! Perché, leggendo i tuoi commenti, ho capito che il tuo intento è quello di provocare, suscitare reazioni e confrontarti con il pensiero “proprio” di una persona senza che essa si celi dietro “un copia e incolla” preso qua e là nella rete. E’ vero è interessante la mia citazione e sono contenta di averla scovata e posta all’attenzione dei nostri colleghi, in quanto riassume molto bene il pensiero di Lovink riguardo il saggio da noi trattato. Vorrei anche aggiungermi se mi è consentito, e questo non è un complesso di superiorità, in quei pochi che secondo te in questo blog postano esprimendo pensieri propri: infatti molte volte il mio copia e incolla è stato accompagnato dal mio pensiero, altre volte mi sono avvalsa della mia creatività applicandola alle mie opinioni e alle mie conoscenze per postare. Ora vorrei aggiungere la mia opinione circa l’argomento principale della nostra discussione, ovvero Lovink, con la consapevolezza che le mie parole non saranno mai degne di elogio come quelle che troviamo nel Web, ma sono pur sempre le mie opinioni ed è meglio tenersele strette visto che sono preziose(come ormai abbiamo appurato). Bene, non mi sono mai posta tanti interrogativi come in questi giorni navigando in Internet. Mi ha colpito molto la storia del regista Theo van Gogh. Minacciato e offeso attraverso la stessa rete dove anche lui lavorava. Ma nessuno ha dato importanza alle parole dei fondamentalisti, perché tanto Internet è anche questo: un raccoglitore di provocazioni, che nulla però restituisce. Intanto lui è morto davvero, mentre i blog sono diventati veri e propri bigliettini d’auguri attraverso cui congratularsi per aver fatto pulizia ed eliminato il regista, mentre qualcuno guadagnava con tutte queste manifestazioni personali. Dall’altra parte insorge anche l’Olanda, che mette da parte la tanto apprezzata tolleranza, utilizzando la rete per esprimere sentimenti che altrimenti sarebbero rimasti chiusi nella’animo della gente, che invece nel Web trova il confidente giusto con cui condividerli. Prendiamo i ragazzi di cui parla Danah Boyd: il loro unico desiderio è creare uno spazio in cui sono loro a dettar legge, e poi poco importa se mentre si è troppo impegnati a chattare qualcuno analizza il loro profilo o vengono sommersi dalle pubblicità. Queste ultime si possono sempre cestinare e poi via al lavoro, pronti a creare. Adulti e ragazzi sono troppo presi dal voler sfruttare le possibilità offerte loro dalla rete: la principale è quella di poter essere qualcuno. Riflettiamo ad esempio sull’euforia di alcuni quando scoprono di essere taggati: è troppo grande come è di vitale importanza far sapere a tutti il pensiero del giorno, per pensare che mentre noi passiamo ore ed ore incollati ad uno schermo altri, pochi, nascosti, più furbi di noi creano milioni di nuovi linguaggi o slogan a regola d’arte per catturare la nostra attenzione ed assicurarsi il record di clicks del giorno. E tutto questo vuol dire denaro, denaro che i netizens( che sono coloro che partecipano attivamente alla vita di Internet offrendo, anzi regalando, i propri contributi) non riceveranno mai.
RispondiElimina(continua nel post successivo)
La domanda a questo punto nasce spontanea: ma le folle, la massa accetta tutto ciò’? Accetta di contribuire “free”? Ma credo che non sia neppure in grado di porsi tale interrogativo dal momento che i pochi furbi riescono a distrarci offrendoci link su link : e noi siamo contenti perché poi ci serviamo delle ricerche fatte in rete, anche se alla fine non pensiamo mai che è tutto un ciclo, che siamo noi a produrre i contenuti del web: io guardo il tuo video tu leggi il mio commento. Anzi pensiamo che persone molto pazienti aprono nuovi siti ed inseriscano contenuti utili, che ci divertono solo per la nostra felicità! Non è così: quelle persone che stanno dietro, i programmatori, gli organizzatori sono pazienti solo perché aspettano il nostro click! Quindi dovrebbe essere la massa ad insorgere e ad aprire gli occhi chiedendo un riconoscimento per la propria creatività: ma credo anche che senza quei pochi furbi organizzatori di cui parlo, noi non riusciremmo a gestire da soli né Internet né il Web 2.0 (come la Formula1 senza Ferrari sarebbe un’altra Formula). Detto ciò , Adolfo ti ringrazio della provocazione perché hai fatto in modo che io potessi dire la mia, anche se forse il mio pensiero non è molto critico né magari interessante rispetto alle belle parole che il Web ci offre. Ma così abbiamo fatto un po’ il "gioco"(spero che mi sia consentita tale espressione) di cui parla Lovink: tu ti sei servito di un filtro, un linguaggio che tra le righe nascondeva una chiara provocazione, ed io da brava netizen ho contribuito ad arricchire il nostro blog: non è che,però, ci guadagni di nascosto? Spero soltanto che il reale guadagno sia stato avere un confronto di opinioni!!!
RispondiEliminaI blog personali, che ormai popolano la rete, sono per la maggior parte delle vere e proprie vetrine. Molti ragazzi aprono il proprio blog per cercare di avere l'attenzione su di sé. Il risultato è come ci informa Lovink, una miriade di blog e pochissime persone che li leggono. Credo che il blog sia anche una forma di spazio pubblico e privato.
RispondiEliminaPubblico perché appunto cerco di attirare l'attenzione sul mio post ed esprimo e divulgo i miei pensieri a chiunque, magari poi se ricevo dei commenti è ancora meglio! Privato perché posso usarlo come spazio per sfogarmi e chiedere opinioni e consigli ai miei amici oppure a sconosciuti che essendo tali dovrebbero essere obiettivi.
E poi c'è una parte che invece crea un blog per mostrare agli altri la propria arte, si va da lavori di grafica, a mobili realizzati riciclando, a racconti e poesie personali.
E infine, ci sono coloro che scelgono di aprire un blog soltanto per moda e dopo l'euforia dei primi giorni, diventeranno spazi vuoti, abbandonati a loro stessi.
Ciò che tutti noi apprezziamo della rete è proprio questo: ognuno può fare ciò che vuole (più o meno). Ci accontentiamo di questo, senza pensare che magari qualcuno più "forte" di noi, spiandoci sta semplicemente sfruttandoci per dei propri vantaggi e guadagni.
Forse la maggior parte di noi nemmeno se l'è posto questo problema, o comunque lo ignoriamo perché l'importante è esprimere la nostra opinione e fin quando ci sarà permesso questo, il resto non conta.
La cosa shockante è però che molto spesso si fa un uso scorretto di questo grande mezzo di comunicazione (lo so ho fatto la scoperta dell'acqua calda), si creano comunità estremiste che non si fermano ad insultare ed offendere gli altri, ma vanno oltre come nel caso del regista Theo Van Gogh. La cosa sconcertante è che sia stata probabilmente proprio questa tecnologia da noi tanto amata, ad aver "spinto" l'estremista islamico ad assassinare il regista! Nel senso che appunto i vari forum,chat e gruppi nati contro il regista abbiano contribuito notevolmente a disprezzarlo ed odiarlo, tanto che alla fine è stato brutalmente assassinato. E per di più è stato anche detto che Allah avrebbe trionfato! Non so voi, ma io sono altamente sconvolta! Alla fine l'arma che noi crediamo di avere dalla parte del manico, si è rivoltata, in questo caso ma anche in molti altri, contro: ha portato alla morte un regista soltanto per aver girato un film sulla condizione delle donne nell'Islam, e quindi per aver mostrato la realtà delle cose!
Giulia Eleonora Zeno
Internet è per tutti noi, e penso che questo sia appurato, un nuovo dio, un vero e proprio deus ex machina (espressione quanto mai appropriata in questo caso) che ha definito e ri-definito la vita di vecchie e nuove generazioni. L'euforia che ha accompagnato il web, in un primo momento concretizzatasi in quel folle incedere delle dot.com, si è trasferita, stando al passo coi tempi e con l'arrivo del web 2.0, a noi, singole persone. La mentalità del "free" ci ha stregato, ci ha tratto in inganno magistralmente, senza che nessuno di noi, o almeno la grande maggioranza, se ne rendesse conto. La rete è un mare infinito, e, come abbiamo potuto constatare, costituito principalmente da noia; il Web, come poteva essere stata la televisione a suo modo, è divenuto nuovo maestro e baby-sitter universale, sopratutto per le nuove generazioni, come ci conferma Danah Boyd nei suoi studi che ci mostrano degli adolescenti in fuga da una realtà "controllata" fatta di genitori e professori, che si rifugiano nel web, luogo per loro franco e libero da obblighi, ignorando il fatto che è il posto più controllato che ci sia. Sbatterci una marea di opzioni e software in faccia, a prezzi gratuiti, darci tutto e subito, a questo ci ha abituato questa linea del "free"; e noi ci siamo caduti in pieno, in questa rete, in tutti i sensi. Social Network e Blog, gigantesche entità fagocitanti emozioni e storie personali, foto, notizie shock, video insulsi, gente minacciata (e uccisa)online, vedere il caso Van Gogh. Tutto fa brodo, ormai il web fa parte delle nostre vite, della nostra quotidianità, non siamo più capaci di razionalizzare le nostre azioni sulla rete. Tutto è veloce, immediato, basta un clic li, un commento da quell'altra parte, un "mi piace" su Facebook e ci sentiamo meglio. Siamo diventati una nuova generazione di schiavi, non necessitiamo di essere deportati, lavoriamo a casa, chiusi in una prigione che non ha luogo fisico, non ha sbarre; lavoriamo per i nostri padroni e siamo felici di farlo, siamo felici di dare tutte le nostre idee in pasto a questo calderone fatto di pubblicità e grandi guadagni, alla faccia della dignità, almeno però il nostro ego è alle stelle. La gente sembra faticare a capire che il web non è un luogo fatato dove le leggi non valgono, dove le opinioni espresse non contano, dove le idee in gioco sono scherzi. Bisogna capire che questa rete, strumento incredibile, che come tutti gli strumenti può portare a risultati buoni o cattivi, a seconda dell'uso che se ne fa, è al giorno d'oggi esistene grazie a noi, utenti che la popoliamo e siamo noi, anche se non ne siamo coscienti, a tenerne le redini anche se indirettamente. Le nostre foto, ciò che scriviamo, ciò che proviamo diviene tutto a buon mercato, pubblicità, guadagno; le nostre idee vengono stuprate in funzione di ciò che servirà in futuro a chi orchestra tutto dall'altro, e noi "zitti sotto" (tanto per citare Troisi e Benigni). Ha ragione Lovink, e di certo non serviva un mio commento per capirlo, quando afferma che c'è bisogno di una presa di coscienza generale perchè questo sistema del "free" aiuta solamente chi tira le fila, i dilettanti non riescono a diventare professionisti, e le idee vengono strumentalizzate, cambiate, uniformate, e, nella maggior parte dei casi, escluse del tutto, dato che al massimo ci viene chiesto se accettare o no una amicizia su qualche network, per dare in pasto a noi stessi una bella dose di autostima; chissà, magari fra un mese avremo 40 nuovi amici in rete e allora si chepotremo vantarci, allora si che ce l'avremo lungo....il nostro pedigree 2.0.
RispondiEliminaDario Marchetti
Commenti sugli argomenti della prima parte di Zero Comments
RispondiEliminaBlog: Credo che la maggior parte dei giovani veda i blog come un’opportunità; opportunità di esprimersi liberamente, sfogarsi, essere ascoltati (?) e condividere. Cose che fino a qualche anno fa facevamo al telefono con un amico, attenti a non farci sentire dai nostri genitori, ora le facciamo su siti di social networking, sui blog, sulle chat, forse convinti che le nostre parole non potranno mai essere intercettate, le nostre foto mai essere viste, i nostri segreti mai essere scoperti…
Facciamo dei blog i nostri diari, solo che qui non possiamo strappare le pagine né gettare via il “diario”: tutto resta in rete anche quando non lo vediamo più.
Forse molti di noi lo sanno, eppure ci sembra indispensabile pubblicare le nostre foto su Facebook, mettere i nostri video su You Tube e avere un profilo su My Space; perché ormai la società è lì, in rete. Chi fa ancora un tradizionale album fotografico da tenere in casa e mostrare ad un amico che viene a trovarci? Nessuno. Ora siamo noi che andiamo a cercare chi guarderà le nostre foto in rete.
Fondamentalmente, per noi la rete è questo: condivisione, scambio, comunicazione, svago, divertimento; ci sembrerebbe assurdo anche solo pensare che per quelle “sciocchezze” pubblicate su un blog dovremmo anche essere “pagati”. E’ come andare al supermercato, fare la spesa e alla fine andare dal cassiere che ci dice “grazie per averci scelto! Ecco a lei il denaro per il suo contributo!”
Insomma, è qualcosa che non c’è nella mentalità comune.
Noi non ci sentiamo “clienti”, come dice Mc Kiben, non ci sembra di acquistare ma di usufruire gratuitamente. Internet per noi è FREE. Ma in realtà FREE è l’abuso che fanno di noi.
Rita Cafiero
Shocklog: una delle possibilità di Internet è quella di arrivare a miliardi di persone più o meno contemporaneamente; quando questo significa diffondere un messaggio forte che può avere ripercussioni sociali la cosa è spaventosa. Se nel faccia a faccia della vita reale abbiamo paura di esprimerci, in rete tutto è “più facile”; ed è altrettanto facile creare un’unione, un movimento di pensiero, un gruppo mosso da ideali comuni. Pensiamo ai gruppi di Facebook: alcuni sono semplici svaghi, altri sono gruppi seri, che si riuniscono, organizzano eventi, agiscono in qualche modo nel sociale; ed hanno molti più membri questi gruppi che non quelli che si creano nella vita reale.
RispondiEliminaSu Facebook ci sono gruppi politici, fanclub, ultimamente vi si fa anche campagna elettorale… credo che non sia un passo molto lungo da qui agli shocklogs.
Rita Cafiero
Spazi: è vero, i giovani in generale tendono a ricreare i propri spazi vitali sul web; quello che prima c’era nel nostro cassettino segreto ora sta nel nostro blog.
RispondiEliminaTutto avviene nelo spazio apparentemente privato di Internet, che ormai è sempre con noi: quando vogliamo e uvunque ci troviamo, ci basta un pc portatile o un cellulare di ultima generazione per entrare nel nostro mondo, dove tutto ciò che avviene non verrà mai scoperto da chi noi non vogliamo (i nostri genitori, i professori, gli adulti in genere)… a meno che “qualcuno” non renda pubbliche le nostre pubblicazioni, le nostre foto, le nostre conversazioni, i siti che visitiamo… “rischi del mestiere”.
Mi ha colpita in particolare una frase di Danah Boyd: “Spesso questa dinamica distrugge il valore più importante della relazione tra genitore e figlio: la fiducia” (Zero Comments, pag. 27).
Cos’è, infondo, che ci spinge a questo ossessivo controllo se non la mancanza di fiducia? E questo, prima ancora dell’avvento di Internet, avveniva anche con le telefonate (spiate, registrate, controllate), e prima ancora con le lettere e i diari (trovati nei loro posti segreti e letti a insaputa dei loro possessori); insomma, è la storia più vecchia del mondo. Ma ora in ballo c’è il web intero: per ingannare una persona possiamo fingerci qualcun altro, o mille altri; alla fine ci troveremo con mille identità, in una situazione in cui nessuno sa realmente chi siamo, e forse neanche noi lo sappiamo. Mi sembra la massima realizzazione della teoria di Pirandello: attraverso la “maschera” di Internet, possiamo essere centomila pur restando una sola persona davanti ad un monitor; ma alla fine non saremo nessuno. E se questa maschera un giorno ci verrà tolta, ed è possibilissimo, le conseguenze ci saranno eccome. Per questo è bene che si faccia un uso cosciente di questo media, e soprattutto è bene che si rifletta su qual è davvero il nostro spazio.
Rita Cafiero
Economia 2.0: quando si è capito che con Internet si potevano fare soldi, la tentazione è stata irresistibile. Nello scoprire poi che le fonti di guadagno (noi) possono essere usate a proprio piacimento e a loro “insaputa”, i “crociati della free economy” si sono dati da fare.
RispondiEliminaE’ chiaro che vanno ricercati modelli alternativi, ma come sarebbe possibile, visto che quelli attuali sono quasi del tutto disconosciuti dalla massa?
Crediamo ancora tutti alla favola del FREE, ma è il momento di svegliarsi: “mentre la rete si assume nuovi rischi il potere è sempre più concentrato in poche mani” (Zero Comments, pag. 33). Questo è capitalismo puro.
La massa, “nemmeno presa in considerazione come pubblico” (Zero Comments, pag. 21), procuce e pochi guadagnano.
Intanto, forse un primo segnale di “riconoscimento” dell’importanza dei “dilettanti” c’è: il fatto che le loro notizie vengono utilizzate dai media. Ora, sta a questi “amatori” decidere: continuare a regalare contributi o farsi furbi? Una cosa è voler regalare qualcosa, una cosa è essere obbligati o peggio ancora sentirsi obbligati a farlo; che fare, allora, vendere i propri contributi? Non li comprerebbe nessuno. Però sono convinta che se la smettessimo tutti di regalarli, qualcuno li richiederebbe.
Rita Cafiero
La polverizzazione delle imprese dot-com nel 2001 non ha lasciato solo macerie, ma ha alimentato la diffusione della cosiddetta blogsfera, cioè di quei siti Internet che consentono una interattività in tempo reale tra chi scrive e chi legge, consentendo così il commento al testo «postato». Nella maggioranza degli oltre cento milioni di blog i testi presentano però il perentorio messaggio zero comment, elemento che smentisce proprio quella tanto decantata interattività del cyberspazio. Ed è proprio a partire da questa aporia tra la retorica dell'interattività e la sua assenza che prende le mosse il libro di Geert Lovink Zero comment.
RispondiEliminaGeert Lovink è un veterano della network culture. Con i suoi libri ha contribuito a una vera e propria «storia del presente» digitale. È stato infatti l'ispiratore di Nettime, una delle mailing list più interessanti degli anni Novanta; è stato inoltre testimone partecipe della cosiddetta media art; ha altresì analizzato puntualmente l'euforia della new economy, con la conseguente «depressione» derivata della sua crisi. La sua analisi della blogsfera è quindi in piena linea di continuità con la sua attività di media theorist, come talvolta ama definirsi.
Fonte: http://www.complexlab.com/complexlab/zero-comments-il-bel-libro-di-geert-lovink/
In questo libro sono analizzati criticamente alcuni luoghi comuni dei blog.
Nei primi due capitoli del suo saggio, Lovink si concentra sullo studio dei blog.
In particolare ne primo capitolo “Orgoglio e gloria del Web 2.0” Lovink ripercorre lo sviluppo dei blog, partendo dalle forme di aggregazione virtuale quali le liste di distribuzione
(mailing list), per arrivare al Web 2.0 che definisce il “trionfo del dilettantismo” e
del gratuito. Lovink attacca proprio questa gratuità, che genera ineguaglianza
sociale. Mentre i blogger amatoriali, bravi o no che siano, non riescono a fare
soldi con il loro blog se non riempendolo di pubblicità, rendendolo così
“troppo simile ai portali barocchi di fine anni ‘90”, pochi imprenditori riescono
a sfruttare il lavoro di questi molti (blogger) e ricavarne milioni.
“i blogger sono creano arcipelaghi di link interni, ma si tratta di legami molto deboli”.
MICROBLOGGING
RispondiEliminaTime incorona Twitter
"Cambierà il mondo"
Sulla copertina il servizio di messaggistica istantanea che sta conquistando il mondo con frasi di 140 caratteri. E' ormai il più serio concorrente di Facebook
di ERNESTO ASSANTE
"TWITTER cambierà il modo in cui viviamo". E' il settimanale americano Time a dirlo, portando il sito di "microblogging" sulla copertina del suo nuovo numero, celebrandone i fasti e, soprattutto, la capacità di innovare il mondo dell'informazione. Nato nel 2006 negli uffici della Obvious Corporation di San Francisco, Twitter è un servizio Internet che permette agli utenti di mandare messaggi di testo, lunghi non più di 140 caratteri, tramite il sito stesso, via sms, o utilizzando la messaggistica istantanea e l'e-mail.
Ogni messaggio appare nella pagina web dell'utente e viene, questa è la novità più rilevante, mandato istantaneamente agli altri utenti che si sono registrati per riceverli. E i messaggi possono essere ricevuti anche sul cellulare.
In pochi mesi Twitter (che prende il nome dal "tweet" il cinguettare degli uccelli) è diventato un vero e proprio fenomeno sociale, i brevi messaggi inviati in diretta sono fonte d'informazioni importanti o di comunicazioni tra amici, ci si trovano le news dei principali giornali o, come è accaduto giusto ieri, le notizie rosa come la nascita del nuovo figlio che Lance Armstrong ha voluto comunicare al mondo proprio via Twitter.
Su Twitter, insomma, c'è la frontiera del "microgiornalismo", fatto di articoli di 140 battute: "I limiti sono evidenti", dice Ana Marie Cox di Time, "ma anche i pregi. I piccoli post su Twitter catturano l'atmosfera, il momento, l'eccitazione degli eventi che stiamo seguendo, meglio di molti resoconti scritti a freddo". Secondo Time il microgiornalismo sta avendo un impatto straordinario sulle nostre vite, ci sta abituando ad un informazione che solo apparentemente è breve e sommaria ma che in realtà è nuova e diversa, immediata e emozionale. "140 caratteri non sono un limite, sono una spinta alla creatività", sostiene ancora la Cox.
I grandi giornali americani hanno già "twitterizzato" da tempo la loro informazione, e così anche le agenzie di stampa. Il principale motivo è, ovviamente, quello di raggiungere in ogni modo il pubblico, il lettore. E poi c'è il dato economico: produrre giornalismo con gli sms costa poco, distribuirlo tramite i siti di social networking costa ancora meno.
Il secondo aspetto che rende Twitter diverso dagli altri siti di social networking, è che ogni utente può seguire le sue star preferite, che quotidianamente lasciano dei piccoli "tweet" sulla loro vita. Attori e attrici, star musicali e cinematografiche, politici, personaggi pubblici, ognuno manda messaggi e ha centinaia di migliaia di "followers", che ricevono aggiornamenti continui. Un rapporto con le star che sembra familiare, personale, diretto, e che per la prima volta è totalmente senza mediazioni.
I dati segnano Twitter in grandissima ascesa, anche se i dominio di Facebook è inattaccabile: i dati della Nielsen dicono che in aprile gli utenti di Facebook sono stati collegati al sito per 14 miliardi di minuti, 5 miliardi su MySpace, 300 milioni su Twitter. Ma se il tempo speso su Facebook è cresciuto del 699% in un anno, quello su Twitter ha avuto un balzo in avanti del 3712%.
Fonrte: La Repubblica del 6 giugno 2009
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaNon è un paradosso il fatto che Internet generata dai militari, di solito così gerarchici, abbia un carattere anarchico fin dagli esordi …!
RispondiEliminaLa rete, infatti, sin dall’inizio era priva di strutture formali di comando ed è per questo che si è sviluppato intorno ad essa il “mito della libertà” diffondendo la grande espansione di libertà (appunto) che internet rappresenta.
Internet è stato ed è ancora sede di commercio, economia e presto la parola libertà è stata tradotta dal “viscido linguaggio del business” in free, lasciando trasparire in esso un senso di gratuità.
Con il web 2.0 (un cambiamento non strutturale ma di approccio al web) nascono gli open source che danno la possibilità ad ognuno di noi di creare un proprio sito web, interagire su altri …; ed è proprio questo il periodo in cui nascono i blog.
Ognuno quindi può partecipare al web e lo fa spinto anche dalla falsa ideologia del free ormai diffusa, “ingannando” l’utente fiducioso di tale risorsa.
In realtà non si può parlare di gratuità, tant’è vero che, a parte i costi del PC, cavi, connessioni e quanto altro serve per potersi collegare ad Internet, noi sviluppiamo economia sia producendo contenuti sia visitando semplicemente un sito … Ma la cosa grave è che noi “lavoriamo” facendo inconsapevolmente intascare i soldi ai promotori e soprattutto lo facciamo gratuitamente.
Ecco quello che Lovink vuole farci capire: chi offre contenuti e risorse gratis siamo noi utenti e non certamente i tanto declamati “generosi” promotori!!!
Non ci illudiamo, l’etica hacker non esiste più: il nostro mondo è troppo “opportunistico” per continuarla a diffondere.
Antonia Iodice
A proposito di orgoglio e gloria del web 2.0 ciò che sta accadendo in Iran è il miglior commento. giovani internauti si fanno beffa del regime e fanno sapere al resto del mondo cosa sta accadendo veramente nel paese ( gli stessi inviati sono tenuti lontani dalla piazza che protesta). Ahmadinejad mette il bavaglio e il web ancora una volta si dimostra il più potente mezzo di libertà d'espressione in un gioco "dentro-fuori" che ha dello stupefacente. C'è da augurarsi che internet sfugga ai ripetuti attacchi, non degli hacker, ma di chi lo vuole imbavagliare: Cina, Iran e ahinoi anche l'Italia con il decreto sulle intercettazioni. Molte norme limitative riguardano proprio il web.
RispondiElimina